Discussione

PLATONE : il filosofo delle idee e la sua idea sul cinema

PLATONE : il filosofo delle idee e la sua idea sul cinema

(Angelo Antonucci) Qual è il rapporto tra il linguaggio del cinema e la filosofia? Esiste la possibilità di un pensiero per immagini, distinto da quello discorsivo? E, in caso affermativo, quali film si possono definire “filosofici”? Per rispondere a domande come queste, è opportuno ripercorrere brevemente le opinioni dei filosofi circa il valore conoscitivo delle immagini, non necessariamente cinematografiche. Una certa tradizione filosofica che in ultima analisi risale a Platone (427-347 a. C.) sembra escludere il valore filosofico delle immagini. I pensatori “platonici” sostengono che la filosofia, intesa come metafisica, non ha alcun bisogno di figure sensibili. Dal momento che la metafisica consiste nel cogliere, al di là delle apparenze visibili, una realtà invisibile e astratta, quella delle idee, la conoscenza filosofica non richiede gli occhi del corpo, ma esclusivamente l’uso degli occhi della mente. Platone critica, per esempio,il cinico Antistene (436 ca. - 366 ca. a. C.) che possiede gli occhi per vedere il cavallo ma non quelli in grado di vedere la “cavallinità”, cioè la realtà invisibile dell’idea. Nel VII libro della Repubblica, Platone descrive una sorta di primitiva sala cinematografica. Nel racconto mitico il filosofo immagina alcuni prigionieri incatenati sino dall’infanzia in un antro sotterraneo e costretti a vedere solo il fondo della caverna, sul quale vengono proiettate le ombre di statuette, che alcuni uomini portano facendole passare sopra un muro disposto alle spalle degli schiavi. La proiezione è possibile perché al di là del muro arde un fuoco che illumina le statue stesse. I prigionieri, che non hanno mai conosciuto le cose della natura, vedono le ombre e credono che esse siano la realtà. La situazione degli schiavi dentro la caverna rappresenta metaforicamente la conoscenza sensibile, che si attua grazie alle immagini dei sensi. Quella sensibile,Il cinema pensa? Però, a giudizio di Platone, è una conoscenza ancora imperfetta. Il vero filosofo è colui che non guarda più le ombre proiettate nel buio della caverna (cioè le immagini) ma si libera dalle catene, esce all’aria aperta e conosce direttamente le cose, le quali, nel mito, simboleggiano le idee. È possibile scoprire precise analogie fra la caverna platonica così descritta e il dispositivo del cinema. L’antro oscuro, i prigionieri incatenati, il fuoco, la parete e le ombre corrispondono perfettamente alla sala buia di proiezione, agli spettatori immobili, al proiettore,allo schermo e alle immagini cinematografiche. E così come gli schiavi di Platone sono vittima di un’allucinazione o di un sogno, di un’illusione nel rapporto di conoscenza verso la realtà, nello stesso modo lo stato e la posizione dello spettatore di un film sono simili a quelli di un sognatore o di chi è in preda alle allucinazioni. Un filosofo platonico, dunque, ci inviterebbe oggi a uscire dal cinema, ovvero a rifiutare le immagini, per rivolgerci direttamente verso le idee. Tanto più che lo stesso Platone condanna la tragedia – il corrispettivo antico dell’odierno spettacolo popolare rappresentato dal cinema – sostenendo che questa forma d’arte è fonte di corruzione e di disorientamento morale, dal momento che, interessando gli spettatori alle passioni violente rappresentate sulla scena, incoraggia in loro tali comportamenti irrazionali. La critica platonica nei confronti della tragedia si inserisce in una valutazione negativa dell’arte in generale (con l’eccezione della musica), perché essa produrrebbe imitazioni di imitazioni, cioè copie delle cose sensibili, a loro volta riproduzioni sbiadite del mondo delle idee. Stando all’esempio formulato da Platone, un letto dipinto non è che la copia del letto sensibile, il quale è già una copia dell’idea del letto. Le arti figurative non ci fanno conoscere alcuna verità, sono soltanto ingannatrici, come lo è la poesia (epica o lirica, tragica o comica) che imita le azioni e i sentimenti umani

 

Caro Angelo, in Platone indubbiamente il concetto di idea riguarda qualcosa che astrae dalle condizioni sensibili dell'esistenza creata e la sapienza è data per il filosofo nella ricerca del bene e della verità delle cose che risiedono nelle idee anche se in Platone l'idea del bene appare innafferabile se non c'è un Dio, se non viene un Dio a farci capire che cosa è il bene e in questo Platone sembra prefigurare addirittura l'Incarnazione del Verbo inumanato Gesù Cristo in cui l'unione ipostatica della natura umana del Cristo colla sua natura divina ne comporta la consustanzialità a Dio e nella filosofia di Barbera Luigi il bene infatti si identifica colla sua aseità, colla sua essenza che è bontà infinita, l'Essere buono divino che filosoficamente si può enunciare come la qualità dell'essere reale di Dio in cui la realità di Dio come suo modo o categoria dell' Essere divino è il suo essere buono, il bene in definitiva è Dio stesso nella sua essenza ed ecco che Gesù Cristo consustanziale a Dio è essenzialmente bene divino assoluto, ma ne possiamo parlare di filosofia e teologia al mio sito: nu.bobapa@gmail.com Ciao.