Discussione

L’AVVENTO DELLE ETÀ DEI METALLI E L’INIZIO DELLO SFRUTTAMENTO DELL’UOMO SULL’UOMO

 L’AVVENTO DELLE ETÀ DEI METALLI E L’INIZIO  DELLO SFRUTTAMENTO DELL’UOMO SULL’UOMO

Immaginiamo di camminare in un villaggio neolitico migliaia di anni fa, attorno a noi campi coltivati collettivamente e animali domestici curati dal gruppo, non si lotta per l’accumulo perché questo concetto è estraneo; si lavora insieme, si condivide il cibo e le risorse, le differenze economiche sono così sottili da essere quasi inesistenti, qualcuno potrebbe avere qualche pecora in più, ma questo non crea caste né privilegi ereditari; la vita è organizzata in modo egualitario perché la sopravvivenza stessa dipende dalla cooperazione, è un’anarchia funzionante, un eco equilibrio sociale che onora i cicli della natura. Poi qualcosa si incrina; con l’avvento delle età dei metalli, il rame, il bronzo e infine il ferro, le società subiscono una mutazione profonda e con questa mutazione, come un veleno che scorre in un fiume, nascono le prime vere disuguaglianze sociali; ci si chiede perché proprio i metalli? La risposta non sta nel materiale in sé, ma nel processo di lavorazione che essi richiedono. Estrarre il minerale, fondere, forgiare non è un lavoro come gli altri, non è accessibile a tutti, richiede conoscenze particolari, un sapere che può essere custodito e, per la prima volta, mercificato; ora c’è gente che controlla la produzione di asce, spade e aratri e da questo controllo nasce il privilegio; l’artigiano dei metalli da membro della comunità inizia a trasformarsi in un nodo di potere. Ci si chiede se sono stati gli artigiani ad aver preteso maggiori compensi oppure la gente comune ha riconosciuto spontaneamente il loro valore? La risposta che danno gli storici è la seconda opzione ed è chiaramente una scelta ipocrita che deriva da una mentalità capitalista; personalmente, rigetto la teoria dello scambio spontaneo, secondo me ci fu un’estorsione strisciante, un ricatto: “Senza il mio aratro il tuo campo è sterile, senza le mie asce faticherai moto di più quando dovrai tagliare la legna perciò pagami.” Ma i parassiti non furono solo i fabbri, i capi tribali, un tempo primi tra pari per impegno sociale e saggezza, iniziarono a tassare gli scambi pretendendo una pedaggio sulla vendita dai fabbri o dagli intermediari che vendevano gli strumenti in metallo presso le loro comunità, in questo modo si arricchirono senza forgiare nessun utensile; anche i sacerdoti si trasformarono, da custodi di un sacro immanente divennero gli imbonitori di un sacro mercificato; iniziarono a vendere benedizioni, a far credere che un’ascia senza il loro rito non tagliasse o che un campo senza la loro preghiera non fruttasse, iniziarono a creare il cielo per giustificare il loro ruolo in terra gettando le basi per tutte le religioni istituzionalizzate che sarebbero seguite. La prova di questa corruzione è sotto i nostri occhi, basta confrontare un sepolcro neolitico con tombe modeste e uguali per tutti con un sepolcro dell’età del bronzo dove, tra un mare di fosse anonime, si vedono pochissime tombe con oggetti di grande valore come gioielli e ornamenti preziosi; è la prima macabra fotografia di una società divisa in classi: i ricchi e i poveri, i potenti e i subordinati. Con l’aumento delle disuguaglianze nacque lo sfruttamento sistematico dell’uomo sull’uomo, il lavoro della maggioranza iniziò a servire non più alla comunità ma al privilegio di pochi; questa dinamica maledetta non si è fermata con l’età dei metalli, è proseguita fino alle società moderne, con le loro disuguaglianze colossali, con i loro miliardari e i loro disperati, le nostre società sono le dirette eredi di quel sistema piramidale nato ai forni fusori delle età dei metalli; questo non è progresso, è la lunga e oscura notte che è calata su un sogno di uguaglianza e noi oggi ne stiamo ancora pagando il prezzo.