Discussione

Il possesso e l'esperienza

Il possesso e l'esperienza

Nel libro: "Le non-cose Come abbiamo smesso di vivere il reale" il filosofo Byung-Chul Han ragiona sul passaggio epocale in corso a partire dalla trasformazione delle cose in non-cose . Lo fa richiamando per esempio la differenza tra un oggetto transizionale , come l’orsacchiotto, che favorisce la relazione con il mondo esterno, rassicurando chi lo manipola e un oggetto autistico, come lo smartphone, privo di una fisionomia ben precisa (simile a tutti gli altri e sostituito frequentemente) che fornisce un eccesso di stimoli e con il quale si instaura una relazione di tipo narcisistico. Scrive Han: “L’inondazione di stimoli da parte dello smartphone frammenta l’attenzione, destabilizza la psiche, mentre l’oggetto transizionale agisce su di essa in chiave stabilizzante" . Non opponendo resistenza sul piano fisico come facevano gli oggetti di un tempo, lo smartphone obbliga ad uno strisciare compulsivo che fornisce ai “nuovi feudatari”, alle piattaforme (sono nominati Facebook e Google), i “dati preziosi che loro procedono a cannibalizzare” … Il testo presenta una visione critica che certamente condivido. Trovo però riduttivo (se non fuorviante) che venga citato Erich Fromm al solo scopo di ascrivere le cose all’ambito dell’avere e l’esperire (inteso come consumo di informazioni) a quello dell’essere. Ricordando che per Fromm “La modalità dell’essere ha, come prerequisiti, l’indipendenza, la libertà e la presenza della ragione critica. (…). Significa rinnovarsi, crescere, espandersi, amare, trascendere il carcere del proprio io isolato, essere interessato, “prestare attenzione”, dare. Nessuna di queste esperienze, però, può compiutamente essere espressa in parole” . Indipendentemente dall’etimo delle parole, la contemporaneità che Han descrive rispecchia le modalità dell’avere indicate in precedenza da Fromm in "Avere o Essere?". E non quelle dell’essere come ci si aspetterebbe dalle premesse fatte da Han. Per fare un esempio, il confronto di Han tra foto analogica e selfie prosegue idealmente quello proposto da Fromm tra il ricorso alla sola memoria e l’utilizzo della foto analogica per ricordare. Senza ribaltarlo. C’è dell’altro, è chiaro. Oggi non basta ricondurre il problema del rapporto con gli oggetti ad una semplice questione di approccio, anche se l’approccio resta fondamentale. Solo ora è possibile comprendere veramente quanto il contatto fisico con le cose sia importante per l’uomo, tanto che impedirlo equivale ad esercitare una forma di violenza. L’utilizzo delle parole: possesso e esperienza, così come riportate nella traduzione italiana del libro di Han, sono quindi al centro di questo mio lieve disappunto. In Han (semplificando) il possesso, inteso come prerequisito dell’instaurarsi di legami con le cose concrete, acquisisce una valenza positiva, mentre per me il termine (al di là del significato giuridico) è più vicino a suggerire una forma ottusa di “detenzione” di un bene. È l’avere di chi non è. E di chi non è in vero rapporto con ciò che ha, non rispettandone la natura, l’alterità; è l’avere di chi esercita insomma un controllo cieco. L’esperienza (o l’esperire) per contro viene chiamata in causa da Han con valore negativo (utilizzo questo termine nella sua accezione comune, senza riferimento alcuno al concetto di negatività per Han), pur essendo definita come facente parte dell’essere, per capirsi: è il consumo continuo di contenuti immateriali (informazioni, dati, emozioni aggiunte alle cose…). Mentre, quando io lamento la perdita di originalità dell’esperienza dovuta alla digitalizzazione dei processi, intendo dire che stanno venendo meno le occasioni per sperimentare la realtà in prima persona, utilizzando quindi la parola esperienza con valore positivo, legato all’essere, ma anche al rapporto con le cose concrete da cui la vita dipende. Apprezzo le capacità introspettive di Han e il coraggio di assumere una posizione controcorrente. Non comprendo però perché, oltre ad aver definito superata la critica di Fromm “secondo cui la società moderna è più orientata all’avere che all’essere” , Han proponga la visione di Jeremy Rifkin il quale ravviserebbe: “nel passaggio dal possesso all’accesso (…) un profondo cambio di paradigma” . Quello che sostengo è l’esatto contrario. Per me si sta seguendo senza porsi alcun limite la stessa direzione di prima (comunque la si voglia chiamare) ed è una direzione profondamente autolesionista. Per acquistare non-cose c’è gente che sta in coda per ore davanti ai negozi, indubbiamente cerca altro in quegli oggetti fisici, ma lo ottiene veramente? Il desiderio di possesso e quindi di potere, per quanto temporaneo o condiviso, è stato dirottato idealmente altrove, ma non ha smesso di incrementare il consumismo. Non solo gli oggetti fisici divenuti non-cose (come ad es. il libro diventato ebook, con conseguente perdita di peculiarità), sono tutt’altro che estranei al mercato e quindi non avulsi all’ambito dell’avere, ma anche i dati e le informazioni, per quanto intangibili, vengono posseduti (nel senso di: conservati, lavorati, alterati, nascosti, venduti o comprati). Inoltre, al pari del possesso delle cose materiali, l’accesso a quelle immateriali (la possibilità di fruirne) non garantisce che si sia in grado di comprenderle o apprezzarle al meglio. Mentre il fatto che la brama di esperire contenuti artefatti si autoalimenti non elimina, ma semmai accresce, le responsabilità morali di chi sfrutta questo tipo di meccanismi a proprio vantaggio. Ad essere in gioco è l’essere umano stesso, la percezione che ha di sé e della realtà circostante. Per non parlare delle implicazioni oggettive, concrete, sul piano della sostenibilità ecologica e sociale derivanti dall’approccio consumistico rivolto a cose e non-cose. Un accesso illimitato e condiviso alla conoscenza e alla soddisfazione di ogni sorta di bisogno umano, oltre ad essere utopico (nonché chiaramente parte di una narrazione finalizzata al mantenimento di questa sconsiderata direzione), se anche dovesse realizzarsi non porterebbe a nulla, senza la capacità di discernere che può nascere solo dal rapporto con le cose reali, nella consapevolezza dei propri limiti fisici e mentali. Mancherebbe dell’intuizione derivante dalla capacità di attesa. E mancherebbe del silenzio perché, come scrive Han: “Il silenzio scaturisce dall’indisponibile, che accentua e approfondisce l’attenzione creando uno sguardo contemplativo” . Invito a leggere o a rileggere questi libri. Han B.-C., Le non-cose Come abbiamo smesso di vivere il reale, Giulio Einaudi s.p.a., Torino, 2022 (pp.37, 34, 20-22, 99 e Cap. Selfie). Fromm E., Avere o Essere?, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A, Milano, 1977. (Cap.II, pp.119-120). Nascimben S., Senza big data La speranza sarà senza big data, Youcanprint, 2022.