17 anni all’anagrafe, release sincere e pulite su cui si riversano liriche lontane da cliché ed esperienze non vissute che come fiumi in piena di emozioni e pensieri, colorano l’album dei ricordi di un giovane di oggi, cogliendone e catturandone speranze, sentimenti, gioie e delusioni. Ed è in questa dimensione di verità espressiva che il cantautore argentino d’adozione capitolina giamba, al secolo Gian Bautista Cano, dopo aver magnetizzato pubblico e critica con la fine delicatezza delle sue interpretazioni in “IQOS” e “Domani”, torna a dar luce e voce alla Gen Z con “Con Te” (WD Music Italy), il suo nuovo singolo.
Prodotto dal tocco unico e incantato di Steve Tarta (già per LDA, Emanuele Aloia, Albe e molti altri), e scritto dallo stesso giamba a quattro mani con Alessandro Caiazza (co-autore di LDA), il brano è una pop-ballad iper catchy dal sapore mediterraneo, in cui leggerezza, dinamismo e brio abbracciano e attraversano un testo ricco di spensieratezza e romanticismo, una dedica frizzante e vivace alla meravigliosa sensazione che noi tutti siamo soliti definire “colpo di fulmine”.
Sin dall’attacco della prima strofa - «Quando ti ho vista per la prima volta la mia bocca non parlava più ed eri così bella, te lo giuro, si ferma il mondo se non ci sei tu» - l’impronta comunicativa dolce ed efficace del giovanissimo talento porteños scandisce il ritmo di quei battiti di cuore interrotti dall’emozione di un incrocio di sguardi, che nella sua inattesa istantaneità, racchiude un preziosissimo frammento di eterno, intrecciando passione, entusiasmo, tenerezza e adrenalina.
Un pezzo che, nella leggerezza dei suoi contorni, delinea e sprigiona tutta quella serie di positive vibes generate dal fuoco dell’innamoramento - «mille specchi che riflettono il sorriso, sono loro che proteggono da ogni nemico» -, che si corroborano e si espandono alimentandosi del desiderio di stare sempre accanto a chi ce le ha donate, allontanandosi dalla dimensione malinconica dell’amore, fatta di paura, dolore e pressioni, per regalarci un’istantanea gioiosa e vivace sui sentimenti e le relazioni capace di riportarci indietro nel tempo, ma soprattutto, di ricordarci che amare non significa struggersi, dipendere o annullarsi, ma arricchirsi di istanti e di emozioni che avvalorano e fortificano la bellezza della vita.
Bede torna con "Gran Galà", una dedica d'amore alla Musica in chiave rap
A distanza di 6 anni dal primo singolo e reduce dal successo di brani come “Riscatto”, “Vista Mare” e del debut EP “Origine”, il giovane e brillante rapper reggino d’adozione capitolina Bede, torna a raccontarsi in “Gran Galà”, una vera e propria dedica di barre e liriche al più grande e intenso amore della sua vita, la musica.
In un’originale e impeccabile trasposizione di un vissuto arduo e complesso, segnato da eventi, ferite e vicissitudini traumatiche su un beat travolgente e super catchy, Bede metaforizza con eleganza e delicatezza il suo rapporto con la musica equiparandolo ad una relazione di coppia che all’improvviso perde la sua accezione benefica, diventando, giorno dopo giorno, tossica e distruttiva.
Irrequietezza, instabilità, ansia e disillusione, si alternano ad un profondissimo e sincero amore unilaterale che il protagonista della narrazione continua a nutrire verso la propria amata, una partner venerata, idolatrata e a tratti idealizzata, nei confronti della quale, però, riserva anche un pizzico di rancore, in quanto è stata in grado di rapirlo, sedurlo ed ammaliarlo sin dal primo istante, seducendolo e facendolo perdutamente innamorare, per poi lasciarlo inerme, in balìa di se stesso e di una serie di correnti impervie e tumultuose.
Un amore irruento e viscerale che non cessa di esistere e alimentarsi, perché nonostante tutto, nei momenti di assoluta necessità, la musica si è sempre fatta trovare pronta, con una mano tesa volta ad accudire, lenire e ricucire le ferite di un cuore che ha rischiato di interrompere il suo battito per sempre - «non mi hai lasciato manco sul letto dell'ospedale» -.
Una storia, quella di Bede, che nell’assoluta sensibilità della sua penna, rimane celata per lasciar spazio alle storie di ciascun ascoltatore, infrangendo con le onde della sola empatia, l’influenza ed il condizionamento di una narrazione-guida volta a raccontare un percorso già delineato, dando così modo di far fluire e parlare solo ed esclusivamente l’altalenante successione di sentimenti contrastanti che avvolgono e permeano l’intero pezzo.
La produzione malinconica e impetuosa al contempo, curata dal tocco ineccepibile di Thephra, segue perfettamente il flusso di coscienza riversato nel testo, avvalorando con il suono quel nido di silenzio interiore capace di comunicare ben più e ben oltre le parole.
Nel susseguirsi di versi e strofe, l’artista racconta il suo periodo riabilitativo post-trauma, evidenziando quanto, la musica, sia stato il suo unico appiglio ed il solo stimolo che gli ha consentito di trovare la forza di rialzarsi e ricominciare a vivere, esortandolo a dare il meglio di sé ogni giorno - «mi hai insegnato a guardare in alto sempre più in alto» -. Un viaggio arduo e difficoltoso, che l’ha costretto a ripetuti face to face con i propri limiti e le proprie fragilità, conducendolo spesso ad una dolorosa, ma senza dubbio catartica, autoanalisi - «a letto noi ci graffiavamo fino a fare uscire il sangue» -.
«L'idea del brano – dichiara Bede - è nata in studio da Thephra, in Trentino. In una settimana, partendo da zero, abbiamo creato questa traccia con l'idea di donare una certa profondità ed importanza al testo. Volevamo chiudere un pezzo che toccasse l'anima della gente e che arrivasse dritto al cuore dell'ascoltatore. Per dare un tono particolare, la scelta di non dedicare il tutto ad una donna, ma di parlare di un tipo di amore che va al di là delle persone e che, in un certo senso, per quanto possa regalarci molto ed essere totalizzante, rimane sempre e solo a senso unico, quello per la musica».
Ed è sull’unilateralità di passioni e sentimenti che l’artista ci invita a riflettere, ricordandoci che la centralità dell’esistenza è amare, indipendentemente dal concetto di reciprocità che, ancora troppo spesso, ci impedisce di vivere pienamente e di inseguire emozioni, sogni e sentimenti per il solo, meraviglioso, dono di poterlo fare.
“Gran Galà” è accompagnato dal videoclip ufficiale, girato a Roma sotto la direzione di Valerio e Alessio Vasselli con la partecipazione di Silvia Proietti.
«Ritengo fondamentale credere nei propri sentimenti,
senza badare al fatto che essi siano reciproci o meno.
La bellezza dell'amore sta proprio nella capacità
di poter amare; vince sempre e solo il sentimento».
Bede....
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Con la sua vocalità inconfondibile, potente e al contempo intrisa di delicatissime nuance e cromie, Ruggero Ricci, reduce dal fortunatissimo debutto ad Una Voce per San Marino - che l’ha visto condividere il palco con ospiti del calibro di Roy Paci, Eiffel 65, Lorenzo Licitra, Deborah Iurato e Ronela Hajati -, torna in radio e nei digital store con “Firework” (Orangle Records/Universal Music Italia), il suo splendido ritratto voce ed anima sulla necessità di ammettere errori e paure per ricominciare ad amarsi e, di conseguenza, a vivere.
Scritto dalla penetrante e fulgida penna dello stesso artista romagnolo a quattro mani con Messya e avvolto dall’abbraccio sonoro minuziosamente cucito sull’emozionalità di strofe e ritornello dall’abilità di Riccardo Brizi (già per Aaron e molti altri), “Firework” è la perfetta commistione di contemporaneità e ricordi, il riuscito connubio tra un suggestivo testo d’autore bilingue ed un emblematico tappeto sonoro capace di coniugare l’elettronica ad una ballad malinconica, viscerale e sincera, che guida ed accompagna l’ascoltatore in un catartico e liberatorio viaggio introspettivo.
Il brano, presentato per la prima volta alle semifinali di “Una Voce per San Marino”, nasce dall’esigenza personale dell’artista di voler dar luce e voce alle difficoltà che la vita presenta lungo il percorso di ciascuno di noi sotto diverse forme. Lo scorrere del tempo, la sempre più crescente ansia scaturita dall’esigenza di dover piacere a tutti ad ogni costo, i ritmi frenetici che la società di oggi ci impone, sono solo alcuni dei molteplici fattori che, se perpetrati, possono condurre all’overthinking, destabilizzando contemporaneamente la nostra sfera emotiva, fisica e mentale.
Ed è proprio in un momento di sovraccarico e profondo squilibrio interiore che è nato il pezzo, con l’auspicio e l’intento di sensibilizzare il pubblico su una tematica ancora molto sottovalutata e spesso equiparata ad un banale ed ordinario “riflettere molto”, ma che ha, in realtà, non soltanto importanti conseguenze sul benessere complessivo dell’individuo, ma anche e soprattutto una genesi strettamente interconnessa al modo in cui viviamo, o, per meglio dire, al modo in cui riteniamo sia opportuno vivere per essere accettati e apprezzati da chi ci circonda.
Nell’incantevole e toccante susseguirsi dei violini di Mariella Papanaga e dei rullanti di Matteo Raimondo, Ruggero Ricci scava in se stesso per riscoprire il valore dell’autenticità e delle peculiarità individuali, decidendo - ed esortando tutti a noi a fare lo stesso - di riconoscere difetti e sbagli, accogliendo ed accettando il dolore per elaborarlo e trasformarlo in forza, connettendosi così alla parte più vera della sua natura.
Archi, chitarre, percussioni e pattern elettronici, vestono di sontuosa raffinatezza la sorprendente genuinità del testo, che trasforma l’opaca e vacua incertezza in una realtà concreta e tangibile, avvalendosi dall’abilità interpretativa di Ruggero che richiama l’esplosione dei fuochi d’artificio per travolgere orecchie e cuore con un’estensione vocale degna dei più grandi interpreti internazionali.
«Sono molto legato a questo pezzo – dichiara l’artista -, perché evidenzia le fragilità dell’essere umano, ma al tempo stesso ne fa istantaneamente percepire la forza che è possibile trarne, se comprendiamo i nostri errori, i nostri limiti e li trasformiamo in trampolini di lancio verso la libertà, la libertà di essere noi stessi al 100%. Spero dal profondo che questa mia lettera a cuore aperto in musica, possa servire ad aiutare altre persone che si sono ritrovate a superare, o che in questo momento stanno affrontando, un periodo simile a quello che ho vissuto io sulla mia pelle».
Con eleganza e delicatezza, “Firework” entra nell’anima sin dal primo ascolto, facendo riemergere ricordi assopiti attraverso un accurato patchwork di liriche ed elettronica; un viaggio la cui meta esula dalla semplice speranza e si allontana dal miraggio, mostrando istantaneamente il traguardo, quella felicità pura e totalizzante che è frutto esclusivo dell’accettazione delle nostre imperfezioni umane, con la vivida consapevolezza che il fallimento non rappresenta la fine, ma è parte integrante e formativa del background di vita di ciascuno di noi.
“Firework” è accompagnato dallo spettacolare videoclip ufficiale, presentato in anteprima nazionale su TGCOM24 e girato a San Marino sotto la direzione di R3tro, al secolo Andrea Colucci, che, come un vero e proprio corto, traspone in frame ed immagini la penetrante accezione del testo, anche grazie alla sensibilità performativa e artistica della ballerina pluri-blasonata Veronica Bagnolini.
Un brano intenso, che nell’abbagliante contrasto di luci ed ombre e nella sentita interpretazione di Ruggero Ricci, mostra uno spaccato di verità su una società di filtri e apparenze, stupendo l’ascoltatore e riconfermando la cifra stilistica versatile, l’attitudine ricercata e l’innegabile talento del suo autore, in un perfetto sodalizio tra il cantautorato più classico della struttura testuale e l’impeccabile intreccio sonoro che strizza l’occhio alle più moderne tendenze musicali internazionali....
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Il giovanissimo attore e rapper Marco Renna pubblica “SOLO con pochi", il suo debut single
Dopo essersi fatto conoscere e apprezzare dal grande pubblico in veste di attore protagonista nell’emozionante pellicola a tematica sociale “Autumn Beat” di Antonio Dikele Distefano, in cui ha interpretato il giovane rapper Paco, Marco Renna approda nei digital store con “SOLO con pochi”, il suo primo singolo ufficiale che mette in luce l’eclettismo della sua visione artistica.
Nato nella capitale maliana Bamako nel 2009, e trasferitosi nella capitale dell’Arte italiana, Milano, con la famiglia adottiva nel 2011, a soli 9 anni dà vita al suo primo canale YouTube e, poco dopo, inizia a studiare musica e recitazione, mostrando sin da subito una naturale attitudine alla condivisione del suo universo interiore sotto svariate forme ed un’urgenza espressiva vivace, versatile e plurisfaccettata.
Un’inclinazione, quella di Marco, che come una vera e propria vocazione prende forma in una comunicazione semplice, diretta ed efficace, evincibile istantaneamente sia dalle sue rappresentazioni attoriali, sia dal flusso di coscienza e liriche di questa sua prima release, che narra con pathos, autenticità e delicatezza la sua storia, mediante barre incisive dal forte impatto emozionale, frutto di cha sa raccontare per esperienza vissuta, interiorizzata e affrontata sulla propria pelle e non per ego, trend o sentito dire.
Sin dall’attacco del pezzo - «Ok, ok, ok, giuro non son cambiato» -, il giovanissimo rapper riflette in musica i propri trascorsi, scandagliando con toccante lucidità gli inizi complicati, segnati da un importante abbandono ed un taglio con le sue origini, l’affetto grazie al quale ha costruito un solido e indissolubile legame con la propria famiglia e la straordinarietà di rimanere se stessi, umili, sensibili e generosi, anche e soprattutto di fronte alle delusioni e alle aspettative disilluse cui la vita, a volte, ci chiama a fare i conti.
In quel «ha sempre aiutato tutti non ha mai fatto del male, si, per certe persone non c'era niente da fare», si evince la maturità e la consapevolezza di chi rimane fedele a se stesso e ai propri valori e, osservandosi dall’esterno, come uno spettatore incondizionato dal proprio stesso vissuto che osserva affascinato la prima della sua autobiografia, prosegue il suo cammino dando credito e fiducia soltanto a coloro che non l’hanno mai fatto sentire solo, ma, come egregiamente riassunto nel titolo, “SOLO con pochi”.
«Questo pezzo – dichiara Marco - mi rappresenta completamente, è il primo vero e proprio racconto di me e della mia vita. Sono un ragazzo piuttosto riservato e scrivere testi mi offre l’opportunità di esprimere appieno quello che provo. Vivo tutto questo come un percorso di crescita, artistica e personale, e spero che nelle mie canzoni si possano ritrovare molti giovani, molti miei coetanei che spesso faticano ad identificare se stessi e le persone che gli sono davvero vicine, quelle di cui potersi fidare. Non sono molti coloro a cui donare la nostra fiducia, ma ci sono ed è fondamentale rendersi conto di quanto siano preziosi!»
“SOLO con pochi”, volutamente rilasciato sulle piattaforme digitali il 21 Marzo, in occasione dell’anniversario dell’incontro di Marco con la sua famiglia adottiva, è un brano intenso e suggestivo, nato di getto in seguito alla fortuita scoperta del beat di “Autumn Beat” del musicista e producer colombiano Cristian Vera, come lo stesso artista spiega:
«Sebbene mi dilettassi già da diversi anni con la musica, un giorno stavo navigando in rete cercando alcune recensioni sul film a cui ho preso parte, “Autumn Beat” di Dikele. Così, mi sono imbattuto nell’omonima composizione di Cristian Vera, che mi è piaciuta tantissimo sin dal primo ascolto. Mi ha ispirato a scriverci su un testo, che è nato di getto, in pochissimo tempo, tra le mura della mia camera».
Ed è proprio tra le mura della sua camera che Marco, nonostante i suoi 13 anni di età, regala a tutti una preziosissima lezione di saggezza e coscienza, quella di rimanere se stessi a prescindere da tutto, imparando ad amarsi ed accettarsi nella propria totalità, perché è solo così che potremmo spiccare il volo verso i nostri obiettivi - «solo con te al mio fianco potrò sempre sognare».
Diretto, sensibile e caleidoscopico, Marco Renna svela al pubblico un nuovo volto alla Generazione Zeta, raccontandone emozioni, sentimenti, desideri e riflessioni sotto la lente di un rap genuino, pulito e sincero....
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“(If It Moves) Kiss It” è il nuovo singolo di Zatarra
Graffiante, anticonvenzionale e dotato di un eclettismo che fa della trasversalità artistica il punto centrale della sua cifra stilistica, il cantautore e musicista ciociaro Zatarra, al secolo Marco Florio, dopo la pubblicazione del debut album “Burning Butterfly Arabesque”, che l’ha consacrato ufficialmente alla scena indie-rock italiana, torna nei digital store con “(If It Moves) Kiss It” (PaKo Music Records/Believe Digital), il suo nuovo singolo ispirato ad una delle pellicole più iconiche e controverse del nostro tempo, a sua volta tratta dal distopico e celeberrimo omonimo romanzo di Anthony Burgess, “Arancia Meccanica”.
Su un tappeto sonoro dal forte richiamo britpop, capace di rimandare istantaneamente ad una dimensione sospesa tra passato e presente, l’artista prende per mano l’ascoltatore guidandolo tra le pagine della storia di un Drugo che, ormai adulto, dopo aver superato la fase di una giovinezza trascorsa a delinquere, tra quelle “avventure di un giovane i cui principali interessi sono lo stupro, l'ultra-violenza e Beethoven”, citando la locandina, ripensa con un velo di nostalgia a tutta la sua vita, riflettendo su un oggi in cui, nonostante l’età che dovrebbe condurlo ad una nuova consapevolezza ed una conseguente maturità acquisita, continua a farlo spadroneggiare per dettar legge tra le strade insieme ai suoi compagni, uniti da quella fede indomita che, nonostante l’inconfutabile anticonformismo, li rende indissolubilmente legati li uni agli altri.
Un brano volutamente provocatorio, quasi irriverente, che ad una più attenta analisi risulta essere nient’altro che una denuncia mordace e penetrante ad una società sempre più incline all’effimero, che in quei «I’m so afraid of this ultra loving sex» («ho tanta paura di questo sesso ultra amorevole») e «my fear is your victory» («la mia paura è la tua vittoria»), rivela egregiamente la visione dualistica e dicotomica di Zatarra, il cui non-personaggio può essere identificato come uno strumento concettuale, utilizzato per esprimere la bidimensionalità esistenziale dell'essere umano, costantemente in conflitto tra la sua dimensione corporea ed incorporea.
Una bipartizione che l’artista fa fluire come concept nel suo disco d’esordio, metaforizzando principi contrapposti, quali tenebre e luce, in perenne contrasto tra loro, rappresentando con le prime la memoria e, con la seconda, l'immaginazione, a cui spetta l’oneroso compito di sopperire con l'arte l'oblio frutto dei ricordi, e che qui ritroviamo sotto nuova forma, quella della quotidiana battaglia interiore tra desideri e timori, ma soprattutto, tra prerogative individuali e sociali.
Scritto e composto dallo stesso Zatarra, che ne ha curato anche l’arrangiamento e la parte chitarristica, con i bassi di Lorenzo Iorio, le tastiere di Pierfrancesco Di Pofi e i rullanti di Fabio Colicci, “(If It Moves) Kiss It”, registrato e Mixato da Vincenzo Folcarelli con master di Fabrizio Migliorelli del MStudio Center, attinge ad uno dei ritratti più folli e al contempo visionari del XX secolo, per far riflettere su una serie di considerazioni personali specchio del contesto sociale in cui si inseriscono; spaccati introspettivi frammentati e a tratti irregolari, figli di una visione distorta, ma autentica e sincera, di una quotidianità sempre più falsata ed artefatta.
Biografia.
Zatarra, al secolo Marco Florio, è un cantautore e chitarrista indie-rock ciociaro, con alle spalle una lunga gavetta di concerti live nei locali underground di tutto il centro Italia. Ad Aprile 2022, esordisce nei digital store con “Despite Everithing”, seguito, il mese successivo, dal debut album “Burning Butterfly Arabesque”, che rappresenta la trasposizione musicale del volo leggero e fluido della farfalla, la quale, una volta uscita dal suo stato di larva, brucia a contatto con la luce in una danza verso la libertà artistica. Le canzoni di Zatarra sono intrise di tutte le esperienze e contaminazioni musicali acquisite negli anni e l'album d’esordio, fortemente influenzato dal rock anni '60 e '70, risulta essere costantemente in bilico tra sonorità vintage e innovazione, in una dimensione sospesa sogno e realtà, tra luce ed ombra. Più che un personaggio, Zatarra può essere identificato come uno strumento concettuale, utilizzato per esprimere la bidimensionalità esistenziale dell'essere corporeo e dell'essere incorporeo, ove il corporeo è la memoria e l'incorporeo l'immaginazione. In “Burning Butterfly Arabesque” questi due mondi metaforizzano principi contrapposti quali luce e tenebre, in costante conflitto tra loro. Le tenebre sono l’emblema della memoria, mentre la luce dell'immaginazione, che sopperisce con l'arte l'oblio della prima. Nel 2023, l’artista firma un contratto discografico con l’etichetta milanese PaKo Music Records, con la quale pubblica, nel mese di Marzo, ““(If It Moves) Kiss It”, un trasversale manifesto dai tratti tipicamente britpop, che traendo dalla celebre e controversa pellicola cinematografica “Arancia Meccanica”, racconta la storia di un Drugo che, ormai adulto, ripensa con un velo di nostalgia a tutta la sua vita, mentre continua a dettar legge per le strade insieme ai suoi compagni, conducendo l’ascoltatore a riflettere sui timori e sulle maschere individuali, figli di una società sempre più incline all’effimero....
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Sara J Jones fa ammenda con se stessa e il suo passato in "Scusa"
Non basta un mazzo di rose per curare una ferita d’amore: questo è ciò che Sara J Jones, con la sensibilità, la classe e la sensualità che la contraddistinguono, racconta in “Scusa” (Orangle Records/ADA Music Italy), il suo nuovo intreccio di pop e afrobeat avvolto da intense e malinconiche sfumature reggaeton.
Sulla ricercata e riuscitissima commistione sonora che sorregge il pezzo, resa possibile dall’abilità creativa di Andrea Cattaldo e Daniele Fasoli dei Phasher Studios, l’intensità espressiva di Sara si focalizza sul mix di emozioni che ci pervadono quando siamo chiamati a guardare in faccia la realtà nell’affrontare traumi emotivi che lasciano il segno, proprio come gli oggetti e i ricordi sulle pareti di un appartamento ormai abbandonato - «Cosa resta di te? Mobili, ritratti, su pareti vuote» -.
Scritto dalla stessa cantautrice milanese ripercorrendo un’esperienza personale vissuta anni fa, “Scusa” è la trasposizione in musica di una serie di tentativi di riappacificazione e riconquista andati vani, che non cancellano né la gioia né il dolore dei trascorsi a due anime, ma rivelano, con lo scorrere del tempo, l’esigenza di mettere un punto effettivo a capitoli ormai conclusi, per voltare pagina con un ritrovato e imprescindibile amor proprio.
«Correva l’anno 2017 – dichiara l’artista – e, dopo un lungo periodo di relazione, io e lui abbiamo deciso di intraprendere due strade differenti, in quanto, per me, le cose erano totalmente cambiate. Nonostante la mia sincerità e chiarezza nei suoi confronti, è bastato un solo giorno perché lui facesse sparire tutte le sue cose da casa mia. Mi sono ritrovata sola, in una casa improvvisamente vuota. Non è stato un bel momento, ma mi ha insegnato molto. Qualche mese più in là, questa persona ha provato anche a riconquistarmi, regalandomi un meraviglioso mazzo di rose, pensando che tutto si sarebbe aggiustato. Sapete? da quel giorno ho imparato pian piano ad amare davvero me stessa. Questo brano è il mio modo di raccontare l’accaduto e spero che gli ascoltatori possano ritrovarsi nelle mie parole. “Scusa” mi è servito per ricordarmi che le cose belle sicuramente rimangono e che molte volte non abbiamo il coraggio di esporle così come vorremmo. Probabilmente, la me stessa di oggi direbbe che lui non era la persona giusta e non era il momento giusto».
Un pezzo penetrante, a mezz’aria tra selfness love e personal empowerment che, nell’autenticità e nella verità delle sue liriche, dà voce e musica ad uno spaccato sui rapporti umani in cui, ciascun ascoltatore, a prescindere dall’età, dalla provenienza e dall’orientamento sessuale, può ritrovarsi, con la maturità, l’umiltà e l’egenza di chi sa chiedere “Scusa”, agli altri e a se stesso.
“Scusa” è accompagnato dal videoclip ufficiale, girato a Milano dall’immancabile e attento sguardo di Alessandra Miatello, che sarà disponibile su YouTube nel corso delle prossime settimane....
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A poco più di un mese dalla pubblicazione di “Uscire”, il cui videoclip ha superato il mezzo milione di views in pochissimi giorni, il cantautore e polistrumentista campano STRE torna nei digital store con “La Terra è piatta”, il suo nuovo singolo in grado di stupire e affascinare sin dal primo play.
Dopo aver appassionato e coinvolto pubblico e critica con l’incisività dei suoi testi, avvolti da sonorità fortemente rockeggianti perfettamente amalgamate ad un pop fresco e attualissimo, l’artista dona un’ulteriore prova del proprio eclettismo presentando un pezzo che si distacca completamente dalla dimensione punk-alternativa finora abbracciata, per esplorare la delicatezza e la suggestione di un indie-pop dal profumo vintage ma dal sapore contemporaneo, mantenendo però la graffiante carezza del rock che sostiene e accompagna l’intera release di riff e rullanti, senza rinunciare ai violini e ad un ritornello dal richiamo britpop a lui tanto caro.
Con le sue liriche sospese tra il vuoto scaturito dalla struggente mancanza della persona amata e il desiderio di mettere un punto effettivo ad un capitolo già concluso, “La Terra è piatta” rappresenta la chiusura di un cerchio, della trilogia iniziata ad Ottobre 2022 con “A pezzi”, in cui l’artista ha affrontato il tema della rottura, proseguita con “Uscire”, ove ha raccontato il passaggio tra una fase e l’altra, e che qui si conclude con la narrazione, sentita e viscerale, di ciò che viene dopo, appunto la mancanza. L’assenza dolorosa e sofferta che attraversa e valica il tempo senza trovare senso e pace in nuove abitudini e conoscenze - «passeranno i sogni come compleanni, e ti cercherò un po' negli altri» -, portandoci a dubitare di tutto, di noi stessi «adesso che non son più io» -, e perfino delle evidenze attorno a noi - «divento complottista, perché senza di te la terra è piatta» -.
Una vera e propria pop-ballad ricercata ed elegante, capace di cullare ferite e sentimenti tra l’immancabile autoironia dell’artista ed il suo estro creativo, che continua a fare centro per l’originalità delle sue vedute: per supportare l’uscita del pezzo, infatti, STRE ha sfoggiato le sue doti attoriali vestendo i panni di un terrapiattista tra le strade di Napoli e, nel suo riuscitissimo vaneggiare, ha catturato l’attenzione di tutti i passanti e degli utenti online, a cui ha donato un volantino, contenente un misterioso QR Code che riportava, astutamente, all’ascolto di “La Terra è piatta”.
Una visione caleidoscopica e personalissima dell’Arte, che grazie al taglio ironico e mordace di cui si compone, gli ha consentito di arrivare dritto al cuore del pubblico sin dai suoi primi inediti e che in questo singolo, senza dubbio il più sofferto e malinconico, ritroviamo sia nel titolo che nel videoclip ufficiale - come sempre ideato, diretto e prodotto dallo stesso STRE -, in cui il flusso di rancore e tristezza espresso nel testo, lascia spazio ad alcuni momenti ilari e leggeri, trasponendo in frame una vera e propria conversazione WhatsApp, per far riflettere su quanto, la mancanza della persona amata, attecchisca sulla quotidianità di chi continua a vivere nella sua presentissima assenza.
«Con questo brano – dichiara l’artista – ho voluto fare una cosa a cui tenevo molto, anticipare al pubblico un piccolo assaggio di quello che ci sarà nel mio disco di prossima uscita, anche se ha un mood diverso dai miei precedenti singoli. Nella mia musica, il filo conduttore è sempre quello di vedere la luce in fondo al tunnel ma è anche vero che, a volte, questa luce riusciamo a vederla solo se conosciamo bene il buio. Sentivo il bisogno di pubblicare questa canzone adesso, perché per me rappresenta la chiusura della trilogia iniziata con “A pezzi” e proseguita con “Uscire”. Qui si evince ciò che viene dopo: la mancanza. La mancanza quasi perenne, perché il tempo passa, ma la mancanza resta».
“Antiproiettile” è il nuovo singolo di Blade, una corazza di rime e flow contro pregiudizi e ostilità
Se per opporre un'efficace resistenza all'azione perforante di proiettili ed armi da fuoco ci basta indossare un indumento antiproiettile, cosa ci ripara dai colpi che, improvvisi e silenti, traforano il nostro cuore trapassando fiducia, ricordi e sentimenti? Da questo interrogativo è nato “Antiproiettile”, il nuovo singolo di Blade che, dopo aver emozionato per l’incisività della sua penna e l’abilità nel saper variare egregiamente sound e flow nell’EP d’esordio “Sopra le nuvole”, torna a raccontarsi mostrando un ulteriore lato di sé, quello più risoluto, indipendente e consapevole.
Rap, trap, elettronica ed ipnotiche sfumature lounge e chillout si amalgamano – grazie all’abilità del fidato producer Francesco Brattoli - fino a fondersi per creare una corazza che non si nutre di debolezze e fragilità, né si erge per celare la vera natura di chi la indossa, bensì si adopera per schermare e arrestare tutte quelle cartucce intrise di odio, giudizio, astio e cattiveria che provengono dall’esterno e molto, troppo spesso, ci impediscono di esprimerci appieno, minando e compromettendo il tragitto lungo il raggiungimento dei nostri obiettivi.
Un’armatura che non reprime il dolore, ma che di quella stessa sofferenza si e ci fortifica, rendendoci i veri protagonisti delle nostre esistenze ed i soli padroni delle nostre emozioni e delle reazioni che decidiamo di mettere in atto ad ogni attacco esterno. Un guscio invisibile ma più solido e compatto che mai, che non rinvia il colpo al mittente con la stessa pallottola carica di violenza da un mirino pregno di astio e vendetta, ma attutisce il colpo per temprarsi e rinvigorirci, permettendoci una controffensiva molto più sana e soddisfacente, quella del conseguimento dei nostri traguardi personali.
Tra incastri, slang e punchlines, il giovane rapper della periferia milanese, che ha trovato nella musica il suo scudo “Antiproiettile”, esorta l’ascoltatore a fidarsi del proprio istinto e dei propri sogni, tralasciando e superando con eleganza, stile e classe, proprio come un «antiproiettile matchato Armani», la malignità e l’avversione di coloro che invece di coltivare un’esistenza piena e armoniosa, non fanno altro che cercare di ostacolare e distruggere le vite e le aspirazioni degli altri.
«Un antiproiettile - dichiara l’artista - nasce per proteggere i colpi da arma da fuoco, ma il mio è nato per ripararmi da tutte le persone che mi vogliono a terra. È una corazza perché mi fido solo di me stesso, dopo quello che ho passato ormai niente mi tocca, nemmeno il parere della gente. Vorrei far capire a chi mi ascolta, che è sempre meglio seguire la propria testa, i propri sogni ed il proprio cuore anziché i giudizi e le critiche non costruttive degli altri, superando la paura di quello che potrebbero pensare e di rimanere soli. Vivete al massimo, non smettete per un giorno di sentirvi vivi; questo è il messaggio principale del brano».
Ed è quella paura di rimanere soli che a volte si interpone tra noi e i nostri desideri, un timore che, se analizzato a fondo, si dissolve nella consapevolezza che, chi ci ama e ci apprezza davvero, ci ascolta, ci supporta ed esprime pareri ed opinioni in maniera assertiva, senza farci sentire inadatti e fuori luogo.
“Antiproiettile” riconferma la versatilità di Blade, un artista capace di differenziarsi ad ogni release, pur mantenendo un’identità e una cifra stilistica fortemente riconoscibili, caratterizzate dalla sincerità e dalla sensibilità tradotte in liriche e barre.
Il graffiante duo rap-trap milanese di fratelli di origine kosovara Nova King, dopo l’incredibile successo ottenuto con le precedenti release, tra cui la suggestiva ed emozionante “Silenzio” ed il travolgente intreccio elettro-house “Dh”, torna in radio e nei digital store con “Romantico” (PaKo Music Records/Believe Digital), il nuovo singolo che ne evidenzia carisma, versatilità e attitudine ad una narrazione onesta e sincera, frutto di esperienze e trascorsi vissuti in prima persona.
Cresciuti nell’ex campo rom meneghino di via Novara e figli di una società che ancora troppo spesso fa dell’inclusione un vanto disatteso di cui compiacersi senza adempiervi fino in fondo, Kabis e Capo Pac, avvicinatisi al Rap e alla cultura Hip Hop sin dalla tenera età per dar sfogo alle difficoltà riscontrate nel quotidiano, fin dal loro esordio, avvenuto nel 2020 con “Mi presento”, traspongono in barre, liriche e punchlines luci ed ombre del loro vissuto, riportando l’autenticità e la veridicità dei testi al centro dell’intero progetto artistico, che risulta istantaneamente credibile, attingendo a riflessioni, sentimenti e percezioni dal valore universale che li rendono portavoce di un’intera generazione.
Attraverso questo brano, scritto dagli stessi Nova King e prodotto da ProMo L’Inverso del GoldenEye Studio (già per Mezzosanue, Laïoung, Easy One, Shakalab e molti altri), i due artisti si raccontano senza filtri, immortalando uno spaccato attuale e realistico delle difficoltà relazionali che possono insinuarsi in una coppia composta da un ragazzo cresciuto ai margini di una grande città, in costante conflitto con il mondo circostante e ancor prima con il proprio interiore, ed una giovane donna che gli richiede maggiori attenzioni.
«Vengo dalla periferia, dove la strada è casa mia, dove la polizia fa pulizia, ho scelto un'altra via», racchiude il significativo fulcro del pezzo, mettendo in luce quanto le decisioni personali siano l’unica vera chiave in grado di aprire le porte del futuro, che non dipende dall’ambiente da cui si proviene, ma, proprio mediante le vicissitudini che in quel contesto si sono osservate, toccate con mano e vissute sulla propria stessa pelle, possono essere invertite, divenendo le basi di un domani migliore.
Avvolto da un abbraccio sonoro a mezz’aria tra il dinamismo della trap contemporanea ed una commovente malinconia dal forte richiamo latin-pop, “Romantico” è una poesia in musica in cui ad ogni incastro corrisponde una dedica moderna alla persona amata, una connessione di cuore e intenti che mira a far comprendere all’altra metà della coppia quanto, nonostante le apparenti discrepanze ed un altrettanto superficiale divario sociale, l’amore ci cambi, trasformandoci nella miglior versione di noi stessi.
In quegli «alti e bassi della vita» che guidano e delineano il percorso di ciascuno di noi, i due rapper rifiniscono di passione e trasporto il loro tracciato, plasmandosi sul loro stesso sentire, che non li muta per un giudizio o un’etichetta contro cui hanno dovuto combattere fin da bambini, ma li rinnova e li corrobora di nuova linfa, che sottostà a quelle leggi del cuore a cui nessuno è esente - «se vedessi come sono cresciuto diresti “Wo”» -, indipendentemente dalle corazze che indossiamo per far fronte a disagi e sofferenze.
«”Romantico” – dichiarano i Nova King - , è un pezzo trap melodico che esprime il modo di essere e di provare amore dei ragazzi cresciuti con poche attenzioni, ragazzi che imparano a stare in piedi da soli in un contesto ricolmo di falsità e corruzione».
Un brano intenso in cui immergersi per scorgere oltre le apparenze e ritrovare il senso della condivisione al di là delle influenze esterne, che riconferma i Nova King, per originalità, sensibilità autorale ed eleganza interpretativa, come il duo più “Romantico” della scena trap italiana....
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La Canzone d’Autore italiana torna a fare centro con Kimele e la sua “Dinamite” di voce e liriche
A 5 mesi di distanza dall’incredibile successo ottenuto con la struggente pop-ballad “Di te e di me”, che ha riconfermato l’emozionalità della sua penna ed un’estensione vocale da fuoriclasse superando i 100.000 streams in pochissime settimane, il cantautore campano Kimele, al secolo Gianmichele Mocerino, torna in radio e nei digital store con “Dinamite”, il suo nuovo singolo che rappresenta un autentico manifesto sul valore e sulla rinascita dalle ferite dell’anima.
Su un incantevole tappeto sonoro che accompagna e culla liriche intrise di pathos e poesia, l’artista dà voce al proprio vissuto, raccontando quanto siano proprio le sofferenze causate da sentimenti e rapporti umani infranti a renderci ciò che siamo, un meraviglioso dipinto in continua evoluzione.
E come in un’opera che prende e muta forma in base alla prospettiva da cui viene osservata, il capitolo di un libro d’arte non ancora concluso, “Dinamite” aggiunge nuovi vividi colori al nostro affresco di vita ed in quel «fuoco ardente nelle mani della tua mente», svela la necessità di amare oltre il dolore, oltre il bisogno di essere amati, in un «me contro te» che continua ad unire i protagonisti di un legame che non imprigiona ma libera, tra speranze - «dillo che mi ami» -, ricordi - «tu eri il mio domani» - e accettazione - «rimani sempre, tu tra la gente» -.
Dall’incipit saturo di introspezione e riflessioni, il brano si schiude fino ad arrivare ad una vera e propria detonazione emotiva nei ritornelli, che, come lo stesso artista spiega, è in grado di connetterlo a se stesso e al proprio pubblico:
«Le strofe piene di interiorità, si aprono via via fino ai ritornelli colmi di contenuti e spessore, che fanno da vero e proprio pilastro all’ intero brano. “Dinamite” è brano intenso, viscerale, emotivamente molto forte. È una vera e propria bomba ad orologeria con un filo conduttore, quello che mi collega prima a me stesso e poi all’ascoltatore, facendoci diventare un tutt’uno».
Nato dall’esigenza dello stesso Kimele di mettere in musica una parte del proprio vissuto, il brano è un inno all’amore oltre ogni preconcetto, oltre ogni costrutto umano che troppo spesso ci impedisce di amare come dovremmo, senza pretese, senza aspettative, ma per il solo piacere di sentirci pervasi da un sentimento così alto e puro; perché ogni sofferenza scaturita dall’amore, non è il frutto dell’amore stesso, ma delle attese di cui rivestiamo i suoi destinatari.
«Con questo brano – conclude Kimele – vorrei davvero incoraggiare chiunque ad amare, amare profondamente, nonostante tutto. Amare ci rende vivi e credo che tutti noi abbiamo il diritto - oltre che l’umana l’esigenza -, di VIVERE-AMANDO. È un connubio perfetto. L’amore è una forma di bene e credo che ognuno di noi abbia una o più persone importanti nella propria vita. L’amore genera bene. Quindi siate felici, amando chi vi sta a cuore con l’assoluta libertà di farlo».
Una libertà nata proprio dal dolore, che ci consente, nonostante tutto, di rimetterci in gioco, perché è soltanto ponendo in campo se stessi senza maschere o filtri, muniti unicamente di quella carica che dona senso e battito al cuore, che potremmo dire di aver vissuto davvero, fino in fondo, come «dinamite sopra le ferite».
“Dinamite” anticipa una nuova serie di release di Kimele, che sin dall’esordio nel 2020 con “Come se tu fossi ancora qui”, ha affascinato pubblico e critica non soltanto per una padronanza vocale di raro riscontro ed un’abilità comunicativa degna dei più grandi interpreti, ma anche per quell’attitudine versatile e sperimentale che gli consente di passare con agilità e naturalezza da esecuzioni dal forte impatto emozionale a brani ritmati e carichi di leggerezza....
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"Fondotinta" è il nuovo singolo di Spinaz contro il body shaming
Ci sono canzoni capaci di toccare il cuore sin dal primo ascolto, brani il cui valore abbraccia e permea orecchie ed anima ben al di là dei minuti scanditi dal player. Storie di vita vissuta che si intrecciano e portano con sé la zavorra del giudizio e della cecità sociale che non sa scorgere oltre l’apparenza; esperienze, spaccati e trascorsi narrati da chi, ancora oggi, fa della musica un potente veicolo di messaggi importanti e, dell’essere artista, una responsabilità, quella di dar voce a chi il mondo ha tolto ogni anelito, ogni soffio di fiato. Tra queste, vi è senza dubbio “Fondotinta”, il nuovo singolo del cantautore tarantino d’adozione veneta e romagnola Spinaz.
A quasi un anno dall’EP d’esordio “Le mie dinamiche”, che ne ha evidenziato versatilità, attitudine sperimentale ed una cifra stilistica in continua evoluzione, l’artista torna in radio e nei digital store con un vero e proprio manifesto pop-rock contro discriminazione e body shaming, un inno autentico e sincero a quell’amor proprio che troppo spesso, anche a causa di un bombardamento mediatico costantemente volto ad esaltare l’esteriorità dell’individuo, elogiando linee e tratti impeccabili ed una pseudo perfezione fisica a discapito delle prerogative personali, fatichiamo a raggiungere, ottenere e perfino accettare.
Il brano si articola sul complesso quotidiano di una giovane donna, travolta dal timore di vivere scaturito dalla paura del giudizio e delle continue discriminazioni a cui è costretta dover far fronte ogni giorno. Insicurezza, sfiducia e quel senso di inadeguatezza costante, sono macigni interposti tra lei ed i suoi sogni, bagagli appesantiti da anni di prevaricazioni ed etichette, che hanno instaurato nella sua mente una serie di complessi la cui conseguenza è una ovvia e dolorosissima chiusura in se stessa, un’implosione fragorosamente silente che le impedisce di relazionarsi con chi la circonda.
L’attacco del pezzo, «ascolta i tuoi pensieri, son chiusi in un cassetto che apri di continuo pensando un po' al futuro» rappresenta l’invito, animato e sentito, a dar sfogo al proprio dolore attraverso un viaggio la cui meta non è soltanto l’accettazione di sé, ma soprattutto, la consapevolezza che il proprio valore non dipende e non deriverà mai da ciò che gli occhi giudicanti vedono di sfuggita senza fermarsi ad osservare, ma solo ed esclusivamente da quello che noi riusciamo a coltivare e costruire al di là di quella coltre di trascuratezza e distruzione che è a mero appannaggio di chi si limita a sentenziare senza conoscere, etichettando un’anima dal solo involucro che la riveste.
Ma è quel valore intrinseco, incastonato tra vuoti e ferite, a far brillare una luce unica e radiosa, in grado di abbagliare e incantare sguardi attenti e spontanei, occhi che sanno scorgere la bellezza oltre il velo della disillusione, occhi a cui, a primo acchito, non crediamo, proteggendoci dietro la fragile ma compatta corazza delle nostre incertezze e dei nostri autosabotaggi. Ed è così che, a metà del racconto, la protagonista incontra un ragazzo capace di sciogliere, giorno dopo giorno, il gelo interiore che le attanagliava il cuore, senza tentare di cambiarla, ma sanando le sofferenze non soltanto con il suo amore, ma dimostrandole l’effettiva esistenza di quei punti di forza che non sapeva notare, consentendole così di accettarsi fino in fondo e di amarsi per poter essere davvero in grado di amare e di ricevere il bene altrui.
«”Fondotinta” – dichiara Spinaz – è la storia di una donna che per troppi anni è stata giudicata per il suo aspetto fisico. Una donna che non si ritiene bella e nemmeno piacevole; insicurezze amplificate dalla cattiveria di alcune persone che continuano a denigrarla, facendola cadere nel pericoloso tunnel della depressione. All’improvviso, però, succede qualcosa: un incontro fortuito con un ragazzo che le cambierà la vita per sempre. Poco a poco, infatti, lei inizia a fidarsi di lui, trovando il coraggio di rinascere dalle sue stesse ceneri. Con tanta fatica, giorno dopo giorno, il tempo si trasforma in una vittoria nei confronti di se stessa e una rivincita verso coloro che si sono sempre presi gioco di lei basandosi sulle apparenze».
«Adesso tu sei forte, hai vinto il tuo nemico che prima si sentiva un po' troppo fico», riassume perfettamente il concetto di una rinascita generata dal desiderio di essere se stessi e apprezzarsi in tutte le proprie sfaccettature ed in quel «basta basta» ripetuto come un mantra e un memorandum salvifico - «basta basta fondotinta, basta basta body shaming, basta basta con quegli scemi» -, l’artista ricorda a tutti noi di combattere timori, pregiudizi e discriminazioni con il puro amore nei confronti di noi stessi, senza nessun filtro, nessun trucco, nessun “Fondotinta” che ne alteri l’essenza.
“Fondotinta” supporta l’Associazione di Volontariato “Il Bucaneve”, ETS umbra fondata nel 2012 da Maria Grazia Giannini, il cui obiettivo è sostenere, attraverso l’ascolto e l’orientamento, persone e caregiver che vivono una situazione di sofferenza legata ai Disturbi del Comportamento Alimentare, alla violenza di genere e/o maltrattamenti vissuti all’interno delle relazioni affettive, cui Spinaz devolverà parte dei ricavati del pezzo stesso.
Bori ci riporta agli anni del “Liceo” con il suo nuovo singolo
“Altro che l'Orlando Furioso, starei con lei 24 ore al giorno senza turno di riposo. È la mia Venere nera” è una delle battute più iconiche e romantiche della pellicola I Liceali di Pietro Valsecchi ed è anche una di quelle in cui, indipendentemente dall’età e dall’orientamento sessuale, ciascuno di noi può ritrovarsi, rivivendo, avvolto da una brezza leggera, quei primi amori nati tra i banchi di scuola. Ed è proprio tra quei banchi di scuola che il giovane e brillante cantautore urban Bori, al secolo Enea Ribolini, ci riporta con “Liceo” (WD Music Italy), il suo nuovo singolo.
Dopo gli oltre 2 milioni di streams ottenuti con “Lacrime” ed una serie di release di successo che l’hanno visto collaborare con amici e colleghi come Ethos, il talentuoso artista classe 2000 torna ad emozionare con l’incisività della sua penna e le intense sfumature della sua voce in un’esplosione di nostalgia e sentimenti, capace di ricondurre gli ascoltatori di ogni fascia di età ad un periodo della propria vita in cui la vera esperienza era viverne e costruirne di nuove.
Avvolto dal raffinato e malinconico abbraccio sonoro curato nei minimi dettagli dal sapiente tocco di Harley e Yanomi, il brano si apre con quel «Noi siamo fermi al liceo» che, come una deflagrante invocazione, avvia le danze sul dancefloor dei ricordi, facendo riemergere, tra ritmo e armonia, una suggestiva sequenza di istantanee che, attraversate dall’amore, faticano a rimanere chiuse nel cassetto del passato - «sei il presente migliore che io abbia mai passato» -.
Un excursus dal semplice concetto di spensieratezza, che mediante un linguaggio giovanile ma per nulla banale e scontato, punta i riflettori su quella che lo stesso artista definisce una “malinconia movimentata”, in grado di farci crescere e maturare anche grazie agli errori commessi e al dolore che si alterna tra la dolcezza e la passione dei suoi «sono tua» e la consapevolezza di non riuscire a dimenticare chi, infondo, ha «fatto di tutto tranne che restare».
«Questo pezzo – dichiara Bori – è una guida che vuole accompagnare l’ascoltatore nel viaggio dei ricordi, i ricordi di quello che, per la maggior parte delle persone, dai vent’anni in su, resta il periodo più bello della loro vita. E sicuramente è così, gli anni del Liceo sono quasi sempre intrisi di allegria, leggerezza e ancora distanti da tutte le responsabilità che arrivano in seguito, ma sono anche gli anni in cui tanti di noi si innamorano davvero per la prima volta e molti, per la prima volta, si ritrovano con il cuore spezzato. Ecco, “Liceo” è il mio flashback in musica a quegli anni, tra gli alti e bassi che comportano e da cui impariamo a diventare gli uomini e le donne che saremo».
“Liceo” riconferma la sensibilità autorale di Bori e si presenta come la prima di una serie di release che culmineranno, in primavera, con la pubblicazione del suo debut EP....
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Alchimista pubblica "Saudade", il suo nuovo intenso EP
Reduce dalla partecipazione a Casa Sanremo 2022 e dal successo di brani come “Oceano” e “Come in un sogno”, l’intenso cantautore e musicista genovese Alchimista, al secolo Davide Lusardi, torna nei digital store con “Saudade”, il suo nuovo EP in cui si intrecciano, nella perfetta alchimia tra musica ed emozioni, ricordi, riflessioni, esperienze e minuziosa ricerca sonora.
Anticipato dall’omonimo singolo e dalla delicatissima e struggente carezza sull’anima “Vertigine”, “Saudade” è un incredibile viaggio tra le note in cui si scorgono e si fondono scenari quotidiani a mondi incantati e fantastici, in un continuum emozionale che, come un rollercoaster nel Luna Park dei sentimenti, alterna al quieto dondolio della serenità, picchi di euforia e tumultuose e impervie discese.
Quattro brani accomunati dal fil rouge dell’esperienza, da quei frammenti di vita vissuta che, tra attimi di attesa, gioie e sofferenze, si innestano nei pensieri dove continuano ad esistere, come suggerisce il titolo, in un rewind nostalgico e malinconico di tutto ciò che è stato, ma persiste tra le pagine della nostra memoria.
Una mancanza composta, elegante, ricolma di dignità, che si nutre e si fortifica di quell’assenza presente da cui non riusciamo – e non vogliamo – liberarci e che l’artista esprime, mediante la poetica delle sue liriche, in un’autobiografia sospesa a mezz’aria tra mente e cuore, custodita in quell’isola lontana, di cui noi soltanto conosciamo la rotta, dove sono riposti tutti i nostri ricordi. Ricordi felici e sofferti, che tra un abbraccio e una ferita ci hanno reso ciò che siamo e che spesso fatichiamo a lasciarci alle spalle, per il timore di affrontare e affrontarci in un futuro incerto e del tutto nuovo, che richiede, quasi impone, di rinascere ogni giorno, mettendo un punto a quei capitoli che vorremmo continuare a leggere o riscrivere, anziché voltare pagina e trovare la forza per redigerne di nuovi.
Un vero e proprio percorso a tappe che, dalla “Vertigine” causata dall’insicurezza verso ciò che verrà, attraversa la “Saudade” degli istanti più leggeri e spensierati trasformati in “Grandine” dalla fugacità del tempo, per giungere ad un timido ma tanto atteso “Ciao presente”, che sancisce al tempo stesso la fine di un’avventura e l’inizio di quella successiva, con la promessa di vivere e viversi istante per istante.
La malinconia del passato, ma, in un’incantevole escursione onirica ad occhi aperti, la nostalgia di un futuro capace di sciogliere la fitta coltre tra unione e divisione, mediante paesaggi tropicali che scaldano il cuore e dissipano ogni barriera.
«Nelle immagini esotiche e nella nostalgia del futuro,
il confine fra separazione e unione si dissolve
e ciò che resta è “Saudade”».
Alchimista.
“Saudade” è supportato dal videoclip ufficiale di “Vertigine” - girato a Chiavari sotto la direzione di Emanuele Lauriola – che, presentato in anteprima su Sky TG24, verrà rilasciato su YouTbe nel corso delle prossime settimane.
A seguire, tracklist e track by track dell’EP:
“Saudade” – Tracklist:
Vertigine
Saudade
Grandine
Ciao presente
“Saudade” – Il disco raccontato dall’artista:
“Vertigine” è un brano autobiografico che racconta un momento di difficoltà in cui la mente gira vorticosamente senza tregua. Rappresenta la sensazione di trovarsi sull’orlo del precipizio e dover decidere in fretta se fare un passo in avanti, nel vuoto, alla ricerca di nuove vie, oppure aggrapparsi con quanta forza possibile alle nostre certezze. Credo fermamente che alle volte sia necessario fermarsi un attimo per riflettere, staccare il piede dall’acceleratore e godersi il paesaggio, anche se la strada è ancora lunga e in salita. La vertigine per me è questo, quello che si prova nell’attimo esatto in cui si sta prendendo lo slancio per volare e liberarsi dalle costrizioni e dagli ostacoli che molto spesso ci poniamo davanti da soli.
“Saudade”, la traccia che dà il nome all’EP, racchiude al suo interno quel sentimento che si respira in un’isola in mezzo all’oceano, al crepuscolo, la sera prima di una partenza. Negli occhi, sotto un cielo a macchie agrodolci, i dettagli indelebili delle ore che precedono la partenza e la separazione.
Poi c’è “Grandine”, una canzone che racconta, attraverso ripetuti flash di vivide immagini, i momenti e le emozioni di un viaggio la cui meta non è solo la destinazione, ma la nascita di una nuova relazione, apparentemente “leggera”. Nel ritornello canto «non siamo niente di serio, non siamo niente di che, noi siamo grandine», per cercare di descrivere la fugacità del tempo che ci ridimensiona istantaneamente, ricordandoci che tutto è volubile, proprio come chicchi di grandine che sono inevitabilmente destinati a sciogliersi. “Grandine” è il mio invito in musica a vivere ogni emozione e ogni momento al massimo.
Il progetto si chiude con “Ciao presente”, tratta di ritorno da un lungo periodo passato in una terra straniera. In aereo, in macchina o a piedi, questo è il momento più introspettivo dell’intero viaggio, dove si ripensa a ciò che abbiamo vissuto e a cosa ci aspetta al nostro rientro a casa. È un momento di transizione, in cui le strade percorse e le persone conosciute lasciano in noi un profondo ricordo che diventerà, inevitabilmente, cambiamento, trasformazione, catarsi....
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"Ricordi che non ho" è l'esordio solista di Mr Papel
Romano di nascita e cosmopolita per attitudine, il cantautore, polistrumentista e tecnico del suono Mr Papel approda in radio e nei digital store con “Ricordi che non ho” (PaKo Music Records/Believe Digital), il suo nuovo singolo che ne sancisce l’esordio solista ufficiale.
Reduce da una gavetta avviata in tenera età con lo studio del pianoforte e proseguita a pieno ritmo in qualità di frontman della band alternative rock Papel, con cui ha calcato i più prestigiosi palchi dello Stivale e non solo, l’artista dà il via a questo nuovo capitolo di ritmo e liriche con un pezzo capace di coniugare perfettamente passato e presente, senza tralasciare uno sguardo, sospeso tra malinconia e speranza, rivolto verso il futuro.
Una congiunzione sonora, testuale e d’intenti, che mediante il racconto di un’esperienza diretta, vissuta in prima persona, è in grado di abbracciare e connettere il pubblico di ogni età, mettendo in luce quanto, a prescindere dalle vicissitudini e dalle vicende individuali, differenti per ciascuno di noi, alcune dinamiche emozionali ci rendano tutti estremamente simili, vulnerabili oltre le nostre corazze e forti nelle meravigliose fragilità che ci attraversano.
Come protagonisti di una sceneggiatura senza tempo, a volte spettatori di una rappresentazione teatrale a cui nemmeno vorremmo assistere, la nostra vita si snoda lungo un itinerario diretto da mente e cuore, un circuito che, quando va in corto, ci costringe a fare i conti con noi stessi e con quel bagaglio di sentimenti e riflessioni che a volte diventa essenziale per il nostro stesso approvvigionamento interiore, altre, invece, una zavorra fatta di cocci e frammenti di una vita ormai lontana.
«Anche stavolta cado giù, da me, ma non importa anche se è tardi resto qui»; «Non ci sei che tu a far morire in me i pensieri, quei pensieri che mi dai»: passaggi suggestivi e toccanti da cui si evince la necessità di precipitare e crollare in se stessi, per poi giungere, a piccoli passi, a rimettere insieme ciò che rimane della propria anima - «Non importa anche se è tardi mi alzerò di qui» - , voltando pagina e ripartendo da un oggi che non guarda più a ciò che stato, ma si proietta e si costruisce su ciò che sarà.
Scritto e composto dallo stesso Mr Papel, prodotto da Alessandro La Padula e registrato nella Capitale tra i Mob Studios ed i pAd Studio, con immagini e grafiche a cura di Karen Natasja Wikstrand, “Ricordi che non ho” accarezza l’ascoltatore per condurlo, in poco più di 3 minuti, in una dimensione di consapevolezza la cui destinazione è la rinascita attraverso l’accettazione dei propri trascorsi.
La giovane attrice e cantautrice Alba, racconta la manipolazione psicologica in “Odiarti Anch’io”
A meno di un anno dal singolo d’esordio “Ciao” che l’ha consacrata ufficialmente al mercato discografico italiano evidenziandone talento autorale e raffinatezza interpretativa, la cantautrice e attrice partenopea Alba torna nei digital store con “Odiarti Anch’io” (Delma Jag Records), il suo nuovo singolo che ne riconferma eleganza e cifra stilistica, mettendo in luce un ulteriore aspetto della sua sensibilità artistica.
Nato dalla mancata possibilità di replica dopo la fine di una relazione, il brano è un bianco e nero di emozioni che fluiscono in vidi pensieri ed intensi ricordi, attraverso cui, la penna aggraziata e la vocalità morbida di Alba, disegnano un ritratto malinconico e avvincente al tempo stesso, in cui immergersi ed immedesimarsi per esorcizzare il dolore e liberarsi dal passato.
Sentimenti e percezioni contrastanti, sospesi tra il desiderio di poter rivivere i piacevoli momenti trascorsi insieme e la consapevolezza di aver perso qualcosa di importante ma al contempo nociva e deleteria, si susseguono per poi unirsi e allinearsi nella volontà di voltare pagina per ricominciare da se stessi, amandosi in quella totalità composta anche di ferite, vuoti interiori che non vanno colmati con il ricordo di chi ce li ha causati, o per meglio dire, di coloro a cui abbiamo permesso di causarceli, ma con una buona dose di amor proprio che deve necessariamente essere coltivata giorno dopo giorno.
Il bisogno di amare, ma soprattutto di essere amati, conduce spesso ad abbandonare la propria identità in favore di una relazione complessa e tormentata, sorretta da un’accettazione fittizia ed illusoria di ciò che in realtà non ci rappresenta ma fingiamo di essere per compiacere l’altro, una manipolazione subdola e meschina, spesso frutto di un senso di inadeguatezza, che ancor prima di giungere dall’esterno, rivolgiamo a noi stessi, permettendo, di conseguenza, a chi ci sta accanto di prendersi gioco dei nostri sentimenti.
«”Odiarti Anch’io” – dichiara Alba – racconta una storia, una storia di manipolazione e terrorismo psicologico. La protagonista è una giovane donna che, in un momento di fragilità, viene manovrata per far sì che diventi dipendente da un’altra persona, il cui obbiettivo è farla sentire inadeguata e annullata dal momento in cui non sono più insieme. Al contempo, però, è anche la storia di tutti coloro che cercano di aprire gli occhi smettendo di illudersi immaginando qualcosa che non esiste, riuscendo a trovare, guardando la realtà dei fatti, un motivo per non provare più quel tipo di amore».
«Sono nel fiore dei miei danni, ma scelgo io come distruggermi. Bastava stare insieme, tanto ormai so cadere» e «Tu che non sai star bene, dico stavolta volto pagina», sono tra i più rappresentativi passaggi del brano, mediante i quali si evince non soltanto la maturità della giovane cantautrice classe 2000, ma anche e soprattutto la sua capacità di raccontarsi e trasporre in musica uno spaccato di realtà che ancora troppo spesso passa e rimane in sordina, tra il timore del giudizio e la minimizzazione sociale.
“Odiarti Anch’io”, scritto dalla stessa Alba e prodotto da Samuel Aureliano Trotta, è accompagnato dalle emblematiche grafiche di Mery Sinatra e dalle immagini di Diana De Luca.
Intensa, penetrante e dotata di una finezza espressiva di raro riscontro, Alba rappresenta una delle migliori promesse della nuova scena pop nazionale al femminile, il perfetto ibrido tra contemporaneità e la classe che da sempre contraddistingue le produzioni cantautorali italiane.
Dopo il "Magico Tour" con Mondo Marcio, Valy torna il 3 Marzo con il singolo "Arcobale
Reduce dal successo del featuring con Mondo Marcio “Nella mia tempesta” e dalle tre serate che l’hanno vista tornare al suo fianco in qualità di corista per il Magico Tour, condividendo alcuni dei più prestigiosi palchi dello Stivale con gli special guest Mostro, Nerone e Nitro, Valentina Rizzi approda in radio e nei digital store da venerdì 3 Marzo con “Arcobaleni” (Zante Label/distr. Altafonte Italia), release che inaugura un nuovo capitolo della sua brillante carriera artistica e ne sancisce l’esordio sotto lo pseudonimo Valy.
Scritto in concomitanza con il termine delle restrizioni legate alla pandemia, il brano è un encomio alla vita, un’esortazione in chiave pop autoironica ad allontanarsi da convenzioni e cliché, riappropriandosi di una libertà troppo spesso data per scontata e respirando a pieni polmoni la meraviglia dell’esserci e del poter condividere, con chi ci circonda, il desiderio di ricominciare partendo da se stessi, riscoprendo il valore della propria autenticità e di quella altrui, oltre il giudizio ed il timore di accettarsi ed essere accettati.
Non solo un elogio all’esistenza, ma anche a tutte le peculiarità individuali che spesso ci conducono a chiuderci in noi stessi per l’apprensione di non essere accolti e compresi all’esterno, caratteristiche e prerogative personali che la cantautrice milanese invita a percepire come punti di forza, come lei stessa spiega:
«Ho scritto questo pezzo post pandemia, periodo in cui la voglia di tornare a vivere e stare in mezzo alla gente era tanta, nonostante la mia sociofobia. Mi sono sentita letteralmente travolta dall’entusiasmo, come se stessi attraversando una seconda adolescenza: sono uscita ogni sera per un’intera estate, ho fatto pace con la mia sessualità e con me stessa; insomma, dopo un periodo così buio, ho colorato la mia vita di nuove esperienze ed è così che è nata “Arcobaleni”. Mi auguro di farvi ballare e divertire con una meritata spensieratezza, perché a volte, concedersi un po’ di leggerezza, è fondamentale».
Prodotto da Avanzi che ne ha firmato anche l’arrangiamento in collaborazione con Paolo Raia, “Arcobaleni”, con shooting a cura di Luca Di Trocchio, non è un fotogramma statico ed isolato volto ad immortalare una singola esperienza del passato, ma un insieme di istantanee, scattate da diverse prospettive e con obiettivi differenti, finalizzate a raccontare un percorso in continua evoluzione, che nonostante i suoi alti e bassi, la sua frenesia ed il rollercoaster emotivo che ne consegue, perfettamente rappresentato dall’abbraccio sonoro che avvolge il brano, ci accompagna in un viaggio di ironia e spensieratezza, ricordandoci, al contempo, la necessità di accettare ogni sfumatura e cromia che compone i nostri personalissimi, unici e meravigliosi “Arcobaleni”....
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"Quanta Luce" è il singolo d'esordio di Eric Mormile contro l'emarginazione
Dopo aver mostrato la sua versatilità su YouTube con l’interpretazione di cover capaci di spaziare dall’ heavy metal di “Bark at the Moon” di O. Osbourne al pop raffinato e malinconico di “Inseguendo il Vento” di Mango, il cantautore, insegnante di educazione musicale e polistrumentista partenopeo Eric Mormile approda in radio e nei digital store con “Quanta Luce”, il suo singolo d’esordio in grado di avvalorarne eclettismo e minuziosa ricerca sonora.
Il brano, articolato su un travolgente elettro rock ispirato alla corrente new wave/synth pop dei primi anni ’80, mette in luce l’abilità compositiva ed esecutiva dell’artista e rappresenta una vera e propria esortazione a non cedere e non sopperire alla ristrettezza percettiva che ancora oggi, troppo spesso, ci conduce ad etichettare ciò che non comprendiamo istantaneamente come “diverso”, con un’accezione negativa e ghettizzante.
Nato dalla carica immaginifica dello stesso Eric, che ha saputo tradurre e trasformare un’esperienza diretta ostile del passato in un innovativo dipinto di ritmo e cromie interpretative, “Quanta Luce” racconta l’emarginazione sociale incoraggiando coloro che vengono classificati come “strani”, e per questo esclusi ed isolati, a non reprimere il loro bagliore interiore, poiché, per quanto arduo e complesso appaia seguire il proprio faro animico, soprattutto in alcune fasi della vita come quella dell’adolescenza, non è mai un errore essere autentici, ma, al contrario, risulta essere l’unica via per scoprire e apprezzare se stessi.
Non soltanto un trascorso vissuto in prima persona, ma anche una forte empatia scaturita dall’attenta analisi che, da insegnante, l’ha portato ad osservare quanto, in alcune classi, tutt’oggi, i giovani e le giovani che fuggono dall’omologazione di pensieri, azioni e atteggiamenti, esprimendo se stessi in maniera libera e spesso controcorrente, vengano definiti dai pari - e non solo - come persone da escludere, marginalizzandole in una solitudine dietro la quale non sempre è facile farsi scudo traendone riparo.
«”Quanta Luce” – dichiara Eric Mormile - nasce dal vissuto di tutti i giorni, dalla mia stessa pelle all’osservazione degli altri. L’ho scritto durante uno dei primi anni da docente in educazione musicale: sono capitato nella mia vecchia scuola media, un classico istituto di quartiere con vere e proprie classi-ghetto, classi medie e classi eccellenti. Ho potuto notare, a distanza di anni, come le cose, purtroppo, non siano cambiate: la situazione di alcuni alunni era quella di emarginazione totale….Il motivo? Si trattava di giovani intelligenti, brillanti e per questo additati ‘’diversi’’ dalla mediocrità sociale che vivono e viviamo quotidianamente. Lì, ho capito che in un quartiere come quello in cui vivo le cose non potranno mai cambiare se non proviamo a cambiarle noi adulti. Questi alunni, con cui ho fortemente empatizzato, hanno ispirato il brano ed io vorrei ispirare loro e tutti coloro che vivono una condizione di isolamento sociale come frutto di discriminazione e ristrettezza mentale, a combattere la visione distorta del nostro tempo tale per cui le peculiarità soggettive diventano un male per la collettività, dicendo loro di continuare a far brillare la loro luce, il loro modo di essere, senza preoccuparsi del giudizio altrui, perché crescendo si accorgeranno che chi rimarrà davvero abbagliato dalla purezza del loro chiarore, li capirà all’istante e li accetterà ed apprezzerà senza provare a cambiarli».
Proprio da questo focus di inclusione e accettazione, la scelta di scrivere e interpretare il pezzo in lingua napoletana, come lo stesso Eric spiega:
«Con il tipo di musica che propongo ed il linguaggio che utilizzo per esprimerla, sono di fatto anche io un ‘’diverso’’, e per questo non mi aspetto di essere capito, ma proprio perché credo nel valore della diversità come punto di forza e nelle parole di questa canzone, ho deciso di presentarmi al mondo nel mio dialetto per pura esigenza personale espressiva e per onestà stilistica. Questo è il mio punto di partenza, una presentazione: io sono questo qui, piacere!»
Musicalmente ispirato al tapping chitarristico rivoluzionario e innovatore di Eddie Van Halen, a cui il cantautore rende omaggio, “Quanta Luce” incoraggia l’ascoltatore a sottrarsi dalla mediocrità del nostro tempo, continuando ad alimentare il proprio fuoco interiore, e si fa portare anche di un altro messaggio, perlopiù rivolto ai rappresentanti della scena discografica napoletana:
«Ai miei colleghi musicisti e cantautori conterranei, voglio dire di non temere la sperimentazione sonora: anche se amate generi e stili che si dissociano dalla tradizione del nostro meraviglioso territorio, integratele al vostro gusto, perché è solo così che potremo, tutti insieme, modernizzare e portare avanti la cultura ed il cuore pulsante della nostra musica».
“Quanta Luce”, accompagnato dal videoclip ufficiale, girato ad Ischitella Lido (CE) e diretto da Bruno Guarino, anticipa una serie di release che verranno rilasciate con cadenza bimensile e culmineranno nell’omonimo debut album di Eric Mormile, un viaggio tra sonorità, cultura, innovazione e sperimentazione che ha tutte le carte in regola per riportare la musica partenopea oltre i confini locali e nazionali....
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"Quanta Luce" è il singolo d'esordio di Eric Mormile contro l'emarginazione
Dopo aver mostrato la sua versatilità su YouTube con l’interpretazione di cover capaci di spaziare dall’ heavy metal di “Bark at the Moon” di O. Osbourne al pop raffinato e malinconico di “Inseguendo il Vento” di Mango, il cantautore, insegnante di educazione musicale e polistrumentista partenopeo Eric Mormile approda in radio e nei digital store con “Quanta Luce”, il suo singolo d’esordio in grado di avvalorarne eclettismo e minuziosa ricerca sonora.
Il brano, articolato su un travolgente elettro rock ispirato alla corrente new wave/synth pop dei primi anni ’80, mette in luce l’abilità compositiva ed esecutiva dell’artista e rappresenta una vera e propria esortazione a non cedere e non sopperire alla ristrettezza percettiva che ancora oggi, troppo spesso, ci conduce ad etichettare ciò che non comprendiamo istantaneamente come “diverso”, con un’accezione negativa e ghettizzante.
Nato dalla carica immaginifica dello stesso Eric, che ha saputo tradurre e trasformare un’esperienza diretta ostile del passato in un innovativo dipinto di ritmo e cromie interpretative, “Quanta Luce” racconta l’emarginazione sociale incoraggiando coloro che vengono classificati come “strani”, e per questo esclusi ed isolati, a non reprimere il loro bagliore interiore, poiché, per quanto arduo e complesso appaia seguire il proprio faro animico, soprattutto in alcune fasi della vita come quella dell’adolescenza, non è mai un errore essere autentici, ma, al contrario, risulta essere l’unica via per scoprire e apprezzare se stessi.
Non soltanto un trascorso vissuto in prima persona, ma anche una forte empatia scaturita dall’attenta analisi che, da insegnante, l’ha portato ad osservare quanto, in alcune classi, tutt’oggi, i giovani e le giovani che fuggono dall’omologazione di pensieri, azioni e atteggiamenti, esprimendo se stessi in maniera libera e spesso controcorrente, vengano definiti dai pari - e non solo - come persone da escludere, marginalizzandole in una solitudine dietro la quale non sempre è facile farsi scudo traendone riparo.
«”Quanta Luce” – dichiara Eric Mormile - nasce dal vissuto di tutti i giorni, dalla mia stessa pelle all’osservazione degli altri. L’ho scritto durante uno dei primi anni da docente in educazione musicale: sono capitato nella mia vecchia scuola media, un classico istituto di quartiere con vere e proprie classi-ghetto, classi medie e classi eccellenti. Ho potuto notare, a distanza di anni, come le cose, purtroppo, non siano cambiate: la situazione di alcuni alunni era quella di emarginazione totale….Il motivo? Si trattava di giovani intelligenti, brillanti e per questo additati ‘’diversi’’ dalla mediocrità sociale che vivono e viviamo quotidianamente. Lì, ho capito che in un quartiere come quello in cui vivo le cose non potranno mai cambiare se non proviamo a cambiarle noi adulti. Questi alunni, con cui ho fortemente empatizzato, hanno ispirato il brano ed io vorrei ispirare loro e tutti coloro che vivono una condizione di isolamento sociale come frutto di discriminazione e ristrettezza mentale, a combattere la visione distorta del nostro tempo tale per cui le peculiarità soggettive diventano un male per la collettività, dicendo loro di continuare a far brillare la loro luce, il loro modo di essere, senza preoccuparsi del giudizio altrui, perché crescendo si accorgeranno che chi rimarrà davvero abbagliato dalla purezza del loro chiarore, li capirà all’istante e li accetterà ed apprezzerà senza provare a cambiarli».
Proprio da questo focus di inclusione e accettazione, la scelta di scrivere e interpretare il pezzo in lingua napoletana, come lo stesso Eric spiega:
«Con il tipo di musica che propongo ed il linguaggio che utilizzo per esprimerla, sono di fatto anche io un ‘’diverso’’, e per questo non mi aspetto di essere capito, ma proprio perché credo nel valore della diversità come punto di forza e nelle parole di questa canzone, ho deciso di presentarmi al mondo nel mio dialetto per pura esigenza personale espressiva e per onestà stilistica. Questo è il mio punto di partenza, una presentazione: io sono questo qui, piacere!»
Musicalmente ispirato al tapping chitarristico rivoluzionario e innovatore di Eddie Van Halen, a cui il cantautore rende omaggio, “Quanta Luce” incoraggia l’ascoltatore a sottrarsi dalla mediocrità del nostro tempo, continuando ad alimentare il proprio fuoco interiore, e si fa portare anche di un altro messaggio, perlopiù rivolto ai rappresentanti della scena discografica napoletana:
«Ai miei colleghi musicisti e cantautori conterranei, voglio dire di non temere la sperimentazione sonora: anche se amate generi e stili che si dissociano dalla tradizione del nostro meraviglioso territorio, integratele al vostro gusto, perché è solo così che potremo, tutti insieme, modernizzare e portare avanti la cultura ed il cuore pulsante della nostra musica».
“Quanta Luce”, accompagnato dal videoclip ufficiale, girato ad Ischitella Lido (CE) e diretto da Bruno Guarino, anticipa una serie di release che verranno rilasciate con cadenza bimensile e culmineranno nell’omonimo debut album di Eric Mormile, un viaggio tra sonorità, cultura, innovazione e sperimentazione che ha tutte le carte in regola per riportare la musica partenopea oltre i confini locali e nazionali....
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Il rock pungente e raffinato dei 3nema racconta l’ossessione del denaro ai giorni nostri in "Mon
Dopo aver valicato i confini dei limiti interiori ed aver spezzato, a suon di elettro-pop-rock, le catene dei timori e degli auto-sabotaggi personali in “Psychedelic”, i 3nema tornano a scandagliare le dinamiche della società contemporanea sotto la lente di riff e rullanti in “Money”, il loro nuovo singolo.
Con la sottile e pungente arguzia che li contraddistingue, sorretta da un’indiscutibile eleganza comunicativa, la band gardesana punta il dito e i riflettori sulla spasmodica rincorsa al soldo che contraddistingue i giorni nostri e sul valore, eccessivo, distopico e fuorviante, attribuito al denaro, in particolare da parte delle nuove generazioni che, plasmate dalla malia di un modello sociale alterato e irrealistico, spesso promulgato da social e mass media, appaiono sempre più ossessionati da un arricchimento monetario finalizzato a se stesso, a discapito di tutta quella serie di esperienze e riflessioni che consentono di riconoscere i soldi come un mezzo e non un fine, uno strumento e non una meta.
«Malati per i soldi, lavori tutti i giorni, ti spendi tutti i soldi e a fine mese torni con i portafogli sgonfi», è uno dei passaggi più rappresentativi dell’intero brano, da cui si evince, attraverso un’analisi purtroppo non lontana dall’istantanea sociale moderna, non soltanto il maniacale e morboso attaccamento al denaro capace di sfociare nel patologico, ma anche e soprattutto l’utilizzo impulsivo, compulsivo e avventato che se ne fa, la cui conseguenza è il rovinoso tracollo, non soltanto dal punto di vista delle finanze, ma prevalentemente e principalmente sotto l’aspetto emotivo e psicologico.
Sin dall’intro, il sound ammiccante e coinvolgente del pezzo accompagna l’ascoltatore in una dimensione audiovisiva ambivalente in cui, se da un lato risulta semplice ed immediato immedesimarsi in una condizione di potere, tra lusso e pseudo-benessere, dall’altro, rende istantaneamente nitido come tutto ciò che proviene dal mero acquisto e dalla smania di possesso, non possa portare ad altro che ad una situazione di finta gioia, una felicità effimera e frammentata che, sul lungo periodo, se non sostenuta da un obiettivo che ne permea senso e prestigio, rischia di trasformarsi in un avvilimento costante, in un’agiatezza di facciata dietro cui si cela una profonda inadeguatezza interiore.
Nella seconda strofa, con quel «non dirmi che i tuoi sogni sono morti, a fine mese con la busta svuoti tutti i portafogli», il trio bresciano ci ricorda l’importanza di mantenere vivi passioni e desideri, allontanandoci dalla frenesia di sostituire impegno, sacrificio e dedizione con beni materiali che fungono da surrogati momentanei e irrilevanti.
«”Money” – dichiarano i 3nema - parla dell'uso smodato che la gente fa dei soldi, soprattutto le generazioni più giovani, e del modo in cui le persone li cercano e li inseguono, con ossessione. È quasi come se nel mondo esistesse solo il denaro. Sembra che la felicità si nasconda dietro banconote con cui acquistare capi firmati e macchine di lusso, facendosi vedere dagli altri. I soldi..Sono indispensabili? Si, senza dubbio, altrimenti non potremmo vivere. Ma…Sono loro a renderci felici o sono un mezzo che ci permette di rendere la nostra vita migliore, acquistando ciò che davvero vogliamo e di cui necessitiamo? La vera felicità è composta di emozioni e quelle non si comprano».
Accompagnato dal videoclip ufficiale, in uscita nel corso delle prossime settimane, diretto da Greysproduction e girato tra Castiglione delle Stiviere e Desenzano del Garda, “Money” segna una nuova tappa della 3nema Way, riconfermando la minuziosa ricerca sonora della band e la loro attitudine a miscelare generi e sonorità mantenendo una raffinatezza espressiva che gli consente di raccontarsi senza filtri al pubblico di ogni fascia di età.
“L’amore che dura più a lungo è l’amore non corrisposto”, scrisse William Somerset Maugham ed è da questa sofferta e travagliata condizione del cuore che ha preso vita “Non fai per me” (PaKo Music Records/Visory Records/Believe Digital), il nuovo intenso singolo del cantautore ravennate PlatoNico, che dopo aver conquistato pubblico e critica con la sensibilità della sua penna in “Sharks Land”, apre il 2023 con un messaggio di speranza, rivalsa e amor proprio.
Dall’idealizzazione del partner, scaturita dal sentimento, ma anche e soprattutto dal desiderio di essere accettati senza giudizio per ciò che si è, l’artista conduce l’ascoltatore a percepire la fine di una relazione come un nuovo inizio, l’avvento di un sé rinnovato, capace di amarsi prima di amare, in grado di accogliere ogni lato della propria personalità, con la consapevolezza che occorre completarsi da soli, perché è solo ricercando all’interno del proprio universo interiore integrità ed interezza personale, che è davvero possibile amare, non dipendere e, di conseguenza, essere amati senza annullarsi nell’altro.
Le sonorità elettro-pop che avvolgono inizialmente il brano di mistero, si schiudono al primo ritornello, sbocciando in una dimensione di rinascita e coscienza, nella quale il protagonista della narrazione si riappropria a piccoli passi di un’identità perduta, frammentata dall’inseguimento di un benessere fittizio che il tempo ha smascherato, rivelandone il vero volto e mostrando che la sola fonte di pace e completezza, è già insita in lui, congenita a ciascuno di noi.
«“Non fai per me” – dichiara il cantautore - racconta di un grande dolore, quello provato da tutti coloro che subiscono all’interno di una relazione, che soffrono per un amore a senso unico. Tratta del baratro ove si può cadere se si sta attraversando una fase fragile della vita, quando era stata riposta molta fiducia nell’altro, mettendolo sempre al primo posto. La canzone, però, è anche un invito a riprendere in mano la propria esistenza, tornando ad esserne il centro, dopo tutto il tempo in cui ci si è privati di se stessi».
Ed è così che quel «guardo all’orizzonte e vedo solamente te», lascia il posto ad «un eco di un ricordo, una pagina nel buio», con la contezza acquisita che «ora so che non fai per me».
La release è accompagnata dal videoclip ufficiale, girato tra Dozza (BO), Toscanella (BO) ed Imola sotto la direzione di Luca Giorgi e presentato in anteprima nazionale su Sky TG24.
Penetrante, versatile e intimista, PlatoNico riconferma le sue abilità autoriali ed interpretative, regalandoci una profonda immersione in un’interiorità ferita che può essere sanata solo mediante la sua accettazione....
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Dopo aver magnetizzato il pubblico con le sonorità ipnotiche di “Armageddon” ed averlo cullato con la malinconica dolcezza di “Latte e Biscotti”, il poliedrico cantautore e producer milanese Pecci, nuovo volto della fusione musicale made in Italy, torna a mostrarci il suo eclettismo in “Incubo” (distr. ADA Music Italy), perfetta destinazione del suo Ciclo dei Sogni che, iniziato nel 2021 con la pubblicazione di “Narcolettico”, in questa tappa conclusiva trova senso e valore mediante la sua antitesi.
Su ricercate ed attualissime sonorità indie-lunge, minuziosamente curate dall’abilità figurativa di Delicottero, si posa infatti un testo d’autore in cui l’incubo simboleggia il viaggio verso la scoperta di se stessi nella propria totalità, perché è solo entrando in contatto con timori e conflitti interiori, temprati dall’indomita volontà di guardarli dritti negli occhi, che è possibile comprenderli a fondo prima, per esorcizzarli e superarli poi.
Una vera e propria accettazione della ciclicità dell’esistenza, in cui bene e male non si identificano in concetti necessariamente contrapposti, bensì in un incessante fluire nel quale, senza la presenza di uno, non potrebbe esistere l’altro e, di conseguenza, ove ciascun essere umano è conscio di dover accogliere entrambi all’interno della propria quotidianità. Questo è “Incubo”, una carezza delicata sulla ruvidità di paure complesse da scardinare, una brezza fine e leggera sulle zavorre che gravano e gravitano nel nostro universo animico, una vivida istantanea su ciò che è la nostra vita al momento presente e su ciò che, invece, sarebbe stata se avessimo pensato e agito in maniera differente:
«In questo pezzo – dichiara Pecci -, cerco di entrare in un incubo per rassicurarmi in un momento di stress e tensione, rendendo il più lucido e nitido possibile un sogno che poteva finire male».
In quel «fragile gioco d’istinto», rappresentato da un’impeccabile sequela di liriche e traslati, l’artista narra inizialmente le complessità che si celano dietro alle maschere che abitualmente indossiamo per l’apprensione di mostrare la nostra vera natura, come «palazzi argento e neon che nascondon la provincia»; maschere che, come pozzanghere sul cemento del cuore, riflettono un volto alterato e distorto, portandoci a confonderci e confondere - «nelle pozzanghere non ti tuffare che ti fai male, che ti fai male e poi piangi e fai danni anche agli altri» -, per poi affrontare, nella seconda strofa, l’importanza di vivere appieno gettando a terra ogni filtro - «per un secondo fatti sto viaggio» - ed inutile dissimulazione, perché infondo «è così bello avere coraggio», il coraggio di scorgere oltre «un futuro già visto», al di là un’immagine distopica e ingannevole proiettata da «specchi infranti» che solo l’audacia di guardarsi dentro sa ricostruire, ricomponendone ogni frammento, senza sostituirlo, ma rendendolo parte di un nuovo processo creativo, più autentico e realistico che mai.
La release è accompagnata dal videoclip ufficiale, diretto da Andrea Pomarico, in cui Pecci ripercorre flashback e ricordi per poi liberarsi dei fardelli del suo passato, raffigurati nella clip attraverso la suggestiva metafora di un bagaglio, gettato, alla fine del viaggio, tra le fiamme di un falò, simbolo di trasmutazione e rinascita.
“Incubo” chiude ufficialmente il Ciclo dei Sogni, inaugurando al contempo il nuovo percorso artistico di Pecci, un cantautore originale e versatile che ha fatto della fusione di generi e stili la sua cifra stilistica e, dell’emozionalità e dell’eleganza, i punti cardine di un successo in continua ascesa....
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SciaronC pubblica “Superwoman”, un irresistibile inno alla forza delle donne
Imprenditrice, manager, autrice e cantautrice di successo, SciaronC approda in radio e su tutti i digital store con “Superwoman” (Made4Fame), il suo primo singolo ufficiale che ne risalta talento, carisma ed una potenza vocale degna delle più grandi popstar internazionali.
Meticolosamente avvolto da travolgenti sonorità Slap House intrise di frizzanti nuance Dance anni ’90 – curate dalla creatività di Dany De Santis -, il brano è un vero e proprio inno alle donne contemporanee, sempre più protagoniste consapevoli della loro quotidianità poliedrica e di una società che troppo spesso non richiede, ma impone loro, di destreggiarsi abilmente tra lavoro, famiglia, casa, collettività e responsabilità.
Donne indipendenti e intraprendenti, capaci di dribblare gli ostacoli della vita in virtù dei loro sogni e dei loro affetti più cari, determinate, ambiziose ma mai prevaricatrici, in costante evoluzione con se stesse pur rimanendo fedelmente connesse alle loro radici; donne che sognano in grande, ma sempre con i piedi saldi a terra, donne che amano il benessere e lo raggiungono, lo costruiscono, giorno dopo giorno con le proprie sole forze, senza dipendere da persone ed influenze esterne.
“Superwoman” è tutto questo e molto di più, è un encomio alla forza d’animo femminile scritto da una giovane e brillante rappresentante di una quota rosa che sa racchiudere in un unico colore tutte le sfumature dell’esistenza, riuscendo a padroneggiarle con estrema sensibilità e con quell’incredibile mix di dolcezza, eleganza, sensualità, energia ed efficacia che ognuna, in maniera del tutto unica e personale, porta dentro di sé. Ed è questa potentissima luce interiore che ha consentito a SciaronC di realizzare tutti i suoi sogni, continuando a crearne e conseguirne di nuovi: l’artista meneghina, titolare di Made4Fame, una prestigiosa azienda in perfetta linea con le sue attitudini e passioni, mediante questo pezzo, nato dalla proficua collaborazione con il suo team di musicisti e produttori ed il coreografo Lino Villa, incoraggia tutte le donne a riappropriarsi del loro super potere, quello di vivere una vita completa e appagante, senza il bisogno di aggrapparsi a relazioni nocive o a convenzioni e cliché distorti e obsoleti.
«Mi sono divertita molto a scrivere “Superwoman” – dichiara l’artista -, che è arrivata di getto, come una ventata d’aria fresca. È un pezzo che mi rappresenta sotto ogni punto di vista, ma in cui qualsiasi donna può ritrovarsi: dalle mamme che si dedicano a tempo pieno anima e corpo ai propri figli facendo le casalinghe, alle giovanissime che stanno tracciando il loro futuro, perché infondo, ognuna di noi è super, nessuna esclusa. Ciò che conta davvero, è non provare invidia verso chi ci circonda e continuare, step by step, ad essere le regine indiscusse del nostro castello più prezioso, quello che abbiamo nel cuore. “Superwoman” è una rivalsa su una cultura ancora troppo limitata e si pone l’obiettivo di incoraggiare all’azione le donne che, come me, vogliono uscire da uno spazio limitato per colorare fuori dai bordi».
Una rivalsa verso un mondo ancora troppo immerso nella disparità di genere, nel maschilismo e nel patriarcato, una bandiera di note e valori che simboleggia tutte coloro che, da donne, si impegnano quotidianamente per realizzare i propri desideri e apportare un cambiamento finalizzato ad una parità effettiva, priva di prevaricazioni e di un femminismo volto a primeggiare sull’uomo; un’uguaglianza globale in cui nessuno è migliore degli altri, perché ciascuno è unico e fondamentale per il conseguimento di un domani migliore.
«Ritengo importantissimo – conclude la cantautrice - continuare a coltivare, inseguire e raggiungere ciò che desideriamo, perché suppur ci chiamano e ci definiscono da sempre “sesso debole”, noi donne di debole non abbiamo proprio nulla e possiamo, anzi, dobbiamo, gettare le basi per un futuro di vera uguaglianza!»
“Superwoman” è accompagnato dal videoclip ufficiale, diretto da Made4Fame, che in maniera volutamente provocatoria, traspone in immagini la rilevante accezione del testo.
Grintosa, magnetica, versatile e incisiva, SciaronC rappresenta perfettamente la donna di oggi, una donna che sa chi e cosa vuole essere e si impegna costantemente per raggiungere i propri obiettivi.
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Lorenzo Ciffo torna a dipingere in note l’animo umano con “Dreamin’ in the sky”, il suo nuovo singolo
Ci sono release che non necessitano di parole per giungere dritte al cuore degli ascoltatori, artisti capaci di fondere alla perfezione stati d’animo ed emozioni alla loro attitude creativa che, unita ad un’abilità esecutiva frutto di impegno, dedizione e formazione, regala al pubblico una profonda immersione sensoriale in grado di coinvolgere, stupire ed affascinare. Uno di questi è senza dubbio Lorenzo Ciffo che, reduce dal successo delle sue precedenti release, tra cui l’avvincente celtic-ballad “Opening the Battle”, torna nei digital store con “Dreamin’ in the sky”, il suo nuovo singolo.
Speranza, gioia ed evoluzione personale si susseguono in meno di un minuto e mezzo, cullate dal soave incalzare del pianoforte e dalle positive vibes scaturite dalle percussioni, avvolgendo mente, orecchie ed anima in un abbraccio delicato che conduce istantaneamente a quell’imprescindibile connessione con se stessi resa sempre più complessa e frammentata dalla frenesia della nostra contemporaneità.
«”Dreamin’ in the sky” – dichiara Ciffo – è un viaggio introspettivo, circondato da un paesaggio collinare, una maturazione dell’essere che si eleva sempre più, guidando l'ascoltatore verso la retta via».
Una retta via esclusiva e soggettiva, ma atta ad estendersi al collettivo mediante la serenità con cui permea ogni singolo individuo, che “Dreamin’ in the sky” – letteralmente “Sognando nel cielo” – rappresenta in maniera eccelsa, fungendo da obiettivo di un meraviglioso scatto animico, circondato dall’inestinguibile forza della natura, che, attraverso suoni iconografici ed una progressione sempre più dinamica, avvalorata dalla crescente modulazione di strumenti e dall’arricchimento di una voce maschile a metà dell’opera, simboleggiano l’avanzamento e lo sviluppo dell’essere umano, la ricerca individuale della propria essenza.
Il raffinato brio che compenetra l’intera opera, rimanda senza indugi ad un contesto naturalistico ove leggerezza, fiducia e armonia diventano gli ingredienti principali di un piccolo ma straordinario capolavoro, quello della nostra vita.
L’artwork del brano è stato realizzato dalla competenza professionale e dalla sensibilità raffigurativa di Elena Conte, che ha saputo trasporre l’incantevole accezione del pezzo in forme e cromie....
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Brots e Asian Fake si uniscono per offrire agli artisti nuove opportunità di crescita nel mondo web3
Brots, piattaforma leader in Italia che consente agli artisti di condividere con un click i frutti della loro creatività nel mondo web3 (NFT), inaugura il 2023 annunciando una nuova significativa collaborazione, la partnership con l’etichetta discografica Asian Fake.
I primi tre progetti rilasciati lo scorso anno dalla label meneghina con GINEVRA, Deriansky ed ALDA hanno collezionato un sold out dietro l’altro, confermando il sempre più crescente interesse nei confronti dei digital collectible su Brots.
I contenuti digitali realizzati da Brots e acquistabili sul portale, sono infatti uno strumento innovativo e tecnologico che permette ad ogni artista di instaurare, sviluppare e alimentare solide relazioni con le proprie fanbase di riferimento, offrendo omaggi esclusivi, quali video inediti, live performance, esperienze AR o merchandise in anteprima.
Con questa partnership, Brots prosegue la sua ascesa nel mercato musicale nazionale, offrendo a cantautori, interpreti e musicisti non soltanto uno spazio virtuale in cui promuovere la loro attività ed i conseguenti prodotti, ma anche nuove opportunità di monetizzazione, limpide, etiche e puntuali.
Questa nuova collabo, è solo l'ultima di una lunga serie che vedono Brots cooperare con alcune delle più celebri e solide realtà del mondo discografico internazionale, come quella recentemente avviata con FIMI, che ha è approdata nel mondo del web 3.0 utilizzando la tecnologia blockchain e premiando l'artista Lazza come best-seller dell'anno con un premio in formato NFT.
«Siamo entusiasti di lavorare con Asian Fake e di offrire ai loro artisti l'opportunità di espandere la loro presenza sulla nostra piattaforma - dichiara Alessandro Marin, CEO di Brots -. Siamo fermamente convinti che i contenuti digitali rappresentino il futuro della musica e siamo davvero lieti di essere all'avanguardia nel loro utilizzo».
About us.
Brots è una piattaforma che rende l'esperienza Web3 accessibile a tutti, consentendo pagamenti in euro e creazione del wallet in un solo click. L’azienda, #1 in Italia, sta sperimentando metodi innovativi nell’utilizzo di NFT per l'industria musicale, connettendo il Web2 al Web3, in un’ottica di qualità, condivisione, avanzamento e ricerca tecnologica, senza dimenticare la costante attenzione a scelte etiche ed ecologiche....
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“Gli altri sanno chi sono?”, un quesito da cui si innesca una profonda riflessione, un interrogativo che ci conduce a porcene altri, per scavare oltre le maschere e capire in prima persona chi siamo davvero; una domanda, forse la più arcana e viscerale, da cui è partito “Delorean”, il nuovo viaggio introspettivo di Seta.
Reduce dal successo di “Tarantola”, singolo che ha affascinato pubblico e critica per le intense sonorità creepy-pop e la visione ambivalente e dicotomica del dolore, sublimato mediante la sua esorcizzazione in musica, il cantautore brianzolo dall’animo caleidoscopico, torna nei digital store con un pezzo dal forte impatto emozionale, che riconferma la sua penna intimista dall’attitude universale.
Su ricercate ed elegantissime sonorità chill, immancabilmente curate dal sublime tocco di Indako, si posa un testo cupo e malinconico, che nel fluire di penetranti e suggestive istantanee animiche tradotte in liriche, racconta i pensieri da cui siamo pervasi nei momenti di solitudine, evidenziando non soltanto il raffinato dualismo compositivo dell’artista, ma anche la sua abilità nel coniugare emozioni in antitesi attraverso impeccabili commistioni di parole e suoni.
«Sono solo in strada e faccio quattro passi, vorrei farli da gigante, ma c'è l'ansia dietro l'angolo», un’intro che simboleggia egregiamente l’incipit di ogni face to face con se stessi, il principio di quel confronto con la propria essenza che ci costringe a guardarci dentro, scorgendo, per cercare di comprendere, ben al di là di ciò che raccontiamo, in primis a noi stessi, di essere.
«”Delorean” – dichiara Seta – è pura introspezione. Dà voce a quei momenti di solitudine che bussano alla porta ed entrano in ciascuno di noi, quando ci sentiamo soli con noi stessi, incompresi, in balìa dei nostri pensieri e ci domandiamo se gli altri, le persone a cui teniamo, sappiano davvero chi siamo».
Situazioni e sensazioni rappresentate egregiamente sia nel videoclip ufficiale che accompagna il brano, diretto da Davide Pasquale - in cui il protagonista si ritrova solo con se stesso, in un parcheggio vuoto, riflesso della sua anima, un’anima intenta a meditare sui suoi trascorsi, sull’esistenza e su tutte le relazioni interpersonali che la compongono -, sia nell’iconografia del pezzo stesso, che rimanda ad un immaginario di isolamento, inadeguatezza e desolazione nelle strofe - «Mi faccio male quando penso troppo»; «La bile sale, ingoio acqua di mare ogni volta che sono a disagio» -, per poi sbocciare e aprirsi in una dimensione di totale serenità e rilassatezza nei ritornelli che, omaggiando “Never Alone” della band metalcore australiana The Amity Affliction, trasformano l’emblematico «We are one, the lonely hearts» («Siamo uno, i cuori solitari»), in un ancor più rappresentativo «Non siamo soli, siamo un solo cuore», per ricordarci che non siamo mai soli, ma tutti insieme uniti nella nostra solitudine, basta solamente accorgersene, per connetterci l’uno con l’altro e condividere.
Emblema per eccellenza di un “Ritorno al futuro” in cui l’unico mezzo per viaggiare tra le lancette che scandiscono il nostro tempo è la riappacificazione con un passato di cui non possiamo e non dobbiamo eliminare le tracce - «non posso cancellare niente dentro il mio passato» - e la consapevolezza di un momento presente irripetibile e concepito per essere l’unica e solida base da cui costruire ciò che saremo domani, trasformando tendenze auto-sabotanti in nuove luminose consuetudini «fammi sentire come fossi tua abitudine» - capaci di silenziare i pensieri distorti - «abbassa quella voce e dimmi che il peggio è passato» -, “Delorean” mette in luce la sensibilità creativa di Seta e precede il terzo ed ultimo apripista del suo EP d’esordio, in uscita ad inizio estate, che verrà rilasciato nel corso dei prossimi mesi.
Sara J Jones esorcizza un passato indicibile in “563”
Quanti kilometri siamo disposti e percorrere per amore e quanto, della persona amata, siamo davvero pronti a scoprire ed accettare per il sentimento che proviamo per lei? Quesiti che molto spesso diamo per scontati, ma che quando si trasformano in realtà, esigono una risposta immediata, un riscontro istantaneo che deve, necessariamente, partire dal cuore. Domande a cui l’intensa sensibilità autorale ed interpretativa di Sara J Jones ha dato forma, voce e replica in “563” (Orangle Records/ADA Music Italy), il suo nuovo singolo disponibile in radio ed in tutti i digital store.
Presentato in anteprima nazionale ad Area Sanremo 2023 e anticipato da un’emozionante e coinvolgente serie di reels Instagram che ha accarezzato e commosso la fanbase della brillante cantautrice lombarda durante tutto il periodo dele festività natalizie, “563” è una lettera a cuore aperto, un viaggio intimo e personale che l’artista regala al suo pubblico e ne riconferma veridicità compositiva ed un’ineccepibile capacità di trasporre sul bianco e nero del suo pianoforte, tra pagine di versi ed anima, esperienze che, nella loro consuetudine, racchiudono l’eccezionale insito in ciascuno di noi, quello straordinario coraggio innato con il quale decidiamo di accettarle, viverle e trarne insegnamenti.
Le sonorità delicate e profondamente toccanti che avvolgono il pezzo di pathos e malinconia – curate dall’immancabile tocco di Andrea Cattaldo del Phaser Studio -, sorreggono con rispettosa eleganza la voce inconfondibile di Sara, che si spoglia per un istante di quella corazza da guerriera divenuta una seconda pelle, per far parlare il lembo più intimo e fragile del suo drappo più prezioso, quello che riveste le emozioni, le sole, da sempre, a dare senso ad ogni battito, ad ogni respiro.
«Riderci su è sempre stato il mio forte, tengo il dolore chiuso in una cassaforte»; parole che echeggiano tra gli affranti di ricordi resi indelebili dall’amore che li corrobora, espressioni che sgorgano da dentro e attraverso il canto si librano nel vento caldo dell’accoglimento, come il riflesso di un’anima che, seppur ferita, ha cessato di combattere se stessa, perché a volte, il miglior modo per vincere, è accettare le sconfitte, percependole come parte del percorso e non come un fallimento.
«In questo brano – dichiara la cantautrice –, molto intimo e personale, descrivo nitidamente il momento in cui ho scoperto un passato indicibile della persona che amavo, iniziando a metterla in discussione. Il titolo, “563”, rappresenta i chilometri tra Milano e Roma, la distanza che mi separava da quell’amore irreale, destinato a concludersi».
Un trascorso ineffabile – «scopro il passato e vado in blocco, resto senza baricentro, di questo terremoto, tu sei l’epicentro» - che bussa alla porta e nel suo incessante e silenzioso frastuono, ci priva di ogni cosa, facendoci sentire soli, inadeguati, spezzando, di fronte ad una realtà inaspettata, anche quell’ultimo filo di voce, lo stesso che, fino a ieri, ci teneva a galla nel nostro umano e splendido caotico equilibrio - «se sei lì davanti la mia voce manca, non so stare a galla dove non si tocca».
Ma da ogni inaspettata e a primo acchito insostenibile scoperta, da ogni velo sollevato sui decorsi di chi ci ha fatto sentire vivi, è possibile compiere una scelta, decidendo se avvizzire e consumarsi nella rabbia e nella sofferenza, rendendo il nostro cuore un fiore destinato ad appassire, oppure, al contrario, accattare ciò che è stato, lasciar andare e, soprattutto, perdonare se stessi, acquisendo una nuova consapevolezza, quella che ciascuno di noi è il frutto del proprio passato, ma non per questo ne deve rimanere ingabbiato, quella che, ognuno, può decidere dal momento presente come, chi e cosa diventare domani.
Scritto dalla stessa Sara J Jones con la consueta e proficua collaborazione di Marco Conte, “563” è accompagnato dal videoclip ufficiale, girato nel quartiere Barona di Milano, dalla raffinata e suggestiva cifra iconografica di Alessandra Miatello, disponibile su YouTube da martedì 17 Gennaio.
Autentica, incisiva e penetrante, Sara J Jones, dopo l’enorme successo ottenuto con le sue precedenti release, apre il 2023 svelando un nuovo lato di sé, più raccolto e malinconico, ma non per questo meno genuino rispetto al brio e all’energia coinvolgente a cui ci ha abituati e che torneranno ad entusiasmarci nel corso dei prossimi mesi....
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L’avvincente dualismo di STRE torna a catturare menti e cuori in “Uscire”
Come promesso a fine 2022, in occasione dell’uscita di “A Pezzi”, brano apprezzatissimo da pubblico e addetti ai lavori, trasmesso dalle più illustri emittenti italiane ed eseguito live sul palco del Lungomare partenopeo per il prestigioso Capodanno a Napoli 2023, il cantautore, musicista, regista e videomaker campano STRE torna in radio e nei digital store con “Uscire”, il suo nuovo atteso singolo.
Eclettico, brillante, camaleontico e definito dalla critica come una delle migliori promesse della scena pop-rock nazionale, l’artista inaugura l’anno con un pezzo che riconferma la versatilità della sua Arte, senza abbandonare l’affascinante dualismo a cui ci ha abituati sin dalla sua prima release.
Il titolo, infatti, racchiude come sempre un’accezione ambivalente, enfatizzata anche da un abbraccio melodico il cui punto di forza è la spiccata originalità dell’arrangiamento, che spazia da suoni di matrice euro-dance anni ’90 a ritmi tipicamente punk-ska con sfumature funky, accennando a barre rap nelle strofe; il tutto, per raccontare le difficoltà derivate dalla fine di una relazione che possono, o per meglio dire, necessitano, di un balzo oltre se stessi, oltre il proprio dolore, per essere comprese, affrontate e lasciate andare.
“Uscire”: da una relazione di coppia giunta al capolinea, da tutte le abitudini legate ad essa, da quella comfort-zone che rappresenta sì afflizione e tormento, ma è pur sempre familiare alla nostra coscienza, connessa a tutti quei ricordi, rapsodici e costanti al contempo, che ci impediscono di riappropriarci della nostra libertà individuale, della nostra identità. Ma anche “uscire” con gli amici per un drink e staccare i pensieri, evadendo per qualche istante da quelle gabbie interiori in cui noi stessi ci inseriamo per il timore di un salto nel vuoto che non è altro che un tuffo nell’amor proprio, cullati da quelle wave autentiche e connaturate al nostro DNA che ci consentono di ritrovare noi stessi.
«Questa canzone – dichiara STRE -, costituisce il sequel diretto di "A pezzi", in cui descrivevo quanto mi sentivo frammentato, sia moralmente che fisicamente. In "Uscire", racconto ciò che ne consegue, ovvero, come ho scritto nel testo, quel momento in cui "dovrò poi ricucire", per poi “resuscitare". Perché dopo la fine di una relazione, ci si sente un po’ morti dentro, si instaura una routine dalla quale è difficilissimo discostarsi in maniera istantanea, da un giorno all'altro».
Una routine da cui la mente non riesce a sfuggire, tornando senza sosta a quei momenti condivisi, distrutti a volte dalla stessa abitudine, da quella consuetudine tanto cara all’essere umano che tende troppo spesso a trasformarsi in monotonia, riflettendo in maniera sempre più opaca e distopica un’immagine divenuta ormai irregolare, frastagliata in quei bordi che un tempo erano il confine di pace e serenità, ma ora sono soltanto un ciglio raggelato, con «tutte le parole da scongelare», da cui scorgere la nostra vita a picco sul mare, un mare da cui possiamo scegliere se farci travolgere e affondare, o trasportare a riva per ricominciare a vivere - «tutto da ricominciare, dopo di te» -.
«In questo brano – conclude l’artista – ho voluto coniugare l’uscire da una storia d’amore all’uscire con gli amici per andare in città a bere qualcosa, come ho cercato di esprimere nella copertina, che raffigura un drink versato in un bicchiere che sta per rompersi in mille pezzi, e questo per prendere il largo, appunto “uscire”, da quel dolore che ci impedisce di pensare e lasciar andare definitivamente ciò che ormai si è rotto e ci fa solo del male».
La release è accompagnata dal volutamente irriverente videoclip ufficiale, girato nel cuore di Napoli ed immancabilmente diretto e montato dallo stesso STRE, che si ritrova, come in un incubo, catapultato dal suo letto nel caos cittadino, in un sublime traslato della stasi nei confronti dell’esistenza; un’esistenza celere e frenetica, intenta a proseguire la sua corsa inarrestabile, mentre il cuore di chi soffre la osserva statico, inerte, immobile. La clip, in una perfetta commistione di passato, presente e futuro, eleva il valore intrinseco del brano mediante metafore visive e l’alternanza di sequenze più vintage con riprese in stile VHS....
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“Zero UNPLUGGED” è il nuovo singolo di Karlito Akastoca feat. Josè Conserva
Reduce da una gavetta pluridecennale e da un 2022 che l’ha consacrato ufficialmente come una delle penne più intimiste e penetranti della scena italiana, il rapper pugliese Karlito Akastoca torna nei digital store con “Zero UNPLUGGED”, rivisitazione cuore e voce di uno dei suoi più grandi successi che lo vede al fianco di Josè Conserva.
Vibranti chitarre malinconiche sono la cornice perfetta in cui si innesta un testo ricolmo di anima e poesia, attraverso cui l’artista esprime, senza filtri e cliché, un flusso di coscienza che si identifica nel fluire stesso del suo sentire, in un bianco e nero che grazie al liricismo di un rap conscio delle proprie radici, esonda dai trend per giungere con incisiva immediatezza al cuore degli ascoltatori.
Pensieri e riflessioni si susseguono sul ticchettio del nostro tempo, che per quanto appaia fugace, celere e irrefrenabile, non sarà mai in grado di stare al passo con il turbinio di input e considerazioni che affollano una mente vigile e indagatrice - «per quanto il mondo girerà, non va alla velocità dei miei pensieri» -, dominata dall’estenuante ed incessante lotta tra istinto e ragione, gioia e dolore, e dal rapsodico attaccamento a tutti i frammenti che ne derivano - «nella vita il caso è il suo codice morse» -.
Ma in questa situazione di caos e subbuglio interiore, ove non ci è possibile scegliere e nemmeno agire per modificare il nostro passato, le penetranti barre di Karlito Akastoca e la vocalità avvolgente di Josè Conserva ci ricordano che possiamo, o per meglio dire dobbiamo, determinare il nostro futuro partendo dalle decisioni dell’oggi - «scegli come fiorire, non puoi scegliere il suolo» -, cessando di demandare la responsabilità della nostra vita a fattori e persone esterne.
Perché se è vero che «una foto non fotografa l'interno» ed è possibile continuare a nascondersi dietro un’immagine fittizia, falsata e a tratti distopica, portando l’occhio di chi ci osserva a non scorgere oltre ciò che vogliamo mostrare - «da lontano mi vedi fiero, vedi un arcobaleno, sembra così luminoso il cielo, ma da vicino è nero», è vero anche che l’unica via di uscita dai nostri nidi di sofferenza, titubanze e impasse, è quella della consapevolezza, a cui conseguono l’accettazione prima e la rinascita poi - «non sconfiggerete mai chi ci riproverà in eterno» -.
«”Zero UNPLUGGED” – dichiara il rapper - racconta la rinascita dopo un periodo difficile e, di periodi difficili, ce ne sono tanti nella vita di ciascuno di noi. È un po’ quello che accade in seguito ad acquazzone, ad un temporale: esce l’arcobaleno ed è così anche per noi essere umani, che dopo aver attraversato le nostre tempeste personali, rinasciamo. Dobbiamo farlo, per risplendere più luminosi e brillanti di prima».
Un brano di rivalsa, che lontano da stereotipi e wave del momento, getta la sua ancora proprio negli abissi più oscuri dell’interiorità individuale, perché è proprio da lì che va tratta la scintilla per irradiare di nuova luce il proprio percorso, diventando, in prima persona, il faro guida della nostra stessa nave.
“Zero UNPLUGGED”, perfetto seguito di una serie di release che lo scorso anno hanno messo in luce la sensibilità e la finezza autorale di Karlito Akastoca, segna al contempo fine ed inizio del percorso in musica dell’artista tarantino che, proprio come nel testo del brano, attinge al suo passato senza esserne governato, per tracciare un futuro ricco di entusiasmanti novità.
“Pezzi di me” è il nuovo singolo di Gabriel Zanaga, un viaggio tra malinconia e sentimenti
Reduce dal successo di “Tempesta”, brano che lo scorso anno ne ha riconfermato talento, carisma e sensibilità autorale, il cantautore e tiktoker da milioni di follwers, streams e views Gabriel Zanaga inaugura il 2023 con “Pezzi di me” (distr. ADA Music Italy), il suo nuovo viaggio iconografico tra malinconia e sentimenti.
Come in un vero e proprio puzzle musicale, l’artista eporediese classe 1996 scava dentro se stesso per portare alla luce i frammenti di un cuore infranto dalla fine di una relazione, che, solamente attraverso il complesso ma necessario processo di accettazione, ricercano nuova linfa per ricomporsi e tornare a battere all’unisono.
Dalla penna icastica e figurativa di Gabriel, sgorgano liriche capaci di rimandare istantaneamente ad un immaginario sospeso tra romanticismo - «eravamo io e te, un paesaggio a Venezia» - e afflizione - «quel sorriso così freddo sembra un parquet» -, in cui si inseriscono luci ed ombre di un rapporto di coppia nocivo e deleterio – perfettamente reso in musica dall’abilità del producer YLY, al secolo Fabrizio Caglioti -, commisurato nel testo ad una sostanza stupefacente - «il nostro amore è come se fosse una droga» -, in grado di creare dipendenza e mai assuefazione - «più ci faceva male più ne voglio ancora» -, senza la quale tutto, dentro e intorno a noi, perde di significato, portandoci a sentirci incompleti, incapaci di gestire le nostre emozioni - «perdo pezzi di me, vado fuori di testa» -, nonostante la consapevolezza della sua tossicità - «tutto questo non è amore, solo veleno che fa male al cuore» -.
Un veleno che ha come unico antidoto il suo accoglimento, l’ammissione a se stessi di un epilogo che non va e non dev’essere vissuto come un fallimento personale, ma come il primo importantissimo passo verso la riedificazione di un’identità che non può subordinarsi a fattori o persone esterne:
«”Pezzi di me” - dichiara l’artista - parla di un amore tossico attraverso immagini, ricordi ed emozioni; parla della voglia di amare anche se si è consci che alla fine, in determinate condizioni e con certe persone, ci si farà solo del male».
Il desiderio di amare ed essere amati che prevarica la tutela del nostro equilibrio emotivo e prevale sul dolore scaturito dallo stesso amare, dal donare il proprio cuore, le proprie attenzioni e le proprie energie a chi non è pronto, o non è in grado, di riceverli e continua a sintonizzarsi e progredire su frequenze completamente opposte alle nostre.
Ma è proprio da questo innato bisogno di connettersi e condividere, che è possibile ricostruire se stessi, raccogliendo da terra i cocci, quei pezzi di anima e cuore che in un meraviglioso e personalissimo kintsugi interiore possono essere saldati tra loro con il filo d’oro dell’esperienza, l’unica chiave capace di dischiudere le sfumature più luminose del nostro essere, suggellandole con la promessa di tornare a risplendere e di scrivere un nuovo entusiasmante capitolo del viaggio della vita, oltre la coltre di ciò che accade ed esula dal nostro controllo - «ormai sto bene, perché succede»-.
“Pezzi di me”, con foto e artwork a cura di Gabriele Francheo, fa da apripista alla nuova avventura tra le note di Gabriel Zanaga, che nel corso di tutto il 2023 continuerà a stupire e coinvolgere il pubblico con un’imperdibile serie di nuove suggestive release.
Jeremy Denver torna per raccontare la precarietà del futuro dei giovani in “Paracadute”
Dopo aver conquistato il pubblico per originalità e carisma, la critica per versatilità e sensibilità autorale ed aver collezionato un incredibile numero di streams e views in brani come “MUSA”, “Guido Male”, “PEZZI” e "THAT’S AMORE”, che ne hanno riconfermato eclettismo ed attitude fortemente sperimentale, il brillante cantautore triestino Jeremy Dever torna nei digital store con “Paracadute”, il suo nuovo singolo prodotto da Hazel.
Se in “PEZZI”, un bianco e nero intriso di passione, rabbia e sentimento, l’artista classe ’93 dava sfogo alle ferite dell’anima per esorcizzarle e sovvertirle in veri e propri punti di forza da cui ricominciare a vivere, in “Guido Male” scansionava i propri conflitti interiori sotto la lente di un beat di matrice Old School ma dalle travolgenti sfumature catchy e in “MUSA” e “THAT’S AMORE” si spogliava di maschere, barriere e timori lasciando fluire esclusivamente la voce del cuore, in questo nuovo pezzo, avvolto da un irresistibile abbraccio Soul con elegantissimi richiami elettronici, il focus è incentrato sui dubbi, le perplessità ed il timore verso il futuro, che vengono sviscerati, in perfetto stile Jeremy, con arguta ironia. Una leggerezza che non si identifica in irresponsabilità, noncuranza o negligenza nei confronti del domani, ma in una brezza sottile che come una carezza sul cuore diventa necessaria, quasi imprescindibile, per poter affrontare l’oggi in virtù di quello che verrà, come lui stesso racconta:
«“Paracadute” è un autoscatto tradotto in musica della mia preoccupazione per il futuro, il futuro di tutta la mia generazione. È come se fossimo effettivamente sospesi nel cielo e non sapessimo dove atterrare, perché, attorno a noi, percepiamo e scorgiamo solo acqua. La scelta di trattare il tutto in maniera leggera, è il mio modo di dire “Nonostante tutto, non ci abbattiamo”, perché sono convinto del fatto che prendere le preoccupazioni con il sorriso, sia davvero il metodo più efficace, anche se è probabilmente il più complicato da praticare, per affrontarle».
Una condizione, quella di sentirsi sospesi, costantemente in bilico su un terreno instabile e franoso, che attanaglia moltissimi giovani, allarmati dalle sempre più rare certezze che il mondo degli adulti sa fornire e garantire loro sulle prospettive future.
Ed è proprio in questa situazione di impasse, ove regnano precarietà e preoccupazioni, che la penna vibrante e incisiva di Jeremy scava per dar luce e vita ad un ritratto realista della nostra contemporaneità, dipingendo, con i toni caldi delle sue graffianti liriche, una sorta di preghiera laica che ben si esprime nel ritornello - «Signore abbi pietà di noi, miglioraci il futuro se puoi, perché se guardo col mio cannocchiale vedo solo mare non dove atterrare» -. Un mare di titubanze in cui ognuno è naufrago di se stesso, alla deriva di una corrente contro cui combattere quotidianamente, per evitare di soccombere, di sprofondare negli abissi della frustrazione, di un abbattimento morale da cui può essere impossibile risalire, risollevarsi. Una richiesta di aiuto in cui si fondono umorismo e riflessioni di un giovane che parla ai giovani nella loro stessa lingua, ma che grazie al magnetismo della sua scrittura e ad un’impronta timbrica e stilistica uniche, si rivolge, riuscendo a catturarlo, anche al pubblico adulto, chiedendo solo di essere ascoltato, perché, troppo spesso, i primi a fuggire da responsabilità e doveri, siamo proprio noi adulti.
Anche le strofe, nel fluente susseguirsi di ironia e considerazioni profonde, presentano i tratti antinomici di chi è determinato a lasciare un segno del proprio passaggio nel mondo - «Metto un pezzo di me in ogni traccia, così in questa vita, frate, non mi ammazzeranno mai» -, ma si sente imprigionato in una gabbia di perplessità e irresolutezza - «Chiedo un aiuto al signorino su che ci guarda da un tot (hey, tu!) E se devo essere onesto, non ho più nemmeno voglia di procreare» -.
“Paracadute” è accompagnato dal videoclip ufficiale, diretto da Mario Orman e presentato in anteprima nazionale su Sky TG24, che simboleggia ed enfatizza perfettamente il dualismo leggerezza-complessità connaturato al testo.
Introspezione, malinconia, ma anche desiderio di rivalsa, sentimento ed energia sono i punti cardine della produzione musicale di Jeremy Denver, un cantautore eclettico, che elude l’omologazione e, sin dall’esordio, ha incentrato il proprio percorso artistico sull’emozionalità di testi capaci di giungere al pubblico con intensità e immediatezza, al punto da definire la sua discografia “irriverente”, per l’istantaneità e la dimestichezza con cui “parla” a chi l’ascolta. Un artista a tuttotondo capace di scrivere, interpretare, ideare performance e videoclip e che grazie al connubio tra estro sperimentale e radici profondamente Soul, nella sua accezione più alta ed emozionale, trae ispirazione e guida per le sue release proprio dall’anima, collaudando, per ogni brano, un nuovo mezzo per divulgare i suoi messaggi.
Biografia.
Jeremy Denver, al secolo Vincenzo Giaramita, è un cantautore e musicista triestino classe 1993, riconosciuto sin dalla sua prima release come una delle più promettenti leve del panorama urban-pop-soul italiano. Si avvicina alla musica a soli 13 anni, rivestendo il ruolo di batterista in diverse formazioni di matrice hardcore/punk. All’età di 18, firma il suo primo contratto discografico con l’etichetta ligure Thisiscore (ex Wynona Records), che includeva nel roster alcune tra le più celebri band nazionali del genere. Nel 2013, dopo lo scioglimento dell’ultimo gruppo di cui faceva parte, decide di proseguire in qualità di solista il suo percorso tra le note, avvicinandosi così, per la prima volta, ad un microfono ed è unendo la passione per la scrittura all’affinità con il metronomo che inizia a rappare. Immerso nelle contaminazioni sonore e nei crossover musicali, Jeremy Denver affronta la scrittura dei suoi testi senza porsi limiti, né autoriali, né interpretativi, né di genere. Pur mantenendo un’icasticità di penna ed un liricismo che solo il rap può vantare, la direzione delle sue release è meravigliosamente intrisa di sonorità più melodiche che spaziano dall’R’n’B al Soul, sfiorando le sfumature del funk, del rock, della dancehall e di qualsiasi altro genere che possa essere fonte di ispirazione: un mash-up di stili, suoni, introspezione e ironia che dà forma e vita ad un meraviglioso quadro impressionista in cui si inseriscono tutti i colori della vita, tutte le nuance dell’arcobaleno creativo-espressivo di Jeremy Denver.
Blade, la nuova punta di diamante del rap italiano, torna con “Sopra le nuvole”, il suo EP d’esordio
Con l’impeccabile raffinatezza della sua penna ed un’accurata e minuziosa ricerca sonora in grado di intrecciare ritmi attualissimi ad animiche vibes senza tempo, il rapper della periferia milanese Blade chiude il 2022 con “Sopra le nuvole”, il suo EP di debutto.
Cinque tracce, sapientemente amalgamate sul fil rouge della quotidianità di un giovane uomo appartenente alla Gen Z che, tra sentimenti, emozioni, dubbi, perplessità e desiderio di rivalsa su una vita in cui spesso si sente ingabbiato, immortala in un disco la sua intera esistenza, dando forma e voce ad una coloratissima istantanea capace di far viaggiare, con orecchie, mente e cuore, “Sopra le nuvole”.
Un coinvolgente autoritratto posato sul liricismo che solo il rap è in grado di generare e che Blade, con una sensibilità degna di nota, esprime attraverso un ineccepibile flow, che si identifica, con semplicità e immediatezza, nel flusso stesso del suo vissuto, nelle esperienze che l’hanno condotto ad essere, giorno dopo giorno, la persona e l’artista di oggi.
«”Sopra le nuvole” – dichiara – è un progetto molto importante per me, perché, oltre ad essere il mio EP d’esordio, è la prima vera e propria rappresentazione di me stesso sotto forma di canzoni».
Canzoni che sfiorano, accarezzano e si innestano istantaneamente nell’anima dell’ascoltatore, che viene accompagnato in un viaggio ricco di flashback, speranze e desideri, tra le soddisfazioni, le delusioni, le sofferenze e le gioie che fanno parte della vita di ciascun essere umano.
Dall’opening “Stai con me”, che si sviluppa su uno scenario sospeso tra sogno, amarezza, passione e sentimento, cullato da un beat ipnotico dalla matrice clubbing e dalle sfumature elettroniche, al magnetismo del tormentone catchy “Ue Ue Ue” che fonde sensuali sonorità dal gusto arabeggiante ad un tappeto trap-ballad, arrivando all’epilogo “Successo”, una lettera a se stessi e al mondo ricolma di emozione che ben sintetizza l’intero concept, Blade parla la lingua dei giovanissimi raccontando sfumature d’animo e di vita che esulano dalle gabbie del tempo, mettendo in luce un’abilità autoriale ed interpretativa degne di nota, che affascinano e coinvolgono il pubblico di ogni età.
«Sarà perché ne ho passate davvero tante – conclude l’artista -, ma tutte le situazioni che ho vissuto, mi hanno dato la forza per andare avanti senza dare ascolto a nessuno, ponendo attenzione e focus soltanto ai miei obiettivi, con la voglia di arrivare in alto. Ho creduto in me stesso sempre, nonostante tutto e tutti, perché, in cuor mio, sento di avere una missione da compiere, che è quella di trasmettere i messaggi che porto nel cuore a più persone possibili, con la speranza di essere di aiuto, di appiglio, per chi si sente naufragare nel mare incasinato della vita».
Interamente prodotto dall’abilità creativa di Francesco Brattoli, che ha saputo vestire ogni brano di suggestione e innovazione, “Sopra le nuvole” è supportato dall’ingresso in rotazione radiofonica di “Stai con me”, accompagnato dal videoclip ufficiale diretto da Tuap e Samuele Meta.
Incisivo, carismatico, ma al tempo stesso riflessivo ed attento osservatore dei moti emozionali, Blade è una della più promettenti leve del nuovo rap-game italiano, un artista capace di differenziarsi e rendersi riconoscibile grazie ad una scrittura e un’attitude interpretativa uniche, che attraverso testi intrisi di riflessioni e sentimenti, giungono al pubblico con l’universalità e la delicatezza che solo le esperienze vissute in prima persona tradotte in musica sono in grado di donare.
Biografia.
Blade, pseudonimo di Sami Azzabi, è un cantautore classe 2000 nato a Cernusco sul Naviglio e trapiantato a Crema. Si avvicina alla musica sin da piccolo, scoprendo il Rap tramite il freestyle e decidendo di dar vita ai suoi primi testi inediti. Dopo un lungo percorso di introspezione e minuziosa ricerca sonora, a fine 2022 pubblica su tutte le piattaforme digitali “Sopra le nuvole”, il suo EP di debutto che ben racchiude tutte le sfumature della sua anima e della sua visione artistica. Incisivo, carismatico, ma al tempo stesso riflessivo ed attento osservatore dei moti emozionali, Blade è una della più promettenti leve del nuovo rap-game italiano, un artista capace di differenziarsi e rendersi riconoscibile grazie ad una scrittura e un’attitude interpretativa uniche, che attraverso testi intrisi di riflessioni e sentimenti, giungono al pubblico con l’universalità e la delicatezza che solo le esperienze vissute in prima persona tradotte in musica sono in grado di donare....
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Kefàli racconta il peso delle aspettative sociali in “Please”, il suo nuovo singolo
A due mesi esatti dalla pubblicazione del sensuale ed energico inno al female empowerment “I Don’t Care”, Kefàli torna a scaldare i cuori con la raffinata potenza della sua voce in “Please” (Cosmophonix Artist Development/Altafonte Italia), il suo nuovo singolo disponibile in radio ed in tutti i digital store.
Bergamasca di nascita e newyorkese d’adozione, la poliedrica artista classe 1996 si spoglia di ogni suo ruolo riversando in musica gli stati d’animo e il turbinio di sensazioni contrastanti che avvolgono la nostra contemporaneità, sempre più focalizzata al raggiungimento di un’effimera e chimerica perfezione, anziché alla promulgazione di un benessere individuale capace di propagarsi nel collettivo.
Come ci si sente quando il mondo esterno, soprattutto quello dei nostri affetti, nutre aspettative altissime nei nostri confronti? È da questo quesito che Kefàli, traendo da un’esperienza vissuta dalla sorella, ha dato il via ad una serie di riflessioni e considerazioni che hanno portato alla nascita di “Please”, un grido di aiuto scaturito dalla frustrazione e dal timore di non farcela, di non essere all’altezza e di deludere ogni attesa, una struggente istantanea di un’esistenza, la nostra, sempre più bidimensionale, come lei stessa racconta:
«”Please” è nata in un momento di fragilità attraversato da mia sorella. Questo suo periodo, mi ha fatta riflettere moltissimo sulle aspettative che gli altri riservano nei nostri confronti, che diventano quasi delle imposizioni, e su quanto l’avvento e la diffusione dei Social abbia reso la nostra vita bidimensionale. I primi tempi, a New York, non me la passavo benissimo, ma mi sentivo dire: “Ma di cosa ti lamenti? Sei a NY, non sai quanto vorrei esserci io al tuo posto!”. Rimanevo stupita di come nessuno si preoccupasse di come stessi realmente. Tutto ciò ha creato in me un senso di responsabilità e la paura di essere un fallimento nel momento in cui, quello per cui stavo lavorando, non avesse funzionato».
Ed è da questa paura che ogni piccolo ostacolo incontrato sul proprio percorso, personale e professionale, anziché diventare motivo di crescita ed evoluzione, si amplifica e si enfatizza sino ad apparire mastodontico, insormontabile e causando, dentro di noi, ulteriore sconforto e avvilimento.
Una pressione psicologica spesso involontaria per chi la attua, ma in grado di scatenare una profonda insicurezza nell’animo di chi, ricevendola, si ritrova ingabbiato nella propria vita, nei propri pensieri - «I find myself breathing, but I can’t reach for air» («Mi ritrovo a respirare, ma non riesco a prendere aria») -, incapace di intraprendere un percorso libero dal giudizio e dalle forti attese altrui, perché avvezzo ad una pseudo-scelta, mossa, unicamente, da aspettative mascherate da auspici che, come vere e proprie lame, trafiggono i sogni in favore di quel risultato finale in linea con un volere sociale universale che mira alla perfezione, trascurando la completezza e la soddisfazione che ciascun individuo identifica per se stesso in maniera del tutto soggettiva.
Una zavorra frequentemente scaturita dal desiderio di incitare le persone a cui teniamo alla realizzazione e all’appagamento, ma che, con il passare del tempo, si sovverte, divenendo per loro un fardello insostenibile - «I feel the weight on my shoulders, like everyone depends on me» («Sento il peso sulle mie spalle, come se tutti dipendessero da me») -, causa di insoddisfazione e svilimento a tuttotondo:
«Quando le persone che abbiamo accanto si aspettano da noi la perfezione in ogni campo, senza lasciarci spazio per commettere errori e crescere, ci sentiamo soffocare – conclude Kefàli -. Questo, capita anche quando avvertiamo il fiato sul collo e percepiamo che alcuni sono lì ad aspettare un nostro errore, come se per loro dimostrare la nostra umana imperfezione sia una soddisfazione. Nel ritornello canto “Stop saying that you want to be me, cause you don’t know what it means” (“Smettila di dire che vuoi essere me, perché non sai cosa significa”), ma anche “Please, start listening” (“Per favore, inizia ad ascoltare”), proprio per far capire come a volte basterebbe prestare maggiore attenzione ai reali desideri di chi amiamo per vederli pienamente soddisfatti delle loro vite, anziché asfissiarli con continue aspettative che portano solo ad insoddisfazione e frustrazione».
Una tematica, quella della perfezione, del dover apparire ineccepibili e saper eccellere in ogni campo, sempre più diffusa e diramata, estesa ad ogni aspetto della quotidianità, da quello estetico, enfatizzato dai social network, a quello professionale, finalizzato alla competizione continua anziché ad una collaborazione ove ciascun individuo può mettere in campo le proprie inclinazioni, fino ad arrivare alla sfera più intima e personale, che include la dimensione socio-affettiva, incoraggiando relazioni umane che di umano hanno ben poco, incentrate sull’interesse anziché sul sentimento, e quella interiore della propria personalissima visione di sé, che penalizza le vocazioni soggettive favorendo un’omologazione priva di creatività ed emozione.
“Please”, una struggente richiesta di aiuto supportata dalla necessità di essere ascoltati, percepiti nella propria condizione umana che ci dà il diritto di commettere errori perché è solo così che saremo in grado di migliorarci ogni giorno, è accompagnata dal videoclip della versione acustica – arrangiata da Luca Giola -, diretto da Michele Di Rienzo - con audio a cura di Giorgio Andreoli - che riassume, attraverso iconici frame, l’importanza di potersi sentire imperfetti per raggiungere, passo dopo passo, l’unica vera perfezione a cui possiamo aspirare, quella di una vita di cui essere gli unici artefici.
"Cateto Acrobatico (Se penso a te)" è il nuovo singolo di Michele De Martiis
“Chi sei tu, Michele?”: è da questo semplice ma complesso e plurisfaccettato quesito che ha preso vita “Cateto Acrobatico (Se penso a te)” (Pako Music Records), il nuovo suggestivo viaggio tra ritmo e riflessioni del cantautore marchigiano Michele De Martiis.
Pop, rock, batteria, chitarre ed un entusiasmante richiamo al britpop - grazie anche all’utilizzo del mellotron -, si fondono per celebrare la pluralità e l’ambivalenza dell’essere umano, che in una sublime analogia con la forma geometrica del triangolo, si destreggia per mantenere in costante equilibrio la dicotomia del suo sentire, tra la parte razionale e responsabile e quella più istintiva, illogica e giocosa.
Una lettera di presentazione in musica, attraverso cui Michele De Martiis descrive, con la fine incisività della sua penna, la quasi totalità della sua personalità, del suo carisma, aggiungendo il sottotitolo “Se penso a te”, che come lui stesso spiega, può avere differenti destinatari, a seconda della prospettiva con cui lo si percepisce e, di conseguenza, lo si interpreta:
«Spesso mi ingarbuglio in pensieri con delle subordinate, finendo con il costruire periodi lunghi e difficili da seguire. Me lo dicono sempre. E allora ho scelto di mettere un sottotitolo alla domanda di partenza, incasinando, volutamente, ancora di più il tutto. “Cateto Acrobatico (Se penso a te)”; “a te” chi? Ad una lei? Ad un Dio creatore? All’essere umano? Oppure a me stesso?»
Un brano in perfetto stile De Martiis, ma per molti versi lontano e totalmente differente dalle release finora pubblicate dal sognatore che sa viaggiare e far viaggiare tra le emozioni giungendo oltre, in quel “L’al di là delle favole” ove è possibile trasformare il dolore in una catarsi da cui rinascere; un pezzo in cui conoscere i tanti pezzi di Michele, incontrando la persona dietro l’artista, così da poter incontrare se stessi dietro le maschere dei ruoli sociali che ci appartengono, o da cui, molto spesso, ci facciamo dominare e dirigere nella quotidianità della vita.
“Cateto Acrobatico (Se penso a te)” è una canzone densa di significato, articolata su più livelli di lettura ed una composizione testuale apparentemente intricata e tortuosa, ma, ad una più attenta analisi, quella che sa osservare più in là di se stessa e della sua natura analitica, appare istantaneamente diretta, limpida e cristallina, tanto da restituire immediatamente un perfetto autoscatto di ciò che l’artista è, senza necessariamente averlo ascoltato o conosciuto prima.
«Reggo bene il battito cardiaco, le mie pene stanno nel filosofico» e «ti confondo perché sono pragmatico, ti confondo, col mio giro armonico», sono due dei passaggi più rappresentativi di questa radiografia animica in cui il protagonista comprende e ritrova se stesso proprio attraverso l’esposizione delle sue caratteristiche personali, accettando con quella leggerezza che profuma di piena consapevolezza e profondo accoglimento di se stessi con le proprie antinomie e contraddizioni, ogni lato della propria natura.
Una personalissima dedica alla vita, che si sintetizza in un ritornello dai toni catchy e dalle sfumature profondissime, - «E non c'è niente di speciale se penso al mondo intero, ma è tutto più speciale se, io penso a te» - capace di far riflettere su quanto, la straordinarietà dell’esistenza, dipenda, forse del tutto o forse per lo più, dalla nostra capacità di scorgerne con trepidante stupore ogni sua connotazione positiva:
«In fondo – conclude De Martiis - il mondo è una meraviglia. Il frutto del concatenarsi di infinite casualità (o di una volontà creatrice superiore?), che hanno creato un pianeta unico. Con la vita dentro. Speciale? Certo. Ma lo sarebbe ugualmente se non ci fossero occhi capaci di ammirarlo? Senza l’essere umano la meraviglia avrebbe senso? O sarebbe fine a sé stessa?».
Interrogativi che portano ad innumerevoli spunti su cui meditare, a patto di farlo con la cognizione che non a tutte le domande c’è riposta, o per meglio dire, l’unica risposta a certi quesiti è la vita stessa, perché è solo vivendo appieno che è possibile continuare ad essere un triangolo capace di bilanciare i propri cateti con l’ipotenusa del mondo là fuori, nel delicato equilibrio di rimanere in armonia con ciò che siamo e chi ci circonda.
Il brano è accompagnato dal videoclip ufficiale, scritto e diretto da Mirko Petrini e prodotto da Marranjo....
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Con l’eleganza e la classe che contraddistinguono e permeano ogni sua release, Gianluca Amore, riconosciuto dalla critica come una delle vocalità maschili più emozionanti, intense ed incantevoli del cantautorato di matrice Pop-R’n’B dell’ultimo decennio, torna ad accarezzare ed avvolgere di incanto e pathos orecchie, menti e cuori con “Disordine” (PaKo Music Records/Visory Records/Believe Digital), il suo primo album.
Etimologicamente derivato dal latino “ordinis” con l’aggiunta alla radice del prefisso peggiorativo “dis” a sovvertirne senso e significato, e nella sua accezione più profonda identificabile nella locuzione greca “Caos”, che ritrae una profonda lacuna nella continuità lineare del proprio essere e della propria vita, “Disordine” è un disco che stravolge ogni contorno, mescolando abilmente le carte, le 10 tracce che lo compongono, per riprogrammare e cogliere da nuove e più luminose prospettive quel subbuglio interiore, quella confusione apparentemente irresolubile che affolla e scompiglia lo spazio che ci separa da un tanto inseguito equilibrio in ogni ambito della nostra esistenza.
L’intero universo di un giovane uomo di 30 anni racchiuso in un racconto di 10 capitoli, una narrazione sincera, intima e senza filtri, attraverso cui Gianluca Amore si spoglia di ogni difesa, permettendo alle sue fragilità di emergere fin quasi a prenderne il sopravvento, perché questo è l’unico modo per comprenderle ed è soltanto così che è possibile accettarle, custodirle come parte integrante di ciò che siamo e trasformarle, con il tempo, in preziosissimi punti di forza.
Stati emotivi differenti, a tratti opposti e contrastanti, trovano espressione, scudo e riparo nella voce calda e nell’esecuzione impeccabile di un artista che canta con l’anima perché è in essa stessa che trae la genesi di tutto il suo percorso tra le note e perché, questo, è il solo modo che conosce per fare musica.
Italiano e inglese si amalgamano nei testi così come nella vita di Gianluca, cantautore, musicista, musicoterapeuta, performer, ma prima di tutto persona, che attraverso una spiccata e finissima sensibilità ed un’innata inclinazione alla ricerca e alla condivisione dei sentimenti umani mediante l’Arte, giunge dritto al cuore degli ascoltatori con un’autenticità, una delicatezza e una purezza disarmanti.
Non solo stati d’animo, esperienze e lingue con registri differenti; in “Disordine” sono anche le sonorità su cui si posano emozioni e riflessioni a variare di continuo: dalle atmosfere anni Ottanta del brano apripista “I wanna sing forever”, una dichiarazione d’amore dal ritmo incalzante nei confronti della musica, si passa istantaneamente, in un naturale fluire di battiti e di coscienza, al suggestivo R&B di “Senza Ragione”, urlo sospeso tra la silente ma più fragorosa che mai implosione di un sedicenne imprigionato nelle sofferenze dell’adolescenza e la liberazione da essa mediante la sua catarsi in musica, arrivando al pop tipico degli anni Novanta di “Masochist”, primo singolo estratto dall’album, che cullato da una ritmica incessante e travolgente, descrive con ironia la fine di una storia. Vi è poi la pop-rock ballad “Cold and Red”, una delle release più apprezzate del cantautore veneto, un dipinto scaturito dagli acquarelli della passione, dove l’eros incontra la dimensione onirica in un abbraccio che toglie il fiato per riaccenderlo, e l’ipnotico elettro-acustico di “Uno due tre”, brano capace di fondere egregiamente l’elettronica ad un pianoforte un po’ scordato, un basso e una ritmica dal sapore neo-soul, il tutto, per raccontare una serata diversa dal solito, in bilico tra spregiudicatezza e novità. Unica cover del disco, è la meravigliosa “Nothing Compares To You/Purple Rain”, un mash up che rende omaggio al grande Prince, accompagnata dal videoclip ufficiale ed attualmente in rotazione radiofonica, ove ritroviamo tutto il mondo di Gianluca: vocalità Soul, arrangiamenti che intrecciano parte sintetica a parte acustica, cori ed un testo che urla un’assenza struggente, insopportabile, ma profondamente poetica. “Riamarmi in un secondo”, in duetto con Milo Nanni, dà la possibilità a due incantevoli voci maschili dai colori Black di unirsi per fluire in una ballad malinconica, che ha come tema cardine il capolinea di una relazione e la conseguente relativa rassegnazione, ma anche – e soprattutto - la speranza poter e saper ricominciare. In “Disordine” c’è spazio anche per il Gospel, che si manifesta più vivido che mai in “Free me”, una preghiera laica che domanda redenzione, in cui il testo si articola su un sound prorompente, quasi colossale, donando a chi l’ascolta una dimensione intimamente magica, resa possibile anche grazie alle voci del coro Name ed all’abilità dell’orchestra OGAF dell’Accademia Filarmonica Veneta (il brano è stato orchestrato dal Maestro Simone Tonin, direttore della Gaga Symphony Orchestra e collaboratore di artisti nazionali e internazionali). Penultima traccia è “You (don’t) know”, un uptempo fortemente pop in cui Gianluca Amore affronta le malelingue, biasimando chi giudica, chi crede di essere onnisciente, ma, in realtà, sa usare il dono della parola solo per distruggere, senza costruire mai. L’album si chiude con la title track “Disordine”, un piano-voce-archi, che sintetizza, enfatizzando, l’intero concept.
A trent’anni come a quindici, Gianluca Amore si immerge, si ripara e si cerca tra le note, negli abissi costituiti dai fogli ricolmi di parole e saturi di indescrivibili ma tangibilissime emozioni, tra la vita quotidiana fatta di occasioni perse e sorrisi ritrovati, di giorni bui e nottate di luce.
Un subbuglio che confonde per comprendere, un caos che è necessario per giungere alla tranquillità, all’equilibrio, a quell’ordine che soltanto noi per noi stessi possiamo e siamo in grado di definire come tale; un “Disordine” capace di sistemare ogni cosa, anche e soprattutto attraverso l’Amore. Si, perché c’è e deve sempre esserci spazio per l’amore: l’amore per se stessi, per gli altri, per la vita e per la musica, che in questo album spazia tra stili e mood anche in antitesi, tra note alte, note basse, tasti neri e tasti bianchi, per raccontare, in maniera volutamente disordinata, il mondo di un ragazzo di trent’anni, che di quelle note, di quelle emozioni, di quei sogni e di quelle canzoni, ci vive.
Un regalo di Natale che Gianluca fa a se stesso e che ognuno di noi, attraverso la sua splendida voce, dovrebbe farsi: un tuffo nel tumulto animico che ci attraversa per poterlo accettare, accarezzare e poi renderlo, mediante quell’incomprensibile e irrazionale ragione che lo caratterizza, il più equilibrato modo di poter cogliere e affrontare la vita, perché, come scrisse il padre della psicologia analitica, Carl Gustav Jung, “in ogni caos c'è un cosmo, in ogni disordine un ordine segreto” ed è solo sapendo sostare e valicare il “Disordine” che ci avviciniamo sempre più alla nostra personale armonia....
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“Volevi Solo Una Barbie” è il nuovo singolo di EleJola scritto con Miriam Ayaba
Reduce dal successo dell’esordio solista avvenuto lo scorso anno con “Hemingway”, la cantautrice veneta EleJola – al secolo Elena Parpajola – torna nei digital store con “Volevi Solo Una Barbie” (Cosmophonix Artist Development/Altafonte italia), il suo nuovo singolo scritto a quattro mani con la queen dell’urban Miriam Ayaba.
Articolato su arcaici ma fin troppo attuali stereotipi che ruotano attorno all’immagine delle blond girls, il brano, che vanta la produzione del Latin Grammy brasiliano Renato Patriarca, è un tuffo a capofitto nell’universo emozionale di una giovane determinata a smantellare e sovvertire tutti i preconcetti che continuano ad avvolgere le ragazze bionde, una full immersion emotivo-sensoriale che attraverso la leggerezza di un testo volutamente ironico ma mai banale, conduce l’ascoltatore ad un faccia a faccia con la realtà, un crash test contro le invisibili ma ancora oggi salde e complesse da superare barriere che scindono e pongono in antitesi concetti come “bionda-intelligente” e “bella-competente”.
Come se la professionalità nel lavoro, la bontà d’animo, o l’attitudine ad essere precisi e responsabili, dipendessero dal colore dei capelli, degli occhi o della pelle, dall’altezza o dalla costituzione fisica.
Su un sound energico e dinamico, capace di rimandare istantaneamente ad una dimensione sospesa tra richiami da dancefloor anni ’80 e tinte fortemente hyperpop, si posa il bianco e nero di chi è stanco di nascondere le proprie cromie per il timore di essere giudicato, escluso, etichettato come “diverso” in una società in cui spendiamo encomiabili parole su questo tema, quando, probabilmente, dovremmo solo imparare a parlare un po’ meno e agire di più, o, per meglio dire, a parlare con maggior cognizione di causa per poi agire di conseguenza.
«Il tempo passa e so che non sai ancora niente di me, che non sono bella e tonta, ma una che lascia l’impronta. Ma tu non lo saprai mai, che non sai niente di me»: nel ritornello, EleJola esprime perfettamente il concetto di tutto l’intero brano, sfogando, con l’eleganza e la grazia che la contraddistinguono, il suo desiderio di ribellione composto, l’unico che ha senso di esistere ed essere manifestato per riuscire ad estirpare alla radice cliché senza fondamento, ma che traggono le loro basi su leggende scritte e tramandate da chi, semplicemente, non riesce ad accettare che siamo tutti uguali nelle nostre meravigliose peculiarità e differenze.
«Questo pezzo – dichiara l’artista – parla di una donna che ha finalmente scelto di essere libera, di non farsi più abbindolare da complimenti volti ad esaltarne solo l’aspetto fisico a discapito di competenze e intelletto, una donna che rispetta e pretende altrettanto in cambio, una donna che reclama di essere capita in maniera più profonda e sincera».
Uno sguardo capace di andare oltre a ciò che l’occhio vede e la mente giudica, in un’ottica di accettazione dell’altro che non va né idolatrato né disprezzato per caratteristiche fisiche che continuano a predominare su impegno, sacrificio, dedizione e attitudini personali.
«Dopo “Hemingway” – conclude EleJola - ho sentito l’esigenza di realizzare un brano che raccontasse più profondamente chi sono. Ho lavorato molto su me stessa, mettendo a tacere le chiacchiere futili, negative. “Volevi Solo Una Barbie”, mediante una relazione vissuta nella mia adolescenza, racconta proprio questo: una ragazza che diventa Donna, con la D maiuscola, e non si fa più mettere i piedi in testa da nessuno. Dedico questo brano a me stessa e a tutte le donne del mondo: non silenziate mai le vostre idee e lasciate l’impronta!».
Il brano, supportato dal videoclip ufficiale nato da un’idea della stessa cantautrice padovana - che si mette alla prova anche in veste di ballerina, accompagnata da due giovani e promettenti talenti dell’Accademia di Danza Flash Dance Academy di Montegrotto Terme (PD), Sofia Compagnone e Joseph Scarabello, sotto la direzione della coreografa Giorgia Chiurato - e realizzato dall’abilità creativa del regista Giorgio Piva, mostra una protagonista tenace e forte nella sua routine, in tutti gli aspetti della sua quotidianità, dal lavoro al work out; una donna che conosce l’importanza di prendersi cura di se stessa e si occupa a tuttotondo della propria stabilità, indipendentemente dalle sue relazioni. La realizzazione della clip è stata resa possibile anche grazie alla collaborazione di Gruppo Mazzini Legal Planner, società padovana che provvede a pianificare e coordinare questioni legali per e con il cliente e da sempre molto attiva nel sostegno di attività musicali e culturali, che l’artista ha scelto di omaggiare proprio nel corto, immedesimandosi in una risoluta “lady boss” della compagnia che ben simboleggia il concept di tutto il progetto. Outfit e make-up sono stati minuziosamente curati da Carlotta Barolo e Nicole Sorti.
Interprete, autrice, vocal coach, performer e dal 2022 attiva nel settore anche con iniziative propedeutiche all’Arte e alla Musica con sfondo sociale, inclusivo e collettivo - tra cui la progettazione di un laboratorio musicale didattico per le scuole elementari e dell’infanzia -, EleJola riconferma il suo talento, la finezza della sua visione artistica e il suo carisma con un brano che non solo parla alle donne, ma racconta le donne al mondo intero; un inno garbato e armonioso capace di diventare la miglior arma con cui scalfire la fitta coltre del pregiudizio.
Biografia.
EleJola, al secolo Elena Parpajola, è una cantautrice, vocal coach e performer veneta. Avvia la sua formazione musicale all'età di 7 anni, perfezionandosi con il tempo grazie alle lezioni di numerosi vocal coach e seguendo masterclass tenute da insegnanti del calibro di Monica Magnani, Grazia di Michele, Michele Fischietti ed altri. Intraprende gli studi accademici nel 2019 presso l'Accademia VMS di Loretta Martinez per il percorso Popular Music Vocals Performace - University of West London e li prosegue nel 2022 presso la VES di Andrea Bianchino, con l’ottenimento del titolo di Certified VES® Trainer, del Diploma in Didattica della Voce e del Licentiate in Popular Music Vocals Teaching presso la West London University. Partecipa a svariate trasmissioni televisive tra cui “Ieri, Oggi...Domani” di Teddy Reno, “Ho imparato una canzone”, “TV7 alle 7”, "The Coach 4" e molti contest canori, tra cui il Coorsal Music, in cui viene premiata con il 1° posto da Red Canzian. All'età di 16 anni, entra nel gruppo Linea 26, band con la quale rimane per tre anni ed accede alla finalissima di Video Festival Live (Mara Maionchi, Elio Cipri, Dario Salvatori, Alexia), partecipa ai FIAT Music di Red Ronnie, vince Il Cantagiro 2017 e si esibisce al Casinò di Sanremo per AREA Sanremo. Approfondisce gli studi musicali e, con Vittorio Matteucci, esordisce in qualità di attrice protagonista nel musical “SARA” (produzione Daigo) al Teatro Verdi di Padova. Si esibisce con varie band e collabora con alcuni artisti, come ad esempio Simone Vianello, in arte LIAM, nel brano "Hollywood" e, nel 2021, pubblica il suo primo singolo in qualità di solista, "Hemingway", che segna l'inizio della proficua collaborazione con la Casa di Produzione multiplatino mantovana Cosmophonix, per il Development. L’anno successivo, è la volta di “Volevi Solo Una Barbie”, prima di una serie di release composte e scritte con la queen dell’urban italiano Miriam Ayaba e prodotte, per Cosmophonix Artist Development, dal tocco ineccepibile del Latin Grammy brasiliano Renato Patriarca. Brillante, energica, grintosa e sensibile, EleJola insegna canto moderno e propedeutica musicale e prepara gli allievi per l'ottenimento delle certificazioni TCL. Attiva nel settore anche con iniziative con sfondo sociale, inclusivo e collettivo - tra cui la progettazione di un laboratorio musicale didattico basato su 10 incontri per le scuole elementari e dell’infanzia, concluso con la pubblicazione del singolo “Per Magia” -, è riconosciuta come una delle cantautrici più eleganti, carismatiche e sensibili del nuovo panorama pop italiano....
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Dopo aver rapito, stupito e affascinato con il suo estro creativo e la minuziosa incisività anticonvenzionale della sua penna nell’arco di tutto il 2022, Al Vox chiude l’anno con una nuova pietra miliare tratta dal suo scrigno emozionale, “XPertuTurbazione” (PaKo Music Records/Visory Records/Believe Digital).
Seguito del mini EP double track “Pinocchio E Il Requiem Quotidiano”, che in sole due tracce ha evidenziato la visione rivoluzionaria del cantautore ligure sulla società contemporanea in un ritratto capace di coniugare impressionismo e decadentismo sul fil rouge della consapevolezza personale, “XPertuTurbazione” è una sorta di pareidolia musicale, o per meglio dire, un ennesimo intrigante gioco di parole attraverso cui l’artista ci conduce ancora una volta nel suo vivido e controverso universo interiore, nell’itinerario mistico, a tratti distopico e trasognante, della sua “Psyche Music”.
L’immancabile tocco elettro-pop dalle vibes ipnotiche e raffinate che contraddistingue tutta la produzione discografica dell’autore e interprete genovese, avvolge di tenebroso mistero un testo limpido ma dai tratti cupi e malinconici che si fa via via armonioso e brillante, in cui il reietto, emblema di ogni release di Al Vox, scopre l’amore e proprio attraverso un gioco di parole trova pace, il coraggio e la volontà di tenere a bada un passato incerto e destabilizzante.
Perturbazione e turbamento sono i due concetti chiave di un brano che li vince e li sovverte, grazie ad un battito di cuore, il tanto inseguito e desiderato “colpo di fulmine” in grado di inondare di positive vibes le mareggiate e le intemperie di un’anima abituata a celarsi dietro maschere e dubbi per il timore di non essere compresa, accettata; semplicemente, amata per quello che è.
«Essere se stessi è la cosa più bella del mondo – dichiara Al Vox -. Molto spesso, teniamo a bada la nostra vera natura perché abbiamo paura di non essere accettati dagli altri, ma quando ci innamoriamo, ci innamoriamo per davvero, il sole torna a splendere nelle nostre vite, dandoci la possibilità di capire che non è mai un errore mostrarsi nella propria frammentata interezza, perché ognuno è meraviglioso nella sua autenticità, in quell’unicità che ci rende tutti uguali e diversi al contempo».
Accompagnato dal videoclip ufficiale che rimarca perfettamente la concezione di un lo-fi essenzialista come archetipo da cui partire per ritrovare, o scoprire per la prima volta, un benessere reale, percepibile nella sua accezione immaginifica ma più tangibile e concreta che mai dalle vibrazioni del cuore e dalle vivide cromie delle nostre emozioni, “XPertuTurbazione” è un chiaro e attualissimo esempio tradotto in musica di quanto a volte sia importante, se non fondamentale, lasciar cadere maschere e barriere per far fluire ed esprimere pienamente la nostra vera natura....
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“Christmas King” è il nuovo album di Babibevis, un preziosissimo regalo da scartare sotto l’albero
Come annunciato nei primi giorni di Novembre, in occasione dell’uscita del mini EP apripista “Profumo di Natale” contenente i singoli "Amen", "Heightended Love" e "Natale sei Tu", Babibevis pone la sua voce al servizio della magia del Natale per donare a tutti noi pace, armonia e serenità in “Christmas King”, il suo nuovo emozionante album.
Sedici tracce, profondamente intrise di speranza, amore e meraviglia, che ci conducono verso la Festività più incantata dell’anno, ove sogno e realtà viaggiano all’unisono ricordandoci che, anche da adulti, è possibile osservare il mondo, se stessi e chi ci circonda, con lo stesso stupore che aleggia nello sguardo di un bambino e, proprio come un bambino, viverlo senza la necessità di comprenderlo per forza, allontanandoci consapevolmente dal giudizio, dai preconcetti e da tutto ciò che, crescendo, ha fatto sì che smettessimo di sorprenderci ogni giorno della straordinaria semplicità della vita.
Un viaggio tra sonorità e culture differenti per ricongiungerci alla parte più autentica e sincera del nostro essere, guidati dalla sublime vocalità di uno degli artisti più sensibili, raffinati e coinvolgenti della scena italiana, che è riuscito a scardinare, con la potente purezza del cuore, la concezione che nel 2022 risulti obsoleto raccontare e raccontarsi con elegante pathos, trasformando gratitudine, emozioni e sentimenti nelle più attuali e catchy delle tematiche musicali.
Fin dalla delicatissima carezza sensoriale dell’opening “Jesus Christ”, Babibevis accompagna l’ascoltatore in un percorso introspettivo, fortemente animico, in cui musica e battiti sono l’una la linfa degli altri: 16 stazioni lungo il binario del nostro sentire, ove sostare per rigenerarsi posando a terra i bagagli delle etichette, dei sensi di colpa e di tutte quelle inadeguatezze che per troppo tempo non solo hanno fatto parte del nostro cammino, ma l’hanno governato, manovrato e diretto, impedendoci di scorgere il nostro vero itinerario, quello che ciascuno di noi, ascoltandosi nel profondo, senza condizionamenti, sceglie di intraprendere per e con se stesso.
Un dono, quello del cantautore africano naturalizzato italiano, che valica l’accezione di regalo fine a se stesso per identificarsi e connaturarsi in un presente che proprio nel qui ed ora esprime il suo pieno potenziale, perché è nel e dall’oggi che abbiamo la possibilità di riscoprirci oltre la coltre delle definizioni e delle critiche che, per troppe stagioni, abbiamo riservato alla nostra persona e, di conseguenza, a tutte quelle che fanno parte del nostro piccolo ma preziosissimo mondo.
«Per diversi anni – dichiara l’artista - ho chiesto al mio cuore di sussurrarmi il momento giusto per pubblicare un album di Natale, un album che potesse far cantare, ballare e festeggiare tutte le famiglie, gli amici, gli innamorati, tutti voi, ricordando la nascita del figlio di nostro Dio, Gesù Cristo. Solo due anni fa, in un periodo di fermo e di grande silenzio interiore, il sussurro ha fatto eco dentro me e finalmente quest'anno posso celebrare con voi il mio primo, intimo e prezioso, progetto interamente dedicato al Natale, “Christmas King”. Il periodo natalizio, da sempre, mi riempie di felicità, di gioia, di amore, è uno dei pochi momenti in cui ho la possibilità di stare insieme e condividere l'amore con i miei cari, un amore capace di abbracciare e nutrire, un amore che vive nella semplicità, che guarda ai piccoli gesti, alle sfumature, un amore che, per sua natura, unisce, che riesce, ogni giorno, a mostrarmi il vero senso della vita. Senza questo tipo di amore, che fondamentalmente è l’unico ad esistere e si declina poi in diverse aree del nostro quotidiano, niente per me ha significato: tutto rimane legato a qualcosa di superficiale, di banale, lasciando quell'insoddisfazione e quel vuoto che, per diverso tempo, ho cercato di riempire con cose materiali senza però sentirmi mai davvero realizzato, soddisfatto, completamente sazio. Quando poi finalmente ho volto lo sguardo dentro di me, ed io ne avevo un enorme bisogno, mi sono riconnesso con la mia parte più vera e allora sì, in quel momento tutto è tornato ad essere perfetto nelle sue splendide imperfezioni; tutto è tornato a profumare di vita, quella vita di cui sono follemente innamorato e di cui auguro, a ciascuno di voi, di innamorarcisi sempre di più».
Afrobeat, reggae, pop melodico ed elettronica si susseguono in un disco nato per cantare, ballare e festeggiare: in famiglia, con gli amici, con il proprio partner, ma soprattutto, con quel bambino interiore che abita in ciascuno di noi; un album per celebrare a 360 gradi la meraviglia dell’esserci.
“Christmas King”, supportato dall’ingresso in rotazione radiofonica di “Jesus Christ”, è disponibile anche in versione fisica (acquistabile qui), un memorandum tangibile che ci rammenta quanto la vera concretezza dell’esistenza sia racchiusa nell’immaterialità dei moti interiori che ci e la compongono.
«Siate benedetti, trascorrete un meraviglioso Natale mentre ascoltate il mio nuovo album, sono con voi – augura a tutti, concludendo, Babibevis -. Questo album è il frutto della gratitudine che ho nei confronti della vita, delle persone che mi seguono e che quotidianamente mi dimostrano e mi esprimono sostegno, riempiendomi di pura energia; questo album è musica che profuma di tutti voi».
“Christmas King” – Tracklist:
Jesus Christ
Merry Christmas
Christmas King
Amen
Natale Sei Tu
Christmas Gift
Heightenden Love
This Christmas
Best
Merry
Christmas Money
Dreams Come True
Christmas Chocolate
My Wish
Christmas Lover
When Christmas Is Over
I numeri uno della scena elvetica e cilena, Kevin Love e Marlon Breeze, insieme su “Crazy”
“You're only given a little spark of madness and if you lose that, you're nothing” (“Ti viene data solo una piccola scintilla di follia e se la perdi, non sei niente” – R. Williams), è una delle frasi più celebri e rappresentative sull’importanza di mantenere un pizzico di colore in un mondo troppo spesso in bianco e nero, un tocco di autenticità e originalità in una società sempre più standardizzata. Ed è da questo concetto che il rapper luganese Kevin Love è partito per dar forma e vita a “Crazy”, il suo nuovo singolo che lo vede collaborare con una vera e propria star della scena internazionale, il trapper cileno Marlon Breeze, #1 delle classifiche urban del Sud America.
Ritmi ipnotici dalle intense sfumature clubbing e sensuali vibes dal forte richiamo underground d’Oltreoceano – curate dal fidato producer Killoz -, sono la cornice perfetta di un testo ricco di incastri e punchlines, un’istantanea scattata a 4 mani che evidenzia il desiderio di leggerezza e libertà oltre e nonostante i problemi, i pensieri e le responsabilità che fanno parte del nostro quotidiano, incatenando menti e polsi al gelido scorrere di un tempo che cede pochi passi alla piena espressione di ciò che siamo davvero - «il mio orologio sopra il mio polso sembra un freezer» -.
Un viaggio che parte dalle pendici del San Salvatore per giungere alle rive del Mapocho, intrecciando lingue, culture e trend in un unico flusso di coscienza che esonda e rompe gli argini di una tanto blasonata e rincorsa normalità che non è altro che un fiume di parole superflue e leziose, fluendo in quel piccolo e preziosissimo ruscello personale in cui ciascuno di noi è e si sente “giusto” perché se stesso, libero di esprimersi lontano da pregiudizi, stereotipi ed etichette.
«Con questo pezzo – dichiara Kevin Love - volevo far assaggiare a tutti gli ascoltatori una parte di Santiago del Chile, città natia di Marlon Breeze, unendola a quella che è, a tutti gli effetti, una parte di me. Mi sono messo a nudo, senza filtri, mostrando al pubblico la mia parte più folle, perché io, come tutti noi, sono anche questo».
Una ricerca minuziosa e continua quella dell’artista svizzero divenuto in soli 10 mesi non soltanto il punto di riferimento della scena elvetica, ma anche uno dei più influenti rappresentanti del panorama trap italiano, capace di regalare, brano dopo brano, uno spaccato realistico della società in cui viviamo e di cui siamo artefici, che prosegue:
«Cerco sempre di raccontarmi facendo leva sulle mie esperienze, sul mio vissuto, lasciandomi trasportare e trascinare dalle emozioni che sento e dalle sonorità che mi circondano per lanciare messaggi diversi, ma sempre coerenti con quello è il filo conduttore della mia musica: descrivere la realtà in maniera diretta, facendo sì che arrivi dritta al punto, ovvero alla mente e al cuore di chi mi ascolta, con la speranza di essere un appiglio per chi si sente affondare nel mare della vita e un input al cambiamento, una sorta di faro musicale per chi è stanco di seguire una rotta che non sente propria».
“Crazy”, accompagnato dal videoclip ufficiale diretto da Samuel Mersi, fa seguito alla full immersion nelle radici Old School di Kevin Love “Cosa Vuoi?!” e all’EP d’esordio “Ice Kream Lov3”, mostrando il lato più sciolto e leggero di uno degli artisti più seguiti e apprezzati del 2022, che nel corso delle prossime settimane tornerà a stupire pubblico e critica con una chiusura d’anno “col botto”.
“Freddie” è il nuovo singolo del duo più irriverente del rap italiano Fainest feat. Saimon
Le suggestioni audio-visive dei Fainest, il duo rap più irriverente della scena italiana, tornano a far breccia nelle playlist e nei più ambiti palinsesti delle emittenti nazionali con “Freddie” (Puff Records/Thaurus), il loro nuovo singolo in feat. con Saimon.
Reduci dal successo di “Sgt. Pepper”, ultima release di una gavetta costellata di successi iniziata nel 2013, Blade e Dily scaldano l’inverno con un pezzo capace di fondere incantate sonorità ipnotiche a travolgenti ritmi funky, andando a chiudere l’anno con un’energica ventata di positive-vibes che segna anche l’epilogo dell’iconico capitolo “FunkFainest”.
Una vera e propria esplosione di suoni innescata da un’atmosfera sognante e ludica al contempo, in grado di trasportare istantaneamente gli ascotlatori in un universo parallelo ove magnetismo e seduzione viaggiano all’unisono e si intrecciano al forte desiderio di libertà, sapientemente reso in musica dai riff di chitarra di Domenico Cambareri e dalle sfumature timbriche, calde e avvolgenti, della voce di Saimon nei ritornelli.
Con un chiaro e voluto omaggio ad uno dei più emblematici ed influenti frontman della produzione musicale di tutti i tempi, “Freddie” è una strobosfera sul dancefloor delle emozioni, un faro guida che indica la rotta verso un trampolino sensoriale da cui tuffarsi a capofitto nell’oceano del ritmo del cuore, accantonando, anche solo per un istante, lo stress, i problemi le responsabilità che affollano insistentemente il tram tram quotidiano di ciascuno di noi.
«Un brano audace – dichiarano i due artisti - con una ritmica straordinaria e coinvolgente che lascia tutto all’immaginazione di chi lo ascolta. Un locale in riva al mare, dove tutti si scatenano in pista. Questo è Freddie, il nostro capitolo conclusivo del filone funky dei Fainest che, con un chiaro riferimento al grande Freddie Mercury, ci auguriamo possa portare a tutti una sferzata di leggerezza».
Rime incisive e punchlines pungenti si susseguono in un mix di ironia, fantascienza e realismo - «a lavoro un po’ triste un po’ schiava, ti ho vista giù in pista eri al Copacabana; la notte trasforma una rosa in katana, Johnny Cage e Kitana» -, stilema su cui si articola tutta la discografia di questi due ragazzi che, dalla provincia di Milano, in quasi 10 anni di attività hanno divertito, conquistato e fatto ballare tutta la Penisola.
Prodotto dall’immancabile e ineccepibile tocco di MasterMaind, “Freddie” è la naturale risoluzione di un concept-project, ma al contempo, proprio come l’istrionico ed indimenticabile leader dei Queen, un porto sicuro in cui rifugiarsi per tornare a sentirsi liberi di essere se stessi.
Ethos, il cantautore comasco da oltre 10 milioni di streams, torna con “Faraway”, il suo debut album
Con oltre 10 milioni di streams all’attivo e un’indiscutibile capacità di tradurre emozioni e sentimenti in vere e proprie colonne sonore pop senza tempo, Ethos torna nei digital store con “Faraway” (WhatSound), il suo primo attesissimo album.
Anticipato dai fortunati singoli “Scusa”, “Una canzone per te” e “Occhi rossi” – inseriti nelle migliori playlist editoriali di Spotify e nella programmazione dei più illustri palinsesti italiani -, il disco è una raccolta di sfumature sensoriali attraverso cui l’artista comasco d’adozione luganese si spoglia di filtri e cliché per avvicinarsi, abbracciare e farsi trasportare dal ritmo del cuore: 10 tracce in cui si identificano i capitoli più significativi del libro della vita di un giovane che sa parlare non soltanto alla sua generazione, ma ad un pubblico eterogeneo fuori da target e schematizzazioni, perché la voce dell’anima non conosce età e nell’autenticità dei suoi versi, si amplifica per raggiungere tutti, indipendentemente dalle epoche e dai contesti sociali.
Vivide nuance uptempo sono la cornice perfetta di testi intrisi di riflessioni e poesia, spaccati di vita quotidiana che si cristallizzano in liriche dal forte impatto emozionale, in un susseguirsi di eleganti ritratti introspettivi che si amalgamano per fluire in un unico e impeccabile dipinto impressionista, ove ambivalenza e conflitti interiori assumono le sembianze di un’umanità che non va esorcizzata, ma avvalorata e accolta in tutte le sue sfaccettature.
“Faraway”, letteralmente “Lontano”, rappresenta il viaggio antitetico di Ethos che, per ritrovarsi, per tornare ad avere pieno contatto con le proprie più intime sensazioni, ha scelto di allontanarvisi, distaccandosi per un periodo da affetti e comfort-zone, come lui stesso racconta:
«Per provare a capire chi sono, me ne sono andato lontano: lontano dalla mia famiglia, lontano dai miei amici d’infanzia e lontano dalla routine che vivevo nella mia città natale. Mi sono spesso sentito lontano…Dalle persone, dal mondo degli altri, ma mai dalle mie emozioni. Ho deciso di intitolare così il mio primo disco “Faraway” perché penso che il termine “Lontano”, nella varietà dei significati che può assumere, sia il più adatto a descrivere l’intero progetto».
Interamente prodotto dall’ineccepibile tocco di Sam Lover, fatta eccezione per l’unico feat. dell’album con l’amico di sempre Bori “Un’altra volta”, il cui sound è stato curato da Harley, “Faraway” è un concept intimo, personale, che riconferma l’originalità autoriale di Ethos, evidenziandone sensibilità e capacità comunicativa degne di nota.
“Faraway” – Tracklist:
Faraway (Stanza 3)
Scusa
Una canzone per te
Stare così (Interlude)
Occhi rossi
Un’altra volta (feat. Bori)
Criminale
Fiori del male
Dove sei (bonus track)
Non mi parli più (bonus track)
Biografia.
Ethos, al secolo Federico Lucini, è un artista comasco d’adozione luganese classe 2000. Appassionato di musica fin da bambino, compone i suoi primi testi sui banchi di scuola, negli anni del Liceo. Scrivere è per lui una valvola di sfogo, attraverso cui decomprimere stress e turbamenti e, al contempo, dar vita e voce ad emozioni e sentimenti. Un mezzo, ma simultaneamente un fine, per scoprire se stesso, tratti e peculiarità del suo microcosmo interiore, un percorso alla ricerca e alla scoperta della propria unicità e del proprio carattere (da qui la scelta dello pseudonimo “Ethos”, in greco “Carattere, Temperamento”), consentendo, a chi lo ascolta, attraverso le sue release, di fare lo stesso. Nel 2019 esordisce sulle piattaforme digitali e, release dopo release, giunge al cuore del pubblico, collezionando un numero incredibile di stream e views, ma soprattutto, conquistando gli ascoltatori con la finezza della sua penna e la delicatezza della sua voce. Nel 2022, rilascia una nuova serie di fortunatissimi brani, che sfocia, nel mese di Novembre, nella pubblicazione del suo primo album ufficiale. Sensibile, icastico e versatile, Ethos è l’emblema della fusione di Arte e consapevolezza, un eterno sognatore che traduce in musica i propri desideri e le proprie emozioni per esprimere e conoscere se stesso, portando tutti noi a compiere, ogni giorno, un nuovo passo verso la nostra autenticità.
Jamie prosegue la sua mission sulla sensibilizzazione delle fragilità emotivo-mentali in “Disastro”
Dopo aver emozionato ed affascinato pubblico e critica con il debut EP “Legami”, un suggestivo concept project capace di racchiudere in sole 7 tracce le più importanti relazioni e connessioni umane di ciascun individuo ed aver conquistato le più ambite playlist delle piattaforme digitali per la caratura dei suoi testi ed il connubio ritmo-anima egregiamente espresso in ogni brano proposto, il rapper marchigiano di origini tunisine Jamie, torna a dar voce alle cromie del cuore in “Disastro” (distr. Artist First), il suo nuovo singolo.
Una vera e propria missione quella del giovane artista classe 2002, iniziata dal trepidante intreccio tra un’indomita urgenza espressiva personale ed il lascito della sorella maggiore Ilaria, sensibile e brillante attivista contro la stigmatizzazione sui disturbi mentali prematuramente scomparsa, volto a scuotere e svegliare le coscienze degli ascoltatori su tematiche appartenenti alla sfera emotiva e alle molteplici fragilità che connotano l’universo psichico di tutti noi, che release dopo release si concretizza in un percorso discografico capace di lasciare il segno, oltre ogni parola, oltre ogni etichetta di genere e stile.
Dall’enfatizzazione dei sentimenti e delle ombre più oscure in grado di esorcizzarsi soltanto attraverso la loro accettazione al desiderio di rivalsa su un mondo di cui facciamo parte ma da cui troppo spesso veniamo e/o ci sentiamo esclusi, Jamie si racconta senza filtri con la voce dell’anima, utilizzando come amplificatore del proprio sentire un pop-punk che, impeccabilmente imbastito dall’abilità del fidato producer Echoes, risuona come un grido di aiuto, ma anche di libertà, che scandaglia per sovvertire schemi e convenzioni.
In questo nuovo singolo, emblema della sensazione di inadeguatezza che attraversa il nostro tempo e ristagna silente tra le insicurezze e le pressioni sociali di una collettività sempre più incline all’individualismo, Jamie tinge con gli acquarelli della sua spiccata emotività promesse e fallimenti, che si susseguono in una disputa scandita da vibranti riff di bassi e batterie.
«Io mi sento diverso» e «anche oggi son vuoto e vorrei morire adesso», sintetizzano sin dall’attacco la necessità di liberarsi da una gabbia sensoriale, un oblio interiore connaturato da quel vacuo che racchiude tutto e tutto ci impedisce di affrontare con la serenità e la determinazione che non possono coesistere in un cuore pregno di desolazione e sensazione di fallimento.
Ma nello scorrere del pezzo, così come in quello della vita, Jamie fotografa l’evoluzione delle proprie percezioni che, mediante l’esperienza quotidiana e la consapevolezza non soltanto di limiti e paure, ma anche delle capacità personali e dei punti di forza, lo conduce a sentirsi fiero di se stesso - «sono un disastro fiero di esser me» -, conscio delle proprie mancanze e dei propri difetti, ma al tempo stesso determinato a progredire, aspirando a divenire, giorno dopo giorno, una persona migliore - «oggi non sono un disastro, guardami mamma, ho superato quell’esame in cui non ce l’avevo fatta» -.
Come in un vero e proprio sogno ad occhi aperti, in cui posti dinanzi ad uno specchio costringiamo noi stessi a scorgere i riflessi delle nostre debolezze e dei nostri timori, “Disastro” ci mostra l’importanza di comprendere e accettare ogni nostra fragilità per destabilizzare e dissipare tutte le ombre che l’avvolgono, rendendola, ad ogni scorcio e da ogni prospettiva, una peculiarità su cui far leva per avvicinarci sempre di più alla persona che vogliamo diventare.
«Il brano – dichiara Jamie - è nato per il bisogno di non sentirsi più un disastro. Stavo vivendo un periodo in cui le cose andavano nel verso sbagliato e la colpa, in gran parte, era la mia. Ho scritto la prima strofa nel mezzo del “ciclone”, mettendo su carta la mia routine, i miei sogni ed i miei sentimenti, la solitudine e il mio disperato tentativo di fare qualcosa di possibilmente utile per la società come cercò di fare mia sorella, ma invece di essere una “stella” come lei, mi ritrovavo ad essere un “buco nero disperso nel vuoto”. Nella seconda strofa, le cose cominciano a cambiare, perché io inizio ad essere consapevole dei miei errori, capendo che sono proprio quelli che oggi fanno di me ciò che sono, ovvero un disastro, si, di cui però sono e posso andare fiero. Questo brano è un sogno, che spero possa esser percepito anche da chi lo ascolta, volto a permetterci di comprendere come tutto ciò che abbiamo fatto, ci porterà poi ad essere una versione migliore di noi stessi in futuro. Questa versione, per me, è un “Disastro”».
“Disastro” riconferma la sensibilità e la levatura artistica di Jamie, un giovane cantautore che si distacca dai vezzi e dalle sommarietà di una società in cui le fragilità personali vengono additate come diversità da sopprimere, avvolte da veti, tabù e commisurate alla stregua di capricci, dando forma, anima e voce ad un percorso artistico in cui ogni peculiarità diventa parte integrante di un cammino in e di crescita, di un universo nel quale ciascuno di noi può sentirsi libero di esprimersi per ciò che è in quel momento, senza giudizi e senza timori.
Biografia.
Jamie, pseudonimo di Aziz Gazzella, è un rapper marchigiano classe 2002. Si avvicina alla musica fin da piccolo, grazie alla passione per la danza della madre e per il pianoforte del padre, che lo lascia però solo con la mamma all’età di undici anni. Durante l’adolescenza, scrive i suoi primi testi inediti, senza accompagnarli da alcuna base, che gli consentono però di farsi notare, spopolando sotto forma di post su Tumblr ed Instagram tramite un nickname anonimo. All’età di 16 anni registra la sua prima vera e propria canzone, senza mai pubblicare nulla fino alla tragica e prematura scomparsa della sorella, sensibile e brillante attivista contro la stigmatizzazione dei disturbi mentali, che si tolse la vita a soli 26 anni, nell’Aprile del 2021. Le prime release di Jamie presentano tratti emo-trap, ma con il passare del tempo vengono influenzate dal pop punk d’Oltreoceano, grazie agli ascolti dell’artista di icone come Machine Gun Kelly, Lil Peep, Juice WRLD ed altri grandi nomi della scena USA. Nel suo percorso artistico, collabora con xDiemondx e Venz e nel 2022 rilascia il suo primo EP, “Legami”, un concept project capace di racchiudere in sole 7 tracce le più importanti relazioni e connessioni umane di ciascun individuo e di cui titolo e copertina sono dedicati alla sorella. Quella di Jamie è una vera e propria missione, capace di intrecciare la sua indomita urgenza espressiva al preziosissimo lascito della sorella maggiore, che si pone di scuotere e svegliare le coscienze, attraverso la musica, su tematiche appartenenti alla sfera emotiva e alle molteplici fragilità che connotano l’universo psichico di tutti noi, tracciando un percorso discografico in grado di lasciare il segno, oltre ogni parola, oltre ogni etichetta di genere e stile....
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“Tarantola” è il nuovo singolo di Seta, un tuffo nell’oscurità per tornare a risplendere
Dopo aver affascinato con la sensibilità della sua penna e la delicatezza della sua timbrica in “La Seconda Pioggia” ed aver dato prova della capacità di adattarle a differenti sound e stili in “Alaska”, Seta torna a raccontare luci ed ombre dell’anima in “Tarantola”, il suo nuovo singolo.
Volutamente posato su linee melodiche oscure - egregiamente amalgamate dall’abilità creativa di Indako - in grado di rimandare istantaneamente ad un immaginario creepy da cui si innescano sensazioni di ansia, angoscia e inquietudine, “Tarantola” è lo specchio di un cuore infranto in cui le protagoniste sono proprio le ferite, le crepe che fendono e squarciano l’essenza stessa dei battiti da cui scaturiscono energia e vita.
Proprio come nelle antiche credenze salentine gli effetti di malessere generale causati dal morso della migala venivano trattati con salti e danze, allo stesso modo, il giovane e brillante cantautore brianzolo esorcizza la sofferenza e il turbamento interiore generati dalla fine di una relazione attraverso la musica, facendo fluire pensieri, riflessioni e stati d’animo interrotti dal vuoto e dalla dissociazione momentanea da se stessi in un bianco e nero di liriche struggenti, ineccepibilmente avvolte da un abbraccio sonoro che, nella sua oscurità, permette di sentirsi compresi, accettati, accolti.
«Una bella tarantola, vestita da bambola può essere amata», è uno dei passaggi che più rappresenta la dimensione contrapposta del brano, una dedica intensa, dai contorni cupi, all’ermetismo di colei che un tempo appariva così chiara, limpida e cristallina allo sguardo innamorato di chi è stato ferito, tradito, deluso da «quelle forme (…) su un letto bianco dentro una camera nuova d'albergo».
«”Tarantola” – dichiara l’artista - è un pezzo che racconta tante riflessioni, tutte quelle che affollano la mente dopo la fine di una relazione importante, e ti lasciano lì, solo con te stesso, senza sapere bene cosa fare, mentre continui a ripensare a tutti quei momenti trascorsi che vorresti rivivere. Questo singolo, per me rappresenta rinascita e ripartenza, dopo mesi di stop dalla pubblicazione di nuova musica, trattandosi anche del primo singolo di un EP di prossima realizzazione. Dal punto di vista emotivo, significa tantissimo, perché ho messo a nudo la parte più fragile di me, mi sono esposto ed esporsi, si sa, mette sempre tanta paura, soprattutto quando si narrano frammenti del proprio vissuto in maniera profonda, del tutto intima, personale».
Racconti e spaccati di vita vissuta soggettivi, ma in cui ciascuno di noi può ritrovarsi, facendo sì che quella morsa oscura diventi, giorno dopo giorno, una carezza sull’anima da cui trarre nuova luce che, come un faro interiore, sappia indicarci la via verso un futuro in cui rinascita e consapevolezza acquisita siano le chiavi di una ritrovata ed imprescindibile libertà individuale.
Pop, punk e riflessione si fondono in “Luna”, il nuovo singolo dei Rebenga
Quando energia e introspezione si intrecciano, il risultato ha un solo nome, Rebenga.
Dopo aver conquistato pubblico e critica con l’abbraccio elettro-pop del come back estivo “Cuore Rotto”, il duo di fratelli emiliani torna in radio e nei digital store con “Luna”, un pezzo dal quale è davvero impossibile non farsi travolgere.
La fresca e coloratissima attitude del pop si intreccia alle sfumature melodiche ribelli e incalzanti del punk, dando vita ad un coloratissimo ritratto di grinta e intimismo in grado di raffigurare in maniera impeccabile il carisma e la vivace personalità della band. La fine di una relazione diventa l’inizio di un nuovo percorso, nel quale Andrea e Fortunato analizzano il contesto sociale in cui sono e siamo inseriti, mediante un susseguirsi di riff accattivanti capace di smuovere teste ed animi.
Un tuffo nella spiritualità dei due giovani e brillanti cantautori da cui si evince la loro ricercatezza autoriale, frutto di un’inclinazione all’osservazione e all’autoanalisi degna di nota, che ritrae in musica uno spaccato onesto e sincero della contemporaneità di cui siamo artefici, tra invidie, egoismo, individualismo e sentimenti di odio e avversione.
«L'ego ci isola, l'odio scivola come saliva su una ferita» e «tu non lo sai ma hanno le orecchie pure le pareti», sono solo due dei molteplici passaggi di un brano che nell’equilibrio tra connubio e antitesi di suoni e liriche, immortala il desiderio di poter vivere senza il timore di giudizi e preconcetti, abbandonandosi solo ed esclusivamente al volere del cuore.
Ed è così che quel tuffo nella sensibilità dei Rebenga ci consente di immergerci tra le controverse e contrastanti consuetudini della nostra epoca - «per me sei quel posto fisso che non ho voluto» -, permettendoci di commisurare l’epilogo di una storia d’amore al mesto e fin troppo repentino declino di una società che nella costante ricerca di evoluzione e progresso, si dimentica fin troppo spesso di considerare l’emotività e l’universo interiore di chi la compone, trasformandosi ed avvicinandoci sempre di più a diventare un agglomerato, un insieme di individui a sé stanti, non curanti del sentire altrui, di quegli altri che diventano un bersaglio su cui riversare e scaricare tutte le nostre personali frustrazioni.
«Questo pezzo – dichiarano i due cantautori – parla della rottura di una relazione che fa aprire gli occhi al protagonista sull'ambiente dal quale è circondato, in cui regnano invidia, egoismo ed odio. Un mondo arrogante e per niente inclusivo, che lo porta a chiedersi se al di là di esso, nel fascino della Luna, troverà pace e fortuna».
Una fortuna che non si identifica con ricchezza o prestigio, ma con quel benessere immateriale, spirituale e incorporeo, necessario per sentirsi liberi, liberi di essere se stessi.
“Luna”, un vero e proprio piccolo capolavoro del pop-punk made in Italy, sarà accompagnato dal videoclip ufficiale, in uscita nel corso delle prossime settimane.
Incisivi, caleidoscopici e dotati di una cifra stilistica unica e fortemente riconoscibile, i Rebenga riconfermano la loro originalità ed un’impeccabile abilità nel saper trasformare in versi la policromia del nostro tempo....
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“Mezzanotte (UTC)” è il nuovo capolavoro pop di Mezzanotte
Ci sono canzoni capaci di arrivare dritte al cuore sin dal primo ascolto, brani in cui ad ogni singola parola corrisponde un’emozione. Battiti espressi in liriche, armonie e fraseggi tradotti in composizioni musicali destinate a rimanere parte della nostra storia, perché in grado di raccontarla, di raccontarci. Uno specchio interiore in cui si riflette tutto ciò che vive ai confini dell’anima, permettendo a ciascuno di noi di guardarsi dentro, senza maschere, filtri e pregiudizi e da cui il brillante cantautore bresciano Mezzanotte trae luci, ombre e riflessi regalandoci, release dopo release, la possibilità di scorgerci, di conoscerci un po’ meglio. Reduce dal successo di “Lockdown nel petto” e “Verità”, l’artista chiude il 2022 con “Mezzanotte (UTC)” (distr. ADA Music Italy), il suo nuovo singolo che rappresenta una vera e propria poesia contemporanea, ma ben oltre il concetto di tempo.
Scritto poco prima della pandemia dallo stesso artista con l’irrinunciabile collaborazione di Vigan Mehmedi, “Mezzanotte (UTC)” è una sublime e potentissima virata verso la parte più malinconica e solitaria del nostro Io, che mediante la sua rivelazione si esorcizza e trova pace, sollievo e comprensione, in uno sguardo che travolge i sensi per riportarli in vita, in un profumo che accarezza le fragilità rendendole peculiarità di cui innamorarsi, cessando di identificarle in difetti da celare dietro il sipario dell’insicurezza - «Scusa sai se mi perdo dentro i tuoi occhi, come il tuo profumo, ma quell’azzurro mi ricorda il mare e quel sapore mi ricorda il paradiso» -.
Il buio e il vuoto percepiti si scontrano con l’intensa luce di un paio d’occhi che riverberano amore, serenità e accoglienza, tra il desiderio di vivere e viversi pienamente - «se mi seguirai nella notte ti dimostrerò che io penso a noi» - ed il timore di non esserne all’altezza - «scusa sai se poi penso troppo e poi non riesco ad essere diretto e non vado a tempo e non dico ciò che penso» -; paure dettate dall’abitudine di rifugiarsi tra i meandri delle proprie emozioni, di implodere per non fare rumore, ma che, ora, si sgretolano dinanzi alle pulsazioni del cuore, ad un sentimento che riaccende il significato di ogni cosa - «Io che annego nella notte e vivo dentro il buio e non riesco a dare al mondo un senso senza avere prima accanto te» -.
«Questo pezzo – dichiara Mezzanotte – è nato un paio di anni fa, quando stavo attraversando un periodo un po’ cupo. Mi sentivo molto solo per svariati motivi e ho cercato l'evasione e la compagnia della mia penna, raccontando una storia d'amore. Ho scritto della mia parte solitaria e insicura, quella che cerco di nascondere sempre. Ho scritto di come sia possibile trovare la via della salvezza, la strada della salvazione, mediante l’impressione di una storia d’amore».
Una redenzione da se stessi che prende forma solo nel momento in cui torniamo a metterci in gioco mostrandoci per ciò che siamo davvero, una scintilla che illumina l’oscurità e, grazie alla presenza di un’anima simile alla nostra, ci ricorda quanto sia fondamentale uscire allo scoperto senza temere il giudizio, per poter assaporare ogni secondo, ogni brivido lungo la schiena, perché l’apprensione di non essere all’altezza - «scusa se ho paura di non saper come prenderti» -, non può e non deve impedirci di vivere e far fede ad una promessa, un impegno che valica e supera ogni concetto di tempo, quel «Ti aspetto a mezzanotte» in una “Mezzanotte (UTC)” che attraversa le oscillazioni delle lancette emotive per racchiudere e governare tutte le stagioni del cuore.
Il brano, accompagnato dal videoclip ufficiale diretto da Francesco Colombo, riconferma la sensibilità artistica di Mezzanotte, evidenziandone versatilità e abilità autorale, comunicativa ed interpretativa, che unite alla capacità di attingere ad un immaginario originale rendendolo universale e fortemente identificativo, ne delineano una cifra stilistica unica e riconoscibile.
“Sei” è il nuovo singolo di Vi Skin, una “non canzone d’amore” che attraversa l’anima
Riconosciuta dalla critica come “una delle vocalità più emozionanti e suggestive del panorama pop-cantautoriale italiano” ed essere stata annoverata “tra le più promettenti cantautrici del pop tricolore”, Vi Skin torna a catalizzare e magnetizzare il pubblico in “Sei”, il suo nuovo singolo.
“Sei” come declinazione e al contempo congiunzione dell’essere, ma anche come emblema della dicotomia bene-male più allendiana, mistica ed esoterica, ove l’Amore rappresenta tutto e il suo contrario, ove chi ama non si annulla nell’altro, ma per il bene dell’altro, per la sua libertà di crescita ed evoluzione, è disposto a farsi da parte - «ben venga se perdere me ti fa ritrovare te» -, incastonando quegli «sguardi persi, forse troppo persi» nello scrigno dei ricordi.
Un brano, intimo, sentito, sofferto, in cui la brillante autrice e interprete ciociara si mette a nudo lasciando emergere i riflessi del cuore, trasformando liriche struggenti e malinconici tocchi sul bianco e nero dei tasti del suo pianoforte in una carezza che inonda, travolge e rapisce i sensi sin dal primo ascolto.
Il ritratto evocativo di un’assenza fisica in grado di risuonare più presente che mai - «ti ritrovo nei miei testi, almeno lì so che resti» - in battiti così assordanti da annichilire il cuore - «non sento più il cuore, me lo presti?» -, dove pathos e dolore si fondono nella consapevolezza di non poter amare a metà - «non posso permettermi occhi incolore, baci insapore, profumi inodore, mi appassiscono il cuore» -, ma al tempo stesso, di non voler lasciar andare la sostanza stessa di quel tormento senza il quale ogni cosa perde di significato - «queste lacrime sanno di te, non voglio piangere, non voglio che scivoli via da me» -.
Una “non-canzone-d’amore” che attraversa l’anima, perché capace di manifestare sensazioni, emozioni e sentimenti senza cercare di descriverli, di raccontarli; un flusso di coscienza su ciò che, per antonomasia, coscienza non ne ha, perché l’Amore, come scrisse Albert Einstein, “è la quintessenza della vita” e valica ogni ragione, assioma, etichetta, parlando all’universo intero senza alcun ausilio di logica, espressione, parola, perché l’Amore, quello vero, supera i concetti di estetica e aspetto, per racchiudere il nucleo, il cuore del suo cuore, in silenzi che dicono tutto - «non mi è mai importato dell’involucro che hai, non dice chi sei….Sei essenza dei silenzi miei» -.
«Ho sempre tenuto in penombra l’amore di coppia nella mia musica – dichiara Vi Skin -, perché credo sia facile parlarne e che di testi sulla bellezza dell'innamoramento, così come sulle relazioni impossibili, ce ne siano ormai troppi, spesso, forse, per consolare un pubblico di cuori infranti, o per cercare di raccontarlo a coloro che lo vedono come una tana fuori dal proprio mondo. Stavolta, però, ho deciso di mettere la mia voce al servizio del mio significato di amore, cantando della più bella e combattuta storia che abbia mai vissuto. Ho scelto di mostrare a chi mi ascolta come un "addio" possa diventare presenza e ricerca costante dell’amore stesso, che va colto in ogni stralcio di quotidiano, perché riecheggia in ogni cosa, e di ogni cosa, ne è l'essenza».
La presenza indelebile nonostante l’addio, un sentimento costantemente rivissuto senza il bisogno di un volto, di un bacio, di un abbraccio a cui collegarlo, perché pregno di se stesso, di quella linfa che si sprigiona oltre ed indipendentemente da qualsiasi custodia, propagandosi in ogni luogo dentro e al di fuori di noi.
«É così che ho scoperto la forza dell'amore – prosegue l’artista - di quel legame indifferente ad ogni barriera che vi si contrappone. Un sentimento senza limiti, senza condizionamenti esterni, che sa vedere oltre lo sguardo degli occhi, cogliendo la vera bellezza di un’anima. Un sentimento così forte che resiste a tutto, perfino ad un addio. È la prima volta che tratto quest'argomento attraverso la mia storia personale, perché voglio lanciare il messaggio che l’amore non ha sesso, forma, statura e colore; l’amore non si definisce. É un concetto mentale, un'attrazione di anime, simili, complici, che vedono soltanto la loro natura, senza badare a quale corpo appartengano, a chi le contenga».
E conclude:
«Ho sempre pensato che la società ci imponga troppi limiti, costruisca troppe barriere e che l'amore debba essere l'unica cosa a prescindere da tutto, l'unica libertà che ci concediamo, l'unica cosa a non fare differenze in un mondo in cui ce ne sono già troppe».
Perché amare è, e dev'essere, sentirsi liberi.
“Sei” riconferma la ricercatezza compositiva, l’emozionalità espressiva e l’intensa delicatezza timbrica di Vi Skin, una voce che affascina e avvolge il cuore per mettersi al suo servizio ed esprimerne ogni sfumatura cromatica....
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“Profumo di Natale” è il nuovo imperdibile concept EP di Babibevis
Il Natale si avvicina e con esso, la Musica, riflesso del nostro sentire, assume i toni delle speranze e dei desideri racchiusi nel cuore, colorando di incanto e delizia playlist, pensieri e lo scorrere dei giorni che ci separa dalla Festività che più li rappresenta. Ed è proprio in questo magico periodo dell’anno che il cantautore afro-italiano Babibevis, dopo aver conquistato pubblico e critica con il suo eccelso come back della scorsa primavera “Self”, ha scelto di regalarci “Profumo di Natale”, una carezza sull’anima che riaccende la dolce fiamma dei sogni e ne riconferma non soltanto abilità autorale e talento da fuoriclasse, ma anche un’attitude e una capacità interpretativa capaci di sfiorare tutte le corde delle emozioni.
Con la sua timbrica calda e avvolgente in grado di catturare e inebriare i sensi e una preparazione vocale degna delle più grandi star internazionali, Babibevis ci prende per mano conducendoci in un universo in cui meraviglia e realtà si fondono e collimano nell’essenza del Natale: un viaggio in tre tappe scandito da modernissime sonorità afro-pop-elettroniche fortemente celebrative e rispettose della tradizione, sulle orme, o per meglio dire sulla scia, della ricorrenza per antonomasia, la cui meta è la genesi dell’esistenza stessa, l’Amore.
La scelta del titolo racchiude in sé una duplice accezione, rappresentando l’emblema del concept stesso: il profumo è infatti ciò che ci precede, proprio come il mini EP anticipa l’attesissimo nuovo album di Babibevis “Christmas King” – in uscita il prossimo mese - ed ogni fragranza sa raccontare una storia, un intento, un piccolo frammento di vita vissuta, amalgamando l’essenza di tutto ciò che siamo a quella di ciò che vorremmo e ci impegnano quotidianamente ad essere, ma è anche lo scrigno sensoriale in cui riponiamo ed a cui colleghiamo ricordi indelebili, fotogrammi del nostro percorso immortalati dall’obiettivo del cuore, capaci di riemergere istantaneamente attraverso un’evocativa miscela di aromi e memorie che prende forma in un’impalpabile ma più tangibile e concreta che mai sensazione di benessere.
“Amen”, “Natale sei tu” e “Heightened Love” sono i 3 catartici pit-stop di questo cammino tra le note, ma sono anche i 3 step, i 3 stadi, di un’evoluzione personale che deve necessariamente partire dalla gratitudine e dalla consapevolezza dell’esserci per poi amare chi ci circonda e giungere alla fonte di quel sentimento consolidato, potenziato, nei confronti di sé, degli altri e della vita stessa.
«Ho scelto queste tre canzoni – dichiara l’artista – perché ho sentito il desiderio di tornare alle origini, di seguire la scia del profumo del Natale, facendomi condurre là, dove tutto ha avuto inizio. Ho deciso di riassaporare ed immergermi nel profumo che contiene tutti i profumi, l’Amore».
Una scelta intima e interiore che mediante la composizione dei 3 brani si è espressa ed esteriorizzata dando vita anche ad un progetto parallelo ma interdipendente, la fragranza “Frankincense”, che lo stesso cantautore racconta così:
«Ho pensato a questo connubio perché vorrei che tutti si lasciassero abbracciare da questi 3 diversi ma interconnessi aromi uniti in un unico profumo. “Hightened Love” è la più alta manifestazione d’amore da cui tutto ha genesi. Un amore che si insedia profondamente nel cuore, al punto da non riuscire più a farne a meno; un amore che rappresenta il motore dell’esistenza; un amore che si nutre del suo stesso amore perché non può esistere diversamente. Un amore che ci trasforma nella migliore versione di noi; un amore che profuma di generosità e si dona senza aspettative, senza chiedere nulla in cambio. Un amore che si ubriaca di amore, un amore che ti fa venir voglia di regalare le stelle e la luna a chi ami e che, guardandolo dritto nell’iride, ti fa esclamare “Natale sei tu”! Un amore pieno che non manca di nulla, un amore completo che ti eleva ai tuoi ricordi più profondi. Ogni ricordo ha un profumo ed ogni profumo è un ricordo, un'emozione, un'esperienza, perfino l'aria che respiriamo profuma: per me, ha il profumo della gratitudine, perché ci ricorda che siamo vivi ed io voglio ringraziare la vita, cantando e danzando immerso nel profumo di “Amen”».
Il mini EP “Profumo di Natale” e la fragranza “Frankincense” evidenziano la concezione artistica eclettica e caleidoscopica di Babibevies: ogni release è meraviglia, scoperta di tutto ciò che pensavamo di conoscere ma che in realtà ravvisiamo appena; ogni canzone è musica, da toccare e respirare....
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Rock e letteratura si fondono in “Lupo della steppa”, il nuovo singolo di Samuele Esaltato
Quando Arti visive e performative si incontrano, il risultato è un intreccio di mente ed anima in grado di lasciare senza fiato, uno scrigno incantato in cui custodire fragilità e virtù, che attraverso i racconti e il vissuto di chi ha saputo immortalare l’universalità dell’essere umano in opere capaci di sopravvivere allo scorrere del tempo, diventa un forziere in cui riporre e coltivare la propria vera essenza, amalgamando esperienze personali a riflessioni e storie lette, ascoltate, sfiorate con il tocco del cuore. Ed è proprio da una di queste storie che l’incisiva penna del cantautore capitolino Samuele Esaltato ha dato vita a “Lupo della steppa”, il suo nuovo singolo liberamente ispirato al capolavoro introspettivo del Premio Nobel tedesco naturalizzato svizzero Herman Hesse “Il Lupo della Steppa”.
In una suggestiva ed emozionante analogia con una delle più rappresentative opere sulla multiformità e la dualità antinomica della natura umana, l’artista, che riconferma la sua cifra stilistica nell’impeccabile commistione musica-letteratura presentata anche nel suo debutto “Un Maledetto” – nato dalla lettura della raccolta lirica “I fiori del male” di Charles Baudelaire -, racconta di quanto sia fondamentale riappropriarsi della propria libertà, di azione e intellettuale, condizione troppo spesso data per scontata e per questo sottovalutata nella sua accezione di crescita, di autodeterminazione individuale e collettiva. Così, come nel romanzo del 1927 Hesse descrisse il perenne conflitto tra “umanità” e “bestialità”, l’incessabile contrapposizione tra spirito e istinto, tra nobiltà d’animo, sentimenti e cultura e crudeltà, desideri impetuosi e non sublimata indole selvaggia, trovando nella consapevolezza che questa dicotomia non potrà mai essere recisa e nella riconciliazione delle due stesse parti mediante ironia e umorismo l’unica via di guarigione, allo stesso modo, Samuele Esaltato riconosce nella metafora del lupo l’emblema della società attuale, paragonando la sua indole solitaria, schiva ed esclusiva - « Come potrei non essere un lupo della steppa, un sordido anacoreta in un mondo del quale non condivido alcuna meta» - alla contemporaneità in cui viviamo.
«“Lupo della steppa” – dichiara il cantautore - è nato durante il primo lockdown, in un periodo in cui avevo perso la bussola, l’orientamento verso i miei desideri. Mi sono ritrovato senza stimoli per fare musica e per raccontare storie. Fortunatamente, un mio caro amico mi consigliò di leggere e mi prestò “Il Lupo della Steppa” di Herman Hesse, un romanzo illuminante a cui poi mi sono ispirato per creare il brano. Il libro raccontata una vicenda analoga alla mia: un uomo si era totalmente dedicato all’ozio e non voleva in alcun modo liberarsene. Un po’ come è successo, non solo a me, durante la pandemia, ove molti hanno perso stimoli nel fare ed anche nel dire. Lupo mi ha aiutato a ritrovare la strada maestra; banalmente, senza questa lettura, avrei probabilmente smesso di cimentarmi nello scrivere canzoni. Credo sia una canzone in grado di smuovere quelle corde addormentate e spero, in cuor mio, che possa aiutare anche altri a far combattere quel lupo, riprendendosi, riprendendoci, la libertà intellettuale che ci spetta».
Una libertà che va ricercata attraverso la conoscenza di se stessi e dei propri limiti, di quelle zone di comfort da cui è necessario cercare di allontanarsi per poter scorgere e scoprire nuovi mondi, fuori e dentro sé.
Posato su una cornice sonora uptempo dagli energici toni rockeggianti meravigliosamente intrisi di intime sfumature Blues, capace di accentuare ed enfatizzare il concetto di dualità, contrasto e divergenza, “Lupo della steppa”, invita ad una profonda riflessione sulla sempre più frequente incapacità di ricercare stimoli all’interno di noi stessi, fornendo uno spaccato realistico non soltanto su un’inerzia figlia di scontri emotivi ancor prima che sociali, ma anche sull’asetticità e la sterilità interiore che ne conseguono, incoraggiando l’ascoltatore a riprendere in mano la propria vita partendo dalla libertà, la libertà di essere ed esprimere la propria vera natura.
Biografia.
Samuele Esaltato è un cantautore, musicista e attore romano. Imbraccia la sua prima chitarra tra i banchi di scuola e, nel 2017, dopo aver studiato lo strumento sia da autodidatta che in accademia, si forma in recitazione, movimento scenico, fondamenti di dizione e fondamenti di studio del personaggio presso la “Scuola di Imprenditori di Sogni” diretta da Sergio Basile. Le sue influenze musicali risiedono nella Canzone d’Autore italiana, in particolare nell’assiduo ascolto di alcuni tra i più iconici cantautori del panorama musicale nazionale, quali Fabrizio De André, Francesco Guccini, Giorgio Gaber, Lucio Dalla ed Ivan Graziani. La sua tecnica chitarristica, pregna di sonorità hard rock e blues, si ispira invece a figure internazionali come Gary Moore, Eric Clapton, Rory Gallagher, Stevie Ray Vaughan, Chuck Berry, JJ Cale, B.B. King, Freddie King, Robert Johnson, Buddy Guy ed Albert Collins. Dopo svariate esperienze in qualità di attore, musicista e interprete, nel 2020 pubblica sui digital store il suo primo singolo, “Un Maledetto”, nato dalla lettura della raccolta lirica di Charles Baudelaire “I fiori del male”, seguito, due anni più in là, da “Lupo della steppa”, un’intensa riflessione sulla natura umana, liberamente ispirata al capolavoro introspettivo di Herman Hesse “Il Lupo della Steppa”, attraverso cui Samuele Esaltato invita a meditare sulla sempre più frequente incapacità di ricercare stimoli all’interno di noi stessi, fornendo uno spaccato realistico non soltanto su un’inerzia figlia di scontri emotivi ancor prima che sociali, ma anche sull’asetticità e la sterilità interiore che ne conseguono, incoraggiando l’ascoltatore a riprendere in mano la propria vita partendo dalla libertà, la libertà di essere ed esprimere la propria vera natura, con cui riconferma la sua cifra stilistica nell’impeccabile commistione tra musica e letteratura.
Sara Laure, torna a dar voce al women empowerment in "Voilà", il suo nuovo singolo
La sensualità ricercata e l’avvolgente vocalità black-soul di Sara Laure tornano a corroborare di pathos ed eleganza la sua mission “Women Empowerment” in “Voilà” (Cosmophonix Artist Development/Altafonte Italia), un vero e proprio inno contemporaneo all’emancipazione femminile e all’equità di genere.
Un impegno, quello della giovane e talentuosissima cantautrice italo-africana, nato dall’intreccio di vocazione, inclinazione personale ed esperienze di vita vissuta, che l’ha portata ad esprimere, attraverso le sue release, i gap quotidiani cui, ancora oggi, molte donne si ritrovano dover far fronte.
Raccontarsi per raccontare; questo il concetto chiave del successo della brillante queen del pop-soul italiano, che dopo aver dimostrato un’impeccabile ed esplosiva miscela di attitudine, carisma, sensibilità e groove in “Prima Donna” ed aver dissipato la fitta coltre di giudizi e preconcetti sull’estetica femminile in “Habit serrée”, scardinando la sempre più comune e deleteria analogia tra esposizione mediatica consapevole ed oggettivazione del corpo della donna, fa centro con un pezzo volto a smantellare un altro cliché ancora troppo radicato nella cultura globale, che è possibile riassumere nella locuzione tedesca “Für eine Frau machst du das aber ganz gut” (“Te la sbrighi bene, per essere una donna”).
Stereotipi, pregiudizi e luoghi comuni spesso banalizzati con sferzante sarcasmo, tramandati da una cultura prettamente maschilista, che la raffinata artista veneta mette in luce mediante liriche e sonorità super catchy, con l’intento di sottolinearne l’insidiosità in un tessuto sociale sempre più orientato a stigmatizzare per poi smentirsi dietro il sipario del politically correct anziché mettere in discussione sistemi e dottrine di pensiero arcaiche, con la volontà di dar voce prima e vita poi ad uno spaccato in cui congetture e convenzioni sessiste anacronistiche non siano rovesciate, ascrivendo quindi un maggior prestigio alla figura femminile, bensì rese effettivamente eque ed equilibrate, nel rispetto di ciò che è la natura umana, oltre il concetto di genere e appartenenza sessuale, attribuita e percepita.
«Fin da piccolina – dichiara Sara Laure - ho dovuto imparare ad essere indipendente, a saper contare su me stessa, addossandomi spesso anche responsabilità che non avrei dovuto portare sulle spalle. Sono sempre stata matura e coscienziosa e crescendo, ho avuto a che fare con uomini che faticavano tantissimo ad accettare la mia determinazione, ad accettare donne ambiziose e che sanno esattamente quello che vogliono. Alcuni di loro, provavano un vero e proprio fastidio nel sapere che il mio primo pensiero era ed è sempre stato il lavoro: la mia carriera, il lasciare un segno in questa mio cammino sulla Terra. Ci tengo a dire che non voglio generalizzare, fortunatamente non tutti gli uomini sono così, ma nessuno dovrebbe esserlo! Purtroppo, ancora oggi, noi donne dobbiamo fare tripli salti mortali quotidiani per poter raggiungere i nostri obiettivi, per cambiare le regole del gioco ed essere, davvero, al pari di colleghi e amici uomini. Io sono grata di essere forte abbastanza per seguire le mie regole, le mie idee, ma non tutte le ragazze hanno la mia stessa tempra. Voglio lasciare un mondo più equo alle future generazioni, un mondo in cui non esistano etichette e dove il sesso con il quale nasci, così come quello che ti senti, non possa in alcun modo influire sulla carriera e su ogni ambito della routine di ciascun essere umano».
Scritto di getto in un pomeriggio della scorsa estate dalla penna icastica e graffiante di Sara Laure e prodotto dal fidatissimo team di Cosmophonix Production, “Voilà” canta la rivincita sulla subdola e insensata ghettizzazione nei confronti di quel “gentil sesso” la cui definizione, per troppo tempo, ha collimato con “sesso debole”, rappresentando in musica la libertà di essere e sentirsi donna....
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“Tempi persi” è il nuovo atteso EP dei Factanonverba
Come annunciato la scorsa estate, in occasione della pubblicazione del fortunato singolo a tematica sociale “Diversi da chi”, il duo sassarese Factanonverba torna nei digital store con un’imperdibile raccolta di brani che ben evidenzia la caratura della loro concezione artistica: “Tempi persi”, questo il titolo dell’atteso EP, presenta una selezione di 6 tracce, scelte tra le oltre 30 scritte e composte dai due musicisti sardi nel solo periodo della pandemia.
Quattro brani inediti avvalorano il profondo tratto conscious insito nelle due release apripista – “Impossibile” e “Diversi da chi” -, coinvolgendo orecchie e cuori per scuotere e sensibilizzare gli animi di un pubblico che attraverso l’impeccabile intreccio di sonorità rock di matrice USA all’italian-pop più contemporaneo, si ritrova a riflettere su assunti e concetti quali il tempo e la ricerca di sé, mediante il susseguirsi di liriche e riff.
Tempo e ricerca sono proprio i due princìpi chiave su cui si articola il concept di un progetto dalla duplice accezione, in cui scenari evocativi, costantemente in bilico tra ritmo e introspezione, si posano su sonorità prive di fronzoli e virtuosismi, per collimare nella stessa ambivalenza dell’essere umano, trattando temi attualissimi, ma imperituri.
Dall’open track hegeliana “Strane idee” in cui la dicotomia tra bene e male si manifesta sempre più incline a farsi scudo dietro a fanatismi e pseudo ideali, passando per l’ossessione, il bisogno “malato” di apparire ad ogni costo dettato dalla sovraesposizione magistralmente narrato in “Limiti”, l’eterna lotta tra istinto ragione che ci impedisce di comprendere il nostro reale ruolo nel mondo egregiamente espressa in “Vivere o pensare” e l’eccelsa analisi sulla funzione, il peso della parola ai giorni nostri, esplicata in “Leggero”, i Factanonverba ci regalano uno spaccato onesto e sincero che si distacca da verità assolute e sentenze tendenziose per consentirci di meditare sull’utilizzo del nostro tempo; un quadro realistico e privo di cornice, di tutti quegli orpelli che spesso ci distraggono, o per meglio dire a cui spesso ci affidiamo per sfuggire all’onere di riflessioni e considerazioni personali, in cui è possibile osservare l’evidenza dell’oggi, tutti quegli assiomi quotidiani che si palesano dinanzi ad uno sguardo troppo impegnato ad inseguire la forma anziché la sostanza.
A supportare l’uscita del progetto, il videoclip ufficiale di “Strane idee”, girato dagli stessi artisti in collaborazione con il fumettista Joachim Tilloca che ne ha curato le vignette e Alessio Dalerci per la post produzione in editing e montaggio.
Intimisti per tempra e comunicativi per vocazione, i Factanonverba sono tra i migliori rappresentanti di un’innovazione musicale necessaria, sospesa tra la dimensione anticonvenzionale tipicamente connaturata nel rock ed i tratti più aware e meditativi del cantautorato italiano, capace di fluire in una serie di pubblicazioni che chiama all’azione, al produrre fatti oltre ogni sterile discussione, tradotta in una semplice ma efficace locuzione: “Facta, non Verba”.
A seguire, tracklist e Track by Track dell’EP:
“Tempi persi” – Tracklist:
Strane idee
Leggero
Limiti
Impossibile
Vivere o pensare
Diversi da chi
“Tempi persi” – Il disco raccontato dagli artisti:
“Strane idee” è una seria riflessione sulla malvagità “banale” dell’essere umano, che arriva a compiere le peggiori atrocità in nome di valori assurdi, di credi fanatici e in difesa di pseudo tradizioni e di falsi concetti identitari.
“Leggero”: l’analisi di come spesso le parole servano a creare malintesi e malumori e di come siano in grado di costruire verità ad hoc, utili a perorare questa o quella ragione grazie più al potere persuasivo che alla veridicità delle parole stesse.
“Limiti” rappresenta uno spaccato non troppo ironico dell’assoluto bisogno di apparire ad ogni costo dei tempi moderni, di quel condividere ogni parte più intima della propria vita con la speranza di ottenere un qualche tipo di consenso da uno dei pubblici più pericolosi e influenzabile, ovvero quello virtuale dei social network.
“Impossibile”: c’è un momento della nostra vita in cui iniziamo a guardare indietro, comprendendo tutti gli errori che abbiamo fatto. E la vera sfida è quella di non rimpiangere nulla, andando avanti concentrandosi sul presente.
“Vivere o pensare” pine in musica l’eterna lotta tra istinto e ragione, che nel lato pratico, si traduce nelle due attività principali dell’essere umano, delle quali però, spesso, è difficile trovare la vera sintesi, quella che ci permette di comprendere il nostro vero ruolo nel mondo
“Diversi da chi” è un vero e proprio inno contro ogni forma di discriminazione, a partire da quelle di genere, razza, ceto; un invito a mettere da parte tutti i pregiudizi in favore di empatia e condivisione in un mondo sempre più individualista.
Grid torna con “Nac Nac”, il suo nuovo singolo che riaccende il motore dei sogni
Tra le giovani cantautrici più apprezzate e seguite di questo terzo decennio degli anni duemila, vi è senza alcun dubbio Grid che, a soli due anni dall’esordio sui digital store con “Splash” (feat. Hugo Marlo), è riuscita conquistare cuori e playlist di un sempre più vasto ed eterogeneo pubblico di ascoltatori grazie a brani come “Testacoda”, “Intimo Glamour”, "Neve In Tasca" e “Nomade”, evidenziando un eclettismo degno di nota, una capacità interpretativa fortemente incisiva e una presenza scenica da fuoriclasse, considerando anche la sua giovane età, qualità che le hanno altresì consentito di aggiudicarsi importanti premi, riconoscimenti e attestati di stima da parte di critica e addetti ai lavori. La giovane e poliedrica artista, modella, conduttrice e “ragazza ombrellino” veneta, prosegue così il suo percorso artistico in continua ascesa, tornando ad infiammare l’autunno con “Nac Nac”, il suo nuovo singolo che la vede collaborare, per la prima volta, con la storica e iconica etichetta lombarda Rusty Records.
Prodotto dall’immancabile e inconfondibile tocco del team mantovano multiplatino di Cosmophonix Production, “Nac Nac” riconferma il carisma, la determinazione e la frizzante visione di Grid, in una riuscitissima e avvincente analogia tra la vita e le sue due più grandi passioni, la musica e il motociclismo. Il termine “Nac Nac”, infatti, in gergo sportivo significa “impennare” ed è proprio su questa accezione che si fonda e si articola il brano, paragonando il repentino e voluto sollevamento delle ruote anteriori dei motocicli, alla necessità di risollevarsi, con grinta e risolutezza, nei momenti più bui del cammino di ognuno di noi.
Una risalita che ha il sapore della rivincita e i colori di un’evoluzione interiore, senza le quali è impossibile crescere, progredire e raggiungere i propri obiettivi:
«”Nac Nac” – dichiara Grid - rappresenta il mio lato più forte, più vero, quello che definirei più “street”. Il termine significa “impennare” e identifica alla perfezione il modo in cui voglio vivere la vita; sempre al massimo, oltre ogni limite, viaggiando a 200 all’ora e dimenticando problemi e titubanze, perché, a volte, quello di cui abbiamo bisogno per rigenerarci, è fare il pieno ai nostri sogni e scappare per un istante dalla routine quotidiana».
Scritto dalla stessa Fabiana Mattuzzi con il vincente e fidato duo di autori e producer Stefano Paviani e Nicola Messedaglia, “Nac Nac” fonde alla perfezione i tratti distintivi di Grid ad un testo dal forte impatto emozionale, in una suggestiva commistione di sensualità, dolcezza, energia e dinamismo....
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L’elegante principe del gothic rap italiano Trunchell, Etc., torna con “Camera n9”
Ritrovare la propria luce interiore attraverso l’impervio cammino nell’oscurità è, sin dall’esordio, la mission principale delle pubblicazioni del misterioso e ormai iconico principe del gothic rap italiano Trunchell, Etc., che, dopo aver stupito per la profonda incisività della sua scrittura in brani come “Emily Norton” e “Truman Show” ed aver dato prova di un eclettismo capace di rimanere fortemente identificativo in “Braille”, torna nei digital store con “Camera n9” (PaKo Music Records/Visory Records/Believe Digital), singolo da cui si evincono nuove sfumature della sua sfaccettata visione artistica.
Scritto dall’efficace e penetrante penna del cantautore lucano d’adozione lombarda durante il primo lockdown, il brano è un impetuoso lancio tra gli abissi dell’anima, alimentato dalla ricerca di un’unica ed imprescindibile verità, quella di scoprire e perseguire la propria natura, la propria autenticità, oltre ogni convenzione e apparenza.
La scelta del titolo, come sempre frutto della sensibilità e della ricerca introspettiva e iconografica del suo autore, connette e correla il numero 9, l’unico i cui multipli coincidono ad esso stesso, all’importanza di prendersi cura e tempo per se stessi, perché è solo imparando ad accettarci prima e ad amarci poi, che potremmo, concretamente, accettare ed amare chi ci circonda.
In un’incredibile e sorprendente analisi del proprio vissuto, Trunchell, Etc. scava nel passato - «vedo questi occhi intrisi di ricordi, in braccio ai miei nonni misi dei rimorsi» - con una finezza esplicativa degna di nota che attraversa e ripercorre esperienze e fotogrammi per giungere ad un presente in cui la sofferenza - «nei miei occhi sempre il mio dolore la mia penna è testimone» - può essere trasformata in rinascita mediante la presa di consapevolezza di fragilità e punti di debolezza, che cessano così di rassomigliare a demoni da combattere - «angeli del male come Vallanzasca annegano me in una fottuta vasca» - per diventare compagni di un viaggio - «Signora Paranoia, portami via di qua» - lungo tutto una vita, la cui destinazione è la conoscenza dell’altro - «Portami in un mondo dove le parole non sono volti, ma sono persone» - attraverso la conoscenza di sé - «Il buio cadrà sempre altrove, game over. Passa da me: camera 9».
«“Camera n9” – dichiara l’artista - è uno dei brani a cui tengo maggiormente, perché rappresenta una sorta di rinascita personale, una ritrovata cognizione del proprio Io. Il numero 9 è l’unico i cui multipli si riducono sempre e comunque ad esso (9x2=18 - 1+8=9; 9x3=27 - 2+7=9, ecc…) e l’ho scelto proprio per sottolineare quanto sia importante prendersi del tempo da dedicare a se stessi; quanto, l’amarsi, sia indispensabile per poi poter amare gli altri».
Prodotto dall’esperto tocco del fidatissimo Gaedi, in sinergia con Elle e Lorenzo Laruina, “Camera n9” accompagna l’ascoltatore nel complesso e a tratti controverso universo di Tunchell, Etc., che rispecchia il multiverso emozionale insito in ciascuno di noi, invitandolo ad accedere ai luoghi più sperduti dell’anima, per conoscerne e comprendere la vera essenza.
Un brano intenso, capace di smuovere, sin dall’attacco, le più profonde corde del cuore, con cui l’elegante e tenebroso principe della scena italiana non soltanto riconferma una sensazionale abilità autorale, ma identifica il punto di incontro tra Francesco, persona, e Trunchell, Etc., personaggio, per esorcizzare il malessere tramite la sua contemplazione, l’unica via per imparare a conviverci e, da lì, rinascere....
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Kevin Love riporta il rap alle sue origini nel nuovo singolo “Cosa Vuoi?!”
Ad un mese esatto dalla pubblicazione del fortunatissimo debut EP “Ice Kream Lov3”, il rapper e tatuatore luganese Kevin Love, torna a regalare al pubblico emozioni espresse in barre con “Cosa Vuoi?!”, singolo che segna l’avvio di un nuovo capitolo artistico.
Come reso noto in occasione del rilascio del disco, Kevin Love, dopo aver dimostrato versatilità, carisma ed una spiccata abilità nel saper coniugare linguaggi e sonorità attualissime ad esperienze e ricordi del passato, diventando così non soltanto il protagonista della scena contemporanea elvetica, ma anche e soprattutto un esempio di autenticità espressiva e determinazione per la nuova generazione, si prepara a mostrare un ulteriore volto della sua anima compositiva, con un pezzo che parla di rinascita attraverso la voce del cuore, riportando il concetto di rap alla sua dimensione originaria, senza rinunciare all’inconfondibile tocco di innovazione e carisma comunicativo che l’ha reso, sin dalla prima release, uno dei personaggi più rappresentativi del corrente mercato underground.
Posato su un beat capace di miscelare l’intramontabile fascino del rap-game d’oltreoceano alle più moderne produzioni europee – realizzato dall’irreprensibile finezza in resa sonora del fidatissimo Killoz -, “Cosa Vuoi?!” traduce in metrica il primo step di un lungo viaggio introspettivo, che lo stesso artista spiega alla stampa con queste parole:
«poco dopo l’inizio del mio percorso musicale, ho ricevuto una brutta notizia, che ha innescato un circolo di difficoltà, una sorta di loop di problemi e caos. In quell’occasione, ho compreso che avrei dovuto riorganizzare la mia vita, un po’ come quando ti nasce un figlio. E così ho fatto, anche con la musica. È stato un po’ come ricostruirsi da dentro, passo dopo passo».
Incastri impeccabili e graffianti punchlines si amalgamano a racconti di vita vissuta, facendo evincere la sensibilità celata dietro l’armatura, il pulsante battito del cuore cinto da un’obbligata corazza difensiva, allontanando i riflettori da lusso, fama e prestigio, per puntarli su tutto ciò che li precede.
«“Cosa Vuoi?!” – conclude Kevin Love - è lo specchio della mia rinascita, il riflesso del nuovo me nato dalle difficoltà attraversate, che vi accompagnerà in un lungo viaggio di positive vibes».
Il brano è accompagnato dal videoclip ufficiale, diretto dal pittoresco e irreprensibile sguardo di Samuel Mersi, che rimanda in maniera eccellente all’immaginario street raccontato dal testo, in una meravigliosa cornice old school dai tratti futuristici.
Energia, carica e grinta sono le principali caratteristiche di questo nuovo percorso tra barre, liriche, featuring e sentimenti, in cui il rapper svizzero si spoglia di stilemi e cliché per far fluire e dar voce alle emozioni e ai pensieri che l’hanno reso l’artista, e ancor prima la persona, di oggi, incoraggiando gli ascoltatori, soprattutto i giovanissimi, a non nascondere mai le proprie fragilità, ma ad affrontarle per renderle, giorno dopo giorno, i migliori punti di forza su cui far leva per risollevarsi....
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Pop, trap e psicoanalisi si fondono in “Iceberg”, il nuovo singolo di Sara J Jones & Johnny Joint
Definita dalla critica come una delle più promettenti leve dell’italian-pop al femminile, Sara J Jones, a poco più di due mesi dal successo di “Caramelle” – brano inserito nelle migliori playlist editoriali di Spotify ed insignito di svariati premi per originalità e freschezza -, torna nei digital store con “Iceberg” (Orangle Records/Universal Music Italia), il suo nuovo singolo che, per la prima volta, la vede duettare con il brillante rapper bergamasco Johnny Joint.
Raffinate e sensuali sfumature afrobeat tingono di innovazione un’esplosione sonora unica e audace, capace di fondere i tratti tipici della dance-pop anni ’90 ad un attualissimo beat underground che strizza l’occhio alle più recenti produzioni trap stelle e strisce, dando vita ad una dimensione musico-sensoriale sospesa tra passato e presente, con un immancabile e imprescindibile sguardo verso il futuro.
Ed è in questa commistione di generi, prospettive e melodie super catchy che l’eleganza interpretativa della cantautrice milanese e il flow impeccabile del rapper classe ’99 collimano in un pezzo a primo ascolto leggero e spensierato, ma che, come ben sintetizzato dal titolo, è solo il vertice, la sommità, di un ben più intimo e celato intreccio di emozioni e riflessioni da parte dei due artisti lombardi.
Scritto in collaborazione con il “punkautore” e compositore brianzolo DiMeglio (al secolo Duilio Di Meglio) e prodotto dall’immancabile tocco di Andrea Cattaldo del Phaser Studio, il brano è la rappresentazione in musica della punta dell’iceberg, di tutto ciò che mostriamo ad un mondo troppo impegnato a rincorrere i suoi stessi diktat per chiederci – e chiedersi – i fattori scatenanti del nostro agire, portandoci ad una condizione di sempre più precario equilibrio sulla quasi impercettibile ma indissolubile connessione tra ciò che siamo stati e ciò che siamo ora, tra quello che, attingendo al pensiero freudiano, rappresenta un esiguo ma evidente 5% di coscienza e cognizione ed un imponente ma imperscrutabile 95% di inconscio.
«Per spiegare la struttura della nostra mente – dichiara Sara J Jones - Sigmund Freud la paragonò ad un iceberg, in cui la parte che emerge dall'acqua corrisponde alla porzione conscia, mentre la parte ben più vasta ma sommersa dall’acqua, rappresenta l'inconscio. Con questo singolo, io e Johnny Joint abbiamo cercato di dar forma e voce al costante equilibrio tra conscio e inconscio, tra quello che si vede e quello che non si vede di una persona, invitando gli ascoltatori a scavare in se stessi per conoscersi a fondo senza timori».
Una ricerca che conduce a frantumare le proprie corazze emotive e tutti quegli auto sabotaggi provenienti dalle più inabissate regioni della nostra mente, perché è solamente “rompendo il ghiaccio” dal suo interno, partendo dalle fondamenta, che è possibile liberarsi da condizionamenti, giudizi e preconcetti, sciogliendo nell’abbraccio della consapevolezza le gelide e asettiche catene dell’insicurezza che per troppo tempo hanno cinto i desideri racchiusi nei nostri cuori.
“Iceberg”, accompagnato dal videoclip ufficiale diretto da Alessandra Miatello e in uscita nel corso delle prossime settimane, evidenzia la versatilità comunicativa, timbrica e stilistica di Sara J Jones, riconfermandone carisma, attitudine e sensibilità artistica....
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Il giovanissimo cantautore argentino d’adozione romana giamba, torna con “Iqos”, il suo nuovo singolo
La Musica è da sempre una delle principali forme d’Arte attraverso cui esprimere e dar voce ai propri sentimenti, uno dei più immediati mezzi per collegare emozioni e pensieri, comprendendoli meglio, e più a fondo, dopo averli trasposti tra il bianco e nero di un pianoforte o su fogli di carta sparsi tra le pagine del nostro quotidiano. Nel susseguirsi delle epoche, mutano e si trasformano generi e trend, di pari passo con il naturale cambiamento della società, ma l’Amore, rimane e continua ad essere, una delle tematiche centrali della produzione musicale. Ed è proprio l’amore, con le sue mille sfaccettature ma un unico ed immutato valore universale, il fulcro di “Iqos”, il nuovo singolo del giovanissimo cantautore argentino d’adozione romana giamba.
Scritto in sinergia con l’inconfondibile penna di Massimiliano Acri e prodotto dall’abilità creativa di Fra Melito, “Iqos” racconta l’amore ed il suo epilogo con gli occhi della Generazione Z, coniugando passato e presente in una riuscitissima analogia tra il celebre dispositivo elettronico a tabacco non bruciato del colosso statunitense Philip Morris e la destinataria di ogni vibrante battito di cuore del protagonista della narrazione.
Un rapporto di coppia terminato nei fatti, ma più vivido che mai nei ricordi di uno dei partner, capace di riaccendersi e divampare nell’anima alla sola vista di un semplice oggetto che, da inanimato e privo di accezione emotiva, diventa l’emblema di una relazione, la cui fine, coincide con l’inizio di un nuovo percorso. Un simbolo nel quale l’artista fa fluire un esemplare intreccio tra la nostalgia del passato - «Con quell'Iqos e il mio mondo in mano, un altro bacio, col cuore in gola, eravamo collegati nella stessa storia» - ed il complesso universo di sensazioni e vibes del presente - «Con i tuoi sguardi mi togli il fiato, sai soffocarmi più della tua iqos» -.
Caratteristiche distintive del brano, sono la spontaneità e la semplicità con cui i ricordi, potenti tramiti del nostro sentire, riaffiorano alla mente mediante piccoli frammenti del quotidiano: gesti, profumi, paesaggi e suoni che, inaspettatamente, assumono una rilevanza del tutto nuova, un valore inesplorato che li trasforma in preziose gemme da custodire nello scrigno del cuore.
«"Iqos" – dichiara giamba - è un pezzo dalle sonorità Indie-Pop in cui il protagonista ricorda una storia d'amore importantissima e ormai finita - nella quale però, i partner continuano a vedersi nella vita di tutti giorni -, collegandola all'Iqos che la ragazza in questione spesso fumava. Ho cercato di fondere passato e presente attraverso un oggetto, enfatizzando quanto, i ricordi, soprattutto quelli più significativi, possano riaffiorare in maniera del tutto inattesa attraverso un odore, un’immagine, una canzone. Credo che le cose e le persone per noi fondamentali trovino sempre il modo di riemergere; il nostro compito, è imparare a saperci convivere, senza farci sopraffare da esse e dalla loro memoria».
Da queste parole, si evince l’effettivo messaggio che l’artista vuole trasmettere: comunicare la sofferenza, gli strascichi di dolore scaturiti dai ricordi, è l’unico modo per acquisirne piena consapevolezza, e di conseguenza, imparando ad affrontarli, conviverci, metabolizzando nostalgia e malinconia per lasciare spazio all’amore, unica vera linfa dell’esistenza umana.
Attuale, versatile, dotato di una caratura vocale delicata e di un’attitude interpretativa fortemente emozionale, giamba è una delle più promettenti leve del nuovo panorama indie-pop italiano.
Biografia.
giamba, pseudonimo di Gian Bautista Cano, è un cantautore indie-pop argentino naturalizzato italiano classe 2006. Trasferitosi da Buenos Aires alla Città Eterna all’età di 1 anno, si avvicina alla musica e al canto durante l’infanzia e, a soli 12 anni, inizia a trasporre emozioni e pensieri sotto forma di frasi e piccoli testi che segnano l’avvio del suo percorso artistico. Nel 2022, a soli 16 anni, concretizza e avvalora la sua passione pubblicando le sue prime release sui digital store, che ben evidenziano la delicatezza e l’emozionalità della sua caratura vocale, come “Iqos”, un impeccabile ritratto sull’amore, scritto a quattro mani con Massimiliano Acri, capace di intrecciare egregiamente passato e presente fondendoli nella personalissima simbologia di un oggetto che, da inanimato e privo di accezione emotiva, diventa emblema di una relazione ormai giunta al capolinea. Sensibile, versatile e dotato di un’attitude comunicativa fortemente suggestiva, giamba è una delle migliori promesse della nuova scena indie-pop italiana....
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Il fenomeno di TikTok Gabriel Zanaga torna con "Tempesta"
“Ci sono alcune cose che impari meglio nella calma, e altre nella tempesta”, scrisse l’icastica ed incisiva penna della statunitense Willa Cather, ed è proprio dalla tormenta, dagli impetuosi uragani che si scatenano tra anima e cuore, che noi esseri umani, molto spesso, apprendiamo l’effettiva essenzialità della vita, rendendoci concretamente conto dell’importanza e del valore di chi ci sta accanto. Su questo concetto, il celebre cantautore e fenomeno social Gabriel Zanaga, ha dato vita a “Tempesta”, il suo nuovo singolo che segue l’incredibile scia di successo delle sue precedenti release.
Oltre 730.000 followers su TikTok e quasi mezzo milione di ascolti nei digital store, sono solo cifre, dietro le quali si cela un eterogeneo pubblico di appassionati, che nei testi e nell’abilità interpretativa del brillante artista piemontese classe ’96 si rispecchia, empatizzando e riversando esperienze personali in un fiume di liriche ed emozioni che unisco e accomunano, sotto il pulsante battito della musica.
Attivo sulla scena dal 2020 con il primo inedito “Restiamo da soli”, Gabriel è riuscito, in un solo biennio, a conquistare cuori e playlist di migliaia di italiani, con la sua chitarra sotto braccio e una vocalità in grado di avvolgere e catturare mente, orecchie ed anima ed un’identità artistica unica e inconfondibile, che gli ha permesso, lo scorso anno, di diventare ed essere riconosciuto dalla critica un vero e proprio idolo per i suoi coetanei, ma soprattutto, un esempio di determinazione e dedizione in una contemporaneità che non sempre evidenzia il sacrificio dietro la riuscita.
Dopo aver messo in luce la caratura della sua timbrica e la raffinata e ambivalente suggestività delle sue composizioni, Gabriel torna con un pezzo capace di raccontare la policromia delle emozioni, avvalendosi del traslato della tempesta, su cui si articola un’esemplare sequela di titubanze e malesseri che sfocia in un epilogo già scritto, quello della fine di una relazione, con la persona amata, ma prima di tutto, con se stessi.
Un nitido ritratto in cui fluiscono flashback e fotogrammi del passato che miscelano egregiamente la dimensione visiva a quella uditiva grazie all’impeccabile abilità comunicativa del cantautore che, come una guida, una voce amica, accompagna l’ascoltatore lungo tutto il percorso del brano, conducendolo nell’occhio del proprio personale ciclone emotivo, quel punto, quella regione di quasi calma, situata al centro della mappa interiore di ciascuno di noi, da cui prendono vita e si scatenano tutti i nostri turbamenti, ma anche l’unica dalla quale è possibile riflettere sulle conseguenze delle scelte compiute, osservando, senza filtri, ciò che avviene ad un solo passo più in là, oltre il confine che delimita azioni e sentimenti.
E come nei tornado tropicali, venti ed intemperie nascono dal centro per essere deviati verso l’esterno, ruotando intorno ad esso, allo stesso modo, ogni nostro disagio, scaturisce dalla parte più profonda dell’anima, tracimando e dilagando poi al di fuori di noi, delle nostre considerazioni e delle nostre insicurezze, coinvolgendo così la sfera delle relazioni, i legami e le vite di tutti coloro che ci stanno accanto.
Una burrasca emotiva che travolge tutto in pochi istanti, lasciandoci soli, inermi e attoniti con i nostri pensieri, i ricordi e le immagini di coloro che ci hanno amati, ma siamo riusciti soltanto a ferire e deludere a causa dei nostri tumulti interiori - «Ho un’immagine in testa, tu che piangi sola in mezzo ad una tempesta, lì ferma che mi aspetti ancora» -, che l’artista spiega con queste parole:
«”Tempesta” è tutto ciò che si scatena dentro di noi in alcuni momenti della vita. Occorre valutare attentamente le scelte che facciamo, perché, durante il percorso, in un qualsiasi momento, possiamo ritrovarci in mezzo ad un vero e proprio uragano, prendendo decisioni sbagliate e rendendocene conto soltanto a posteriori».
Scritto di getto in una serata piovosa tra il bianco e nero dei tasti del pianoforte e le ombre lasciate sul cuore da una relazione giunta al capolinea, con lo scroscio del temporale a fare da sottofondo, “Tempesta” è un brano a primo acchito malinconico, ma ad un più attento ascolto, in grado di trasmettere l’importanza di consapevolizzarsi riguardo le proprie scelte e le conseguenti azioni, dando così valore a chi ci sta accanto quotidianamente e non soltanto quando, a causa della nostra incostanza e noncuranza, ci ritroviamo soli, isolati dal nostro stesso agire.
Ma da ogni tempesta è possibile uscire più forti e consci del proprio vissuto, dei propri affetti e di tutti quei miglioramenti che possiamo apportare alla nostra vita, imparando a mostrarci autentici e sinceri, privi di maschere o corazze, iniziando ad essere limpidi e cristallini con il riflesso del cuore e, solo allora, sarà davvero «come uscire da questo fottuto inferno, sarà tu che mi tieni le mani dicendo “tienimi stretta ancora».
“Tempesta” è accompagnato dal videoclip ufficiale, diretto da Gabriele Francheo tra i meravigliosi scorci di Palafitte di Azeglio (TO), presentato in anteprima nazionale su Sky TG24 e disponibile su YouTube nel corso delle prossime settimane.
Biografia.
Gabriel Zanaga è un artista e tiktoker eporediese classe 1996. Appassionato di musica fin da giovanissimo, a soli 6 anni dà il via alla sua formazione teorico-pratica, studiando pianoforte e, successivamente, chitarra e canto. Nel 2016, grazie ad intense sessioni di busking, si fa apprezzare dal pubblico di tutto il Nord Italia, che inizia a seguirlo sui Social, in cui posta cover ed esibizioni di strada, collezionando così anche i suoi primi successi su YouTube. Nello stesso anno, Red Ronnie lo premia consentendogli di aprire il concerto dei The Kolors all’Arena 45 e, nel 2020, pubblica in tutti i digital store il suo primo singolo ufficiale, “Restiamo da soli”. Nel 2021, è ospite ai FIAT Music Tour, finalista al Deejay On Stage e sulle piattaforme digitali i singoli “Scusa” e “In quella stanza” continuano a ricevere importanti attestati di stima, raggiungendo incredibili risultati in termini di stream e visualizzazioni. Il 2022, è la volta di “Tempesta”, un uragano di liriche ed emozioni che conduce l’ascoltatore a ritrovare il sole oltre le intemperie del cuore. Da quel momento, la sua carriera è in continua ascesa, tanto che, in un solo biennio dalla sua prima pubblicazione, supera i 700.000 followers su TikTok ed il mezzo milione di ascolti sulle piattaforme digitali. Dotato di una sensibilità autorale e di un’emozionalità interpretativa di raro riscontro e di un’impronta stilistica versatile ma ben definita, Gabriel Zanaga è ritenuto dalla critica come un vero e proprio idolo per la sua generazione, nonché un esempio di determinazione e dedizione in una contemporaneità che non sempre evidenzia il sacrificio dietro alla riuscita.
A distanza di un anno dal fortunatissimo esordio nei digital store con “Remake”, seguito dall’iconica “Alzheimer” e dalla leggera ma profonda “Un motivo c’è”, il cantautore, polistrumentista e regista partenopeo STRE, al secolo Stefano Crispino, torna ad intrecciare generi ed emozioni in “A Pezzi”, il suo nuovo singolo.
Scritto dalla fulgida e vibrante penna del poliedrico musicista napoletano, il brano miscela egregiamente un’attualissima e sfavillante dimensione pop dalla melodia super catchy, all’eccentrico e più cupo universo punk tanto caro all’artista, posandosi su un arrangiamento che strizza l’occhio alle rock ballad, avvalorato da chitarre distorte, riff californiani e violini, per dar vita ad un’avvincente antitesi sonora da cui scaturisce un’esplosione di ritmo e sentimento in grado di fondere e attraversare tutte le sfumature del complesso e policromo spettro sensoriale di ciascuno di noi.
Come in ogni release proposta da STRE, infatti, la tematica centrale è di fortissimo impatto socio-emotivo: “A pezzi”, si articola sul concetto di perdita, in una sensazionale analogia con la mancanza, l’assenza improvvisa di una parte di sé, del proprio corpo, come lo stesso artista spiega:
«Quando si perde una persona importante, si percepisce un vuoto interiore, uno smarrimento paragonabile all’aver perso una parte, dunque, un pezzo, del proprio corpo».
Amarezza, disillusione e sottile ironia si amalgamano in un testo in cui si susseguono liriche e passaggi dal duplice significato, con traslati e giochi di parole che, sin dal titolo, accostano la loro accezione morale a quella letterale.
«Strapparmi il cuore oppure un braccio, che tanto ormai, sono già a pezzi», è una delle frasi più rappresentative dell’intera composizione, da cui si evince con chiarezza il parallelismo tra l’evidente e tangibile perdita di una parte del proprio corpo ad una più celata e recondita, ma non per questo meno effettiva e sofferta, dipartita di un pezzo del proprio cuore.
Altro passaggio chiave del brano è però «questi pugni non fanno più male se tanto ormai sono già a pezzi», con cui STRE mette in luce l’importanza di trarre insegnamento dal proprio dolore, come lui stesso racconta:
«A tutti è capitato di confermare che “ciò che non uccide, fortifica”. E allora ecco che la sofferenza può essere concepita sotto una luce positiva, un po’ come secondo la celebre locuzione latina "frangar, non flectar", ovvero "mi spezzerò, ma non mi piegherò"».
Una rinascita dalle proprie ceneri, che sfocia e collima in una ritrovata consapevolezza di se stessi e della capacità, insita in ciascuno di noi, di poter scegliere in che modo reagire alle circostanze poste sul tavolo della vita.
Il brano è accompagnato da un suggestivo videoclip ufficiale che, traendo proprio dal concetto di rinascita, immortala l’artista mentre continua a cantare, nonostante un boia lo stia decapitando, e come per le precedenti pubblicazioni, lo vede vestire simultaneamente anche il ruolo di regista, riconfermandone versatilità e visione d’insieme.
“A Pezzi” fa da apripista al primo attesissimo album di STRE, in uscita su tutte le piattaforme digitali nel corso dei prossimi mesi.
Amor proprio e female empowerment in “I Don’t Care”, il nuovo atteso singolo di Kefàli
Vocalità calda, avvolgente e penetrante, grinta da vendere e carisma da fuoriclasse sono i tratti distintivi di Kefàli e del suo percorso artistico che, dopo il fortunatissimo esordio dello scorso anno con l’intensissima “Ex”, torna in radio e nei digital store con “I Don’t Care” (Cosmophonix Artist Development/Altafonte Italia), il suo secondo singolo con cui regala al pubblico una nuova e ritrovata fiducia in se stessa.
Se in “Ex”, la giovane e poliedrica artista bergamasca d’adozione newyorkese analizzava la sua vita dopo la fine di una relazione per molto tempo idealizzata, e per questo, travagliata e sofferta, con la sua nuova release, Kefàli traspone in musica il suo percorso di crescita e consapevolezza personale, che, giorno dopo giorno, l’ha condotta a riscoprirsi, ricercando in ogni angolo del suo cuore la versione migliore di sé.
Prodotta dall’inimitabile ed ineccepibile tocco del team mantovano multiplatino, “I Don’t Care” è una dichiarazione di risolutezza e amor proprio, un impetuoso vortice di postive vibes all’interno del quale si respirano i traguardi raggiunti nell’impervio cammino verso il proprio equilibrio, per rinvigorirsi di nuova linfa. Un potentissimo ciclone di ritmo e sensualità, capace di travolgere e fortificare l’ascoltatore con vigorose ondate di autostima, mettendo un punto a tutto ciò che non avvalora la nostra essenza, ma ci trascina in ricordi spiacevoli, tra le arterie del nostro vissuto, togliendo tempo e spazio alla meravigliosa e quotidiana rivelazione di ciò che siamo davvero, come la stessa Kefàli racconta:
«”I Don’t Care” è nata dalla voglia di dire basta a quei tira e molla tossici che spesso diventano un circolo vizioso di insoddisfazioni. Arriva un momento in cui, finalmente, ci apprezziamo e lasciamo andare quello che non ci fa stare bene. Voglio far sentire sexy e forte chi ascolta questa canzone, farlo ballare e ricordargli che non importa quello che dicono o fanno gli altri, perché è decisamente meglio stare da soli che con chi non ci merita».
«È solo che non mi ricordi mai quello che valgo anche da sola», è uno dei passaggi più rappresentativi dell’intero brano, con cui la brillante cantautrice, scrittrice, attrice, produttrice teatrale e fondatrice dell’associazione a sfondo socio-educativo “La Musica del Cuore” (qui tutte le info a riguardo), mette in luce uno spaccato tristemente comune nella società contemporanea - e nella natura metodica e consuetudinaria dell’essere umano -, abituata a dare per scontati affetti, attenzioni e presenza costante, dimenticandosi, troppo spesso, che l’amore è un seme da coltivare, sia nei confronti degli altri, che verso se stessi.
Ma anche dopo aver attraversato lunghi ed asettici inverni, è possibile arrivare a bastarsi nella propria interezza - «mi basto io non l’hai ancora capito» -, imparando a non dar peso a giustificazioni e ricatti emotivi - «tu provaci un’altra volta, sarà fiato sprecato, cause I don’t care» -, ma soprattutto, che l’amore non è qualcosa che ci completa, ma una leggera e incessante brezza capace di esaltare un’integrità identitaria da ricercare solo ed esclusivamente dentro di noi, in quell’universo soggettivo composto da solide rocce e piccoli e grandi granelli di insicurezze; frammenti di dolore, titubanze e fragilità, che chi ci ama dal profondo, chi riesce a percepire ed apprezzare la nostra anima e non soltanto il nostro corpo, non cercherà mai di eliminare o sopprimere - «mi vuoi cambiare baby, non ci sto» -, bensì, di custodire come simbolo della nostra unicità, come caratteristica, peculiarità che, insieme a tutte le altre, fanno di noi il destinatario del suo sentimento.
Un vero e proprio inno al rispetto di se stessi e all’empowerment personale, in particolar modo, a quello femminile, a cui, molto spesso, non viene dato abbastanza credito e valore:
«Si parla sempre di come stiamo noi donne durante una relazione deleteria e nociva – conclude l’artista -, quasi mai di come ci rialziamo, di come ci sentiamo dopo, di quanto sia importante e propedeutico a guarire le ferite interiori capendo di meritare di più. Meghan Trainor è stata la mia fonte di ispirazione principale; la grinta che mi trasmette la sua musica è la stessa che spero di infondere io a chi mi ascolta».
“I Don’t Care” è questo, un urlo liberatorio in grado di esprimere, in un eccellente mix di fascino, eleganza e ardore, la volontà di non accontentarsi, cessando di rincorrere un fittizio appagamento dai tratti ambigui e ambivalenti, per perseguire un benessere reale e totalizzante, con la consapevolezza che, essere accettati e amati per ciò che si è, non è una questione meritocratica, ma il punto di partenza da cui costruire un futuro a due cuori e quattro mani.
PlatoNico affronta dissociazione e rinascita in “Sharks Land”, il suo nuovo singolo
A chi non è mai capitato di sentirsi fuori luogo, escluso da un mondo a cui, molto spesso, siamo i primi a sfuggire, per timore di non essere all’altezza delle sue aspettative, per paura di deludere tutti, partendo da noi stessi? È da questa riflessione che ha preso il via “Sharks Land” (PaKo Music Records/Visory Records/Believe Digital), il nuovo viaggio in musica del brillante cantautore romagnolo PlatoNico.
Dopo aver dimostrato l’intensa emozionalità della sua penna in “28 Aprile”, la grinta da fuoriclasse e la potente caratura della sua voce in “Vita Stretta” e l’incantevole connubio di suggestione e trasversalità in “Le Tue Fragilità”, il poliedrico artista ravennate classe ’98, torna in radio e nei digital store con un patchwork di suoni, liriche e stili che mette in luce un’ulteriore peculiarità del suo percorso tra le note, quella di rimanere fortemente riconoscibile e identificativo, indipendentemente dalla tematica affrontata e dal tappeto sonoro su cui si posa ogni sua release.
Ulteriore dimostrazione del suo eclettismo, è senza dubbio la scelta, per questo nuovo pezzo, della lingua inglese, che meglio si adatta alla dimensione elettro-pop, magistralmente intrisa di tinte ambient, in cui si innesta un testo dall’immediato e fortissimo impatto, capace di scandagliare pensieri, sentimenti e stati di dissociazione psico-emotiva in meno di 3.30 minuti di profonda immersione in se stessi.
E se in “Le Tue Fragilità”, l’amore rappresentava la chiave per aprire il lucchetto della leggerezza e le porte del cuore, in “Sharks Land”, letteralmente “Terra degli Squali”, la mente simboleggia al contempo rifugio e trappola per quei demoni e quei peccati che ci allontanano dalla nostra identità, facendoci sentire ingabbiati in un corpo e in un’anima che fatichiamo a riconoscere - «Feeling like a stranger to myself» («Mi sento come estraneo a me stesso») -.
«”Sharks Land” – dichiara PlatoNico – racconta la storia di una persona che si sente esclusa dal mondo e senza un obiettivo. É il crollo emotivo che si avverte quando ci si pone troppe domande sulla propria esistenza ed è la sintesi di un periodo molto cupo che io stesso ho attraversato, un periodo in cui mi ero perso dentro la mia mente».
Vuoti e ferite dell’anima, nati e prodotti dal conflitto interiore tra «a white mind and a black soul» («una mente bianca e un’anima nera»), che ci portano a credere di non voler più provare emozioni - «trying to fight against the world» («sono così stanco di tutti questi sentimenti») – di desiderare una totale asetticità del cuore. Ma nel tumultuoso tragitto del nostro essere, attraversando cieli e stagioni diverse, quella sensazione di smarrimento, di desolazione e di allontanamento dalla nostra vera essenza - «I can’t find my way back home» («Non riesco a trovare la strada per tornare a casa») – può essere colta come un alert, un segnale per cambiare le cose, partendo dalla concezione che abbiamo di ciò che siamo, per ritagliarci, con le nostre stesse mani, un posto nel mondo, smettendo di combatterlo ed iniziando a viverlo.
Dal suono deflagrante del temporale in apertura, alla chiusa lenta ma decisa, passando per strofe e bridge psichedelici e ritornello galvanizzante, “Sharks Land” è una catarsi elettro-pop-rock che consente all’ascoltatore di spogliarsi da ansie e paure, da tutti quegli auto sabotaggi che, spesso, la psiche ci induce ad attuare come meccanismo di difesa al cambiamento, una trasformazione che risulta però necessaria per liberarci da quello stesso “Io” che ci intrappola dall’interno, da quelle ombre che, se non scegliamo di dissolvere e dissipare, continueranno ad impedirci di far risplendere il sole che vive dentro ciascuno di noi, al punto che «The fullmoon will turn to eclipse» («La luna piena si trasformerà in eclissi»).
Il brano è accompagnato dal videoclip ufficiale, dal forte valore figurativo, diretto da CREG Production e girato a Milano, che traspone sul piano visivo il profondo significato del testo.
Con “Sharks Land” PlatoNico torna a dar voce al ragazzino timido ed introverso che, con il desiderio di emergere dalle ceneri del proprio passato, canta al mondo la sua storia per sfogare emozioni represse e trasformarle in un nuovo inizio del meraviglioso viaggio che ognuno di noi compie nel proprio microcosmo interiore.
Biografia.
PlatoNico, al secolo Nicolas Neri, è un cantautore italiano nato in provincia di Ravenna il 03/03/1998. Cresciuto da solo con la madre, ha attraversato un'infanzia e un’adolescenza particolarmente difficili, trovando nella musica e nella scrittura, tra microfono, batteria e penna, una valvola di sfogo da cui sfogare il suo malessere interiore. Solitario, timido, introverso e dotato di una spiccatissima sensibilità, trova nel rifugio della musica il desiderio di emergere dalle proprie ceneri, di urlare al mondo le sue intenzioni e di trasformare il dolore in un nuovo inizio. Nel 2021 pubblica “28 Aprile”, la sua prima release ufficiale, che gli consente di dimostrare l’intensa emozionalità della sua scrittura, a cui seguono, nel 2022, l’energica “Vita Stretta” e la suggestiva “Le Tue Fragilità”. Pochi mesi più in là, PlatoNico firma il suo primo contratto discografico con la label meneghina PaKo Music Records, con la quale pubblica, nel mese di Ottobre, “Sharks Land”, una catarsi elettro-pop-rock, scritta e interpretata in lingua inglese, magistralmente intrisa di vividissime tinte ambient, che affronta con l’assoluta e potentissima delicatezza dell’esperienza vissuta, la tematica dell’isolamento, della solitudine e della dissociazione psico-emotiva, raccontando la disgregazione interiore come mezzo per ricongiungersi a se stessi e consentendo all’ascoltatore di spogliarsi da ansie, paure ed auto sabotaggi, per riscoprirsi e ritrovarsi con le proprie meravigliose peculiarità personali. Versatile, emozionante e fortemente riconoscibile, PlatoNico si trasforma rimanendo sempre fedele a se stesso, in un percorso tra le note fatto di sperimentazione, fusioni di generi e stili, anima e cuore....
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Rock, amore e poesia in “Ogni volta è così”, il nuovo atteso singolo di Michele De Martiis
«Da innamorati tutto è sovrannaturale. Ed ogni volta è come la prima volta. Più della prima volta. Ogni volta è come un ballo in 6/8, come fosse per sempre»: è con queste parole che il cantautore marchigiano Michele De Martiis, reduce dal successo di “L’al di là delle favole”, descrive il suo ritorno in radio e nei digital store con “Ogni volta è così” (PaKo Music Records), una delicata carezza sull’anima intrisa di sfumature pop-rock.
Innamorarsi infinite volte, di persone diverse o della stessa da sempre, quando la si sfiora, la si incontra, tra le vie della città e quelle dell’anima. Un’incessante e meravigliosa sensazione di leggerezza, di gioia, di festa, ma al contempo di profonda necessità, necessità di essere se stessi come mai lo si è stati, come ci si ritrova con stupore a scoprirsi nello spogliarsi di difese e controllo dinanzi all’Amore, oltre il senso di vuoto e di solitudine, oltre quella voce di un passato che «ti ricorda chi sei, solo un’anima sola», per abbracciare presente e futuro a mano tesa, «con la vita davanti e il bisogno di essere nella tua parola», tra i sospiri e i pensieri di colei/lui a cui destiniamo il palpitare stesso del nostro cuore.
Incipit melodico, pregno di grazia e romanticismo e ritornello saturo di trepidazione ed energia, sono gli ingredienti principali di un brano che immortala l’Amore in tutte le sue forme e declinazioni, aromatizzati dall’eternità di un istante che esiste solo perché esiste l’altro, un imperituro attimo che ha sede nell’essenza stessa del suo respiro, senza il quale esserci non ha valore perché, semplicemente, esserci non è - «ogni piccolo istante che non mi è stato dato perché istante non era» -. Ed è in quello stesso respiro, che si arresta in un incrocio di sguardi capace di interrompere lo scorrere del tempo, che fermarsi equivale a ripartire, perché, è nella sua momentanea assenza che ci colmiamo di vita.
“Ogni volta è così” è questo, una dedica alla magia dell’esistenza che prende forma e si concretizza tra le forme e le linee di chi ancora sa «credere al cielo, alle notti stellate, alle guance bagnate, ad un bacio rubato», in un battito di cuore che unisce, intreccia e connette coloro che amano, che ancora sanno farlo e che, senza nemmeno rendersene conto, si ritrovano immersi in quel qualcosa di più grande, di incredibilmente intangibile eppur così concreto da perdersi, ritrovarsi e poi «perdersi ancora» per scoprirsi più veri, un encomio a tutto ciò che permea e dà senso al mondo, e che il talentuoso artista anconitano esprime egregiamente attraverso la poesia delle sue liriche, ricordandoci quanto sentirsi cosparsi, perfusi d’amore, sia «come nascere ancora».
Un brano che, proprio come l’Amore, si fa spazio tra le corde dell’anima con un’inaspettata ma intensissima dolce potenza, riconfermando l’emozionalità della penna di Michele De Martiis e la sua capacità di trasformare in musica le istantanee del cuore....
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Il trio pop-elettro-rock più innovativo della musica italiana 3nema, torna con “Psychedelic”
Viaggi e musica sono da sempre interconnessi, legati da un impercettibile ma indissolubile filo le cui fibre nascono e prendono forma dall’animo umano senza distinzioni di epoca, paese, genere e cultura. Viaggi effettivi o chimerici, con o senza meta, desiderati, sognati ed in cui spesso capita di imbattersi per via di un “caso” che, probabilmente, nemmeno esiste. Escursioni dentro e al di fuori di noi, di cui non sempre siamo in grado di ricordare la partenza, un avvio che si fa più nitido solo durante il tragitto. Ed è proprio al concetto di viaggio che la band elettro-pop-rock desenzanese 3nema ha deciso di dedicare “Psychedelic” (PaKo Music Records/Visory Records/Believe Digital), la perfetta cornice musicale, priva di margini e limiti, per evadere ritrovando se stessi.
L’irrefrenabile desiderio di salire in macchina, premere l'acceleratore e guidare ininterrottamente per giungere il più lontano possibile, dalla propria routine e da ciò che ci portiamo dentro, a volte è tutto ciò di cui necessitiamo per scorgere quello che da vicino fatichiamo a percepire, la combinazione per aprire il caveau del nostro universo interiore e scomporlo, analizzandone ogni scorcio, roccaforte, rovina e tempio, per poi ricongiungerne ciascun tassello con la consapevolezza di ciò che siamo davvero.
«Sguardo perso e vado via da qui, non penso niente e i bagagli sono nella mia machine»; frasi che, con la disarmante semplicità e l’abilità comunicativa tipiche dei grandi artisti, racchiudono tra le pause e i sospiri di cui si compongono, i poli opposti del loro stesso significato immediato, incastonandosi nel sentire di chi sceglie di partire con lo sguardo perso in un vuoto che profuma di tutto, al punto da confondere i sensi, e nei pensieri incessanti, impossibili da silenziare, per interrompere, anche solo per un istante, la loro inscindibile connessione con il cuore e tutte le emozioni che vi abitano all’interno.
In quelle «due facce della medaglia», il trio gardesano identifica il profondo significato del viaggio, raccontando come a volte, un soffio di «vento in faccia» possa essere in grado di farci «sentire più free», diventando la chiave di volta per superare la «riga bianca» che ci separa da noi stessi, dal raggiungimento non tanto di un’utopica felicità costante, ma della libertà di essere davvero chi siamo - «ritorneremo più liberi» -, con le nostre debolezze e i nostri punti di forza.
Con questa nuova release, in cui i concetti posti spesso agli antipodi di riflessione e leggerezza si fondono su un impeccabile quadro impressionistico dalle psichedeliche linee elettro-pop-rock, i 3nema riconfermano la mission iniziata nel 2020 con il loro primo omonimo progetto full length, quella che loro stessi definiscono la “3nema way”: una continua ricerca musicale per stupire sempre di più gli ascoltatori, con energici e decisi passaggi di dimensioni sonore, il tutto impreziosito da sfumature funky e dal desiderio di raccontarsi per arrivare dritti al cuore del pubblico.
Biografia.
I 3nema sono un trio dalle radici gardesane nato nel 2020, una band capace di fare della propria musica un incantevole quadro impressionistico di pop, rock ed elettronica, con pennellate ben assestate e decise di psichedelica per stupire e spiazzare l’ascoltatore, dando vita ad un’innovazione sonora continua e ricercata. Dopo il fortunato esordio con “Non voglio tornare”, pubblicano “Verità”, title track del loro primo progetto full length, composto da 10 brani. Un debut album che traccia il solco musicale nel quale la band vuole continuare a percorrere la propria strada, con una mission ben impressa nel cuore, nella mente e nella penna da cui scaturiscono testi coinvolgenti e pentagrammi di minuziose composizioni sonore: la “3nema Way”, così la definiscono, una continua ricerca musicale per sorprendere e coinvolgere sempre di più chi li ascolta, avvolta da abiti melodici cuciti di generi differenti e vibranti contaminazioni tratte dal funky. Il 2022, segna il loro ingresso nella prestigiosa label meneghina PaKo Music Records, con la quale rilasciano il singolo “Psychedelic”, un viaggio tra generi e suoni che porta l’ascoltatore al di fuori di sé, per scoprirsi, conoscersi e ritrovarsi. Originali, emozionanti e dotati di un’abilità comunicativa di raro riscontro, i 3nema traggono dalle proprie esperienze personali quotidiane per dar voce a stati d’animo e sentimenti, lasciando un’impronta indelebile del loro passaggio nel cuore di chi li ascolta.
Kevin Love: "Ice Kream Lov3" è il suo attesissimo debut EP
Protagonista indiscusso ed emblematico punto di riferimento della trap svizzera, nonché tra i più promettenti e acclamati astri della scena italiana, Kevin Love torna a raccontare le sfumature del cuore in “Ice Kream Lov3”, il suo debut EP.
Atteso da inizio anno e annunciato ufficialmente nel mese di Luglio, con la pubblicazione del fortunatissimo singolo apripista “Non Mi Manchi” – release che ha collezionato oltre 50 mila streams nel giro di pochissime ore, seguendo la scia di successo di “1000 Sbatti” (feat. Papi Trujillo) e “Collane d’Oro” -, “Ice Kream Lov3” è la trasmutazione in musica della visione artistica del suo autore, una perfetta commistione di liriche e sentimenti, in cui, ad ogni barra, corrisponde un battito di cuore, supportata dall’’impeccabile sinergia tra linee melodiche attualissime e testi dall’accezione intramontabile, che punta i riflettori su come la contemporaneità dei suoni possa concretamente avvolgere e suffragare il racconto dell’eterno e imperituro valore che noi esseri umani diamo all’amore.
Quattro tracce, unite dallo stesso filo conduttore ma dotate di una propria e ben distinta linfa narrativa, capaci di dar voce ad un’unica storia da prospettive differenti; contesti e circostanze che si intrecciano nella quotidianità di ognuno di noi, tra i respiri e i sospiri dell’anima, amalgamando nel cocktail della vita incontri, persone e situazioni a volte piacevoli, altre, da dimenticare.
Ed è proprio al contrasto emotivo, alla miscela dolceamara connotata ai sussulti dell’anima, che Kevin Love dedica questo suo primo concentrato di ricordi, disillusioni, sogni e speranze per il futuro, diventando – e mostrando ai giovanissimi che è possibile farlo – un esperto bartender, o in riferimento al concept, gelatiere, del proprio percorso, consapevole di non poter mutare il gusto intenso e deciso delle esperienze posate sul tavolo dell’esistenza, ma anche di poter essere un abile artigiano nel saperlo enfatizzare o circoscrivere per assaporare al meglio il drink o il semifreddo realizzato con le mani del proprio personalissimo vissuto, con quel tocco di originalità in grado di combinare la spettacolarizzazione tipica della trap all’urgenza espressiva di un artista che si spoglia di stereotipi e cliché per trasmettere al mondo l’importanza di essere e rimanere fedeli a se stessi.
Un viaggio alternativo nel mondo delle relazioni, quella imprescindibile con chi e ciò che siamo e quelle di coppia, solide o effimere ma sempre intense, che immortala il presente per renderlo eterno e più concreto che mai tra le pagine degli scatti futuri, attraverso cui Kevin dona al mercato un’ulteriore dimostrazione del suo talento e della sua attitude versatile, comprovando che, anche nel 2022, è possibile identificarsi in un genere musicale senza abbracciarne ogni consuetudine e status symbol.
“Ice Kream Lov3” segna fine ed inizio di un’avventura che proseguirà nei prossimi mesi e vedrà il trapper e tatuatore luganese coinvolto in un nuovo progetto, quasi agli antipodi, con cui metterà in luce il suo eclettismo, trattando aneddoti ed episodi personali in un una chiave del tutto diversa.
A seguire, tracklist e Track by Track dell’EP:
“Ice Kream Lov3” – Tracklist:
Non Mi Manchi
Tinder
Panamera
Manila
“Ice Kream Lov3” – Il disco raccontato dall’artista:
Ho scelto di aprire l’EP con “Non Mi Manchi” non soltanto perché lo ha anticipato come singolo in estate, ma anche perché ritengo sia l’overture migliore, rappresentando una sorta di collage musicale di emozioni, riflessioni e considerazioni personali, un forte e netto contrasto tra il vuoto scaturito dalla mancanza della persona amata e il desiderio di rinascere, basandosi soltanto sulla presenza di e a se stessi. Un contrasto che riecheggia in tutto il progetto e che è presente un po’ in tutte le emozioni umane.
“Tinder” è il racconto di una storia d’amore vista e vissuta dall’altra parte, dalla prospettiva della donna. In questo caso, è lei che vuole stare con me, ma trattandosi di una relazione molto superficiale, io non penso abbia senso portarla avanti e decido così di chiuderla, dando spazio a progetti personali che credo vadano messi in secondo piano solo quando una relazione di coppia ha le carte in regola per diventare stabile e duratura, anche se, capirlo, non è certo semplice.
A proposito di questo, in “Panamera” e “Manila” affronto la tematica di quelle relazioni che sembrano presentare tutti i crismi, tutti i criteri per diventare solide nel tempo, ma che alla fine si rivelano essere solo un fuoco di paglia, attrazioni momentanee che non hanno un proseguo, nelle quali si vive la magia delle prime volte, delle cose fatte insieme bruciando le tappe....
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Ruggero Ricci, tra i più brillanti autori dell’indie-pop italiano, torna con “2000”
Tra i decenni più produttivi della musica Pop a livello internazionale, vi è sicuramente il primo dei 2000, che tra innovazione, sperimentazione, contaminazione di generi e stili e one-hit wonders, si è reso straordinariamente iconico, nonché precursore delle attuali forme espressive, attraversando Paesi, culture e generazioni. Ed è proprio alla prima decade del nuovo millennio che Ruggero Ricci, dopo aver intriso di grinta, emozione e incanto le più suggestive piazze d’Italia nel fortunatissimo “Coccodrilli Summer Tour”, dedica “2000” (Orangle Records/Ingrooves/Universal Music Italia), il suo nuovo singolo disponibile in radio ed in tutti i digital store.
La carica sensoriale dell’indie contemporaneo si intreccia deliziosamente alla psichedelia dell’elettronica e alla travolgente ballabilità della dance-funky dal forte richiamo anni ’80, tessendo di ricordi, sentimenti, sogni e speranze il tappeto sonoro di un impeccabile testo d’autore che invita alla riflessione.
Nato dall’esigenza dalle striature malinconiche dell’artista romagnolo di ricordare il periodo più spensierato e, per certi versi, più complesso della sua vita, quello della crescita, dell’evoluzione personale e del passaggio all’età adulta, “2000”, prodotto dall’immancabile e ineccepibile tocco di Max Giorgetti e presentato in anteprima nazionale lo scorso 27 Agosto sul palco di piazzale Roma di Riccione, in occasione della finalissima del prestigioso contest Una Voce per l’Europa in cui Ricci era ospite d’eccezione, vuol essere un inno destinato ai millenials, ma più in generale, a tutti coloro che non accettano più di nascondersi dietro ad etichette e categorizzazioni, ma che, con coraggio e dignità, fanno sentire la propria voce, il proprio grido di libertà, mostrando al mondo la forza indistruttibile di chi non smette di credere nei sogni, in un’epoca storico-sociale in cui le nuove generazioni vengono spesso messe all’angolo.
Sul concetto chiave di “nostalgia”, la penna iconografica, la tecnica irreprensibile e la vocalità travolgente di Ruggero Ricci, disegnano scenari vividissimi, descritti con minuzia in ogni minimo dettaglio, capaci di trasfigurarsi a livello percettivo, accompagnando l’ascoltatore in un tour emozionale di immagini, ricordi e stati d’animo, da cui è impossibile non farsi affascinare.
«Questo brano – dichiara l’artista – significa molto per me. Nasce dal meraviglioso mix di sensazioni che provo ripensando ai primi anni del 2000, ma soprattutto, dal desiderio di esprimere a gran voce che i giovani d’oggi devono essere ascoltati, perché hanno tutto il diritto di esprimere a gran voce la loro essenza, i loro desideri, le loro inclinazioni».
Sfumature cromatiche capaci di generare un quadro emozionale impressionistico che coinvolge e rapisce i sensi, si susseguono su un arrangiamento catchy che presenta repentini cambi di scena, sorprendono l’ascoltatore e conferendo al brano quella frizzantezza e quel dinamismo necessari per salutare la stagione estiva, così come un’epoca, traendone ogni insegnamento per affrontare al meglio i nuovi capitoli del libro della nostra vita.
“2000” è accompagnato dal videoclip ufficiale, girato dall’abilità creativa di Riccardo Sanmartini e presentato in anteprima nazionale da TGCOM24, che sarà disponibile su YouTube nel corso dei prossimi giorni.
Magnetico, coinvolgente, versatile e dotato di un’impronta stilistica immediatamente riconoscibile, Ruggero Ricci riconferma il suo talento e la sua abilità autorale con un brano in grado di smuovere gambe, cuori e menti in meno di tre minuti, un riuscitissimo patchwork di nostalgia, sensualità, grinta, sentimenti e speranze verso un domani migliore.
CARAVELLE dipinge di indie-pop i cieli di fine estate: “Luci di Città” è il suo nuovo singolo
Dopo aver conquistato pubblico e critica con l’arguzia della sua penna e l’incisività della sua timbrica, CARAVELLE torna nei digital store con “Luci di Città” (The Bluestone Records/Talentoliquido/Believe Digital), il suo nuovo intreccio di anima e indie-pop che segue il successo di “Quello che c’è” ed “Incoscienti” (feat. Mercvrio).
Tra una stagione che sta per giungere all’epilogo ed un’altra che si appresta a sbocciare tra colori foliage e sapori agrodolci, il cantautore capitolino classe 1997 ci regala una cornice policroma che combina i toni accesi e sfavillanti dell’estate alle nuance riflessive e malinconiche che si affacciano sui primi albori d’autunno, in cui inserire i ricordi del tempo trascorso, ma anche le speranze verso un domani da scrivere in due.
Cieli celesti e tramonti ambrati si susseguono nelle stagioni della vita e nei periodi del cuore, tramutando scenari evanescenti in radiosi dipinti senza tempo e senza età, perché, come lo stesso artista spiega:
«i problemi diventano piccoli quando i sentimenti sono grandi. Con questo brano, ho cercato di alleggerire la tematica delle discussioni di coppia, non di certo per rendere la questione superficiale e approssimativa, ma proprio perché ritengo che quando c’è alla base l’amore, tutto può essere risolto; ciò che conta è che vi sia la volontà, da parte di entrambi, di fare un passo verso l’altro».
Un invito ad allontanarsi per un istante dal proprio orgoglio e dalla propria collera, per ritrovare prima se stessi ed, in seguito, il desiderio di comprendere - «sul fondo di un’Ichnusa cerco la tua luna e imbroglio quella della realtà» - e connettersi all’altro - «per terra la mia sagoma si separa da me, come libera, da sola, di tornare da te» -, con le “Luci di Città”, quelle ideali della nostra fortezza interiore e quelle effettive dei centri abitati che ci consentono di ritrovare la via verso casa anche nelle notti più cupe, a fare da sfondo e ad illuminare il nostro percorso, tra salite, discese e tutte le incertezze delle mezze stagioni.
Prodotto da Reb the prod e mixato e masterizzato da Alberto Proietti Cignitti del Container Audio Room di Roma, il brano aggiunge un nuovo step al cammino artistico di CARAVELLE, un artista in grado di raccontare situazioni di vita quotidiana in cui ciascun ascoltatore può ritrovarsi, con il tocco, l’emozionalità ed il talento di chi sa trovare magia e scintillanti cromie anche nelle difficoltà di una routine in bianco e nero.
Sara J Jones torna a dar voce all’unicità personale in "Caramelle", il suo nuovo singolo
Dopo aver infiammato i mesi più caldi dell’anno con il talento ed il carisma che la contraddistinguono dalla sua prima release nel brano “Lloret De Mar”, la spumeggiante cantautrice milanese Sara J Jones torna in radio e nei digital store con “Caramelle”, il suo nuovo singolo.
Il progetto, una vera e propria full immersion tra sonorità anni ‘80 e speranza verso un futuro in cui la parola d’ordine sia “essere se stessi”, riconferma il vincente sodalizio con l’amico e collega Marco Conte, che ha collaborato con l’artista meneghina nella stesura del testo, e con il producer brianzolo Andrea Cattaldo, abile sarto dell’accattivante ed impeccabile abito sonoro che veste il pezzo.
Un encomio, un inno all’indipendenza e alla libertà di esprimersi per ciò che si è senza condizionamenti, ma soprattutto, un’esortazione in musica a tutte le donne nel ritrovare, riscoprire e sperimentare una femminilità che non dev’essere dettata da precetti e canoni esterni, ma dalla propria natura soggettiva, unica e, per questo, incomparabile con quella altrui.
Inizialmente intitolato “Uragano” per esprimere la duplicità dell’animo femminile, audace, determinato, raggiante, ma di tanto in tanto velato da una nube riflessiva e malinconica da cui scaturiscono sensazioni di solitudine e tristezza, illuminate e dissipate poi da una ritrovata luce interiore, “Caramelle” esalta le peculiarità soggettive di ogni donna, in un’avvincente e riuscitissima analogia con i coloratissimi dolcetti - «Fruit joy, M&ms Goleador, Jelly Beans: ne hai assaggiate di tutti i colori e nessuna di queste ha il sapore di me» - per ricordarci che ciascuna - e ciascuno - di noi è ineguagliabile, eccezionale nelle e con le proprie specificità.
Un brano frizzante e versatile, che enfatizzando la poliedricità delle donne, abbraccia tutti, ponendo l’accento sull’ambivalenza di molti di noi, spesso corazzati all’esterno, di primo acchito, ma, proprio come le caramelle, dotati di un’anima morbida e dolce che ha solo bisogno di essere scartata e assaporata giorno dopo giorno; una riflessione che va rivolta in primis a se stessi e, di conseguenza, a tutti coloro che incrociano il nostro percorso.
«Sono molto legata a questo pezzo – racconta Sara J Jones - perché oltre a trasmettere carica, energia e leggerezza, invita chiunque lo ascolti a non rinnegare, bensì a comunicare, il proprio carisma, la propria essenza, soprattutto in presenza di chi cerca quotidianamente di cambiare gli altri, imponendo ed instillando abitudini e maniere che ingabbiano invece di supportare e sostenere le peculiarità di ciascun essere umano. Inoltre, in sinergia con Marco Conte, ho cercato di avvalorare la figura della donna, provando ad esprimere al meglio quello che per me è un concetto imprescindibile: la libertà di essere chi si è davvero, di conoscere ed esplorare il proprio valore intrinseco senza timori e senza paura di giudizi ed etichette».
Una mission che ben viene espressa nel coloratissimo videoclip che accompagna il brano, diretto da Alessandra Miatello e girato presso la Selfie Room di Pero (MI) e che Sara J Jones porta avanti dal suo debutto ufficiale avvenuto con “Waterproof”, per esortare ogni donna, specialmente le giovanissime, spesso avvolte da dubbi, incertezze e complessi che riguardano in gran parte l’aspetto fisico-estetico, a non inseguire modelli di pseudo-perfezione ed atteggiamenti standardizzati, ma, al contrario, a guardarsi dentro per rivelare, esprimere ed enfatizzare al meglio la propria autenticità, il proprio valore, la propria femminilità.
“Caramelle” riconferma l’abilità interpretativa di Sara J Jones, un’artista in grado di arrivare dritta al cuore del pubblico con una vocalità avvolgente, delicata ma al contempo energica, elegante ma al tempo stesso vivace, ricca di cromie; sfumature e tinte timbriche che si intrecciano ad una personalità meravigliosamente eclettica, effervescente e determinata, ma anche introspettiva e sensibile, capace di fluisce in progetti artistici che affascinano, appassionano ed emozionano sin dal primo ascolto....
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Al Vox: "Pinocchio e Il Requiem Quotidiano" è il suo nuovo mini EP
Istrionico, eccentrico, geniale, anticonformista e pittoresco sono solo alcuni degli aggettivi che la critica ha utilizzato per definire Al Vox e la sua Arte, una suggestiva discesa negli Inferi, tra le ombre ed i misteri del sentire umano, volta a far luce su fragilità, dipendenze e peculiarità soggettive, per scardinare pregiudizi e moralismi. Il riflesso del mondo e della società che lo compone scandagliato da una lente vividamente distopica; l’unica in grado di catturare, cogliere e rimandare la verità effettiva, senza utopie, senza illusioni e senza preconcetti. Al Vox è tutto questo e molto altro, una voce dissonante in un ensemble pseudo armonico, una macchia colorata in un quadro in bianco e nero.
Ed è da questa sua concezione della musica e dell’Arte che il brillante cantautore e musicista ligure torna nei digital store con “Pinocchio e Il Requiem Quotidiano” (PaKo Music Records/Visory Records), un mini EP, o come lui ama descriverlo, un “LP Digitale”, composto da due tracce, “Elettropinocchio” e “Requiem For The World”, che riconfermano la dissacrante teatralità del loro autore, consentendo all’ascoltatore una totale immersione nell’universo contemporaneo, attraverso minuziose liriche iconografiche, fortemente rappresentative dei tempi attuali.
“Elettropinocchio” apre il progetto reinterpretando in chiave ironica, quasi sardonica, una delle release di maggior successo di Al Vox, “Il Giullare”, brano, pubblicato nel Marzo del 2020, che l’ha consacrato ufficialmente alla scena italiana. Avvolto da un elettrizzante abbraccio synthpop, il pezzo è una rivincita in musica delle vessazioni e delle angherie: Pinocchio, inizialmente sfruttato da Mangia Fuoco per la sua capacità di intrattenere il pubblico ed i conseguenti lauti compensi ricevuti, acquisisce un’intelligenza artificiale che gli consente di svincolarsi dal suo vessatore, appropriandosi finalmente del successo dovuto alle sue abilità. Un brano di rivalsa che evidenzia come, in alcuni casi, sia ancora possibile emergere per i propri talenti e le proprie capacità.
Ma come ogni aspetto della realtà, anche questo nuovo lavoro di Al Vox porta in sé un’accezione ambivalente: la seconda traccia, infatti, "Requiem For The World", analizza con minuziosa accuratezza la nostra contemporaneità: «Pensi solo ai like, pensi che tutto giri intorno a quello e purtroppo un giorno dirai: “cazzo, ho perso tutto”»; «Inutile che curi l'immagine, cura la tua anima», su un abito sonoro energicamente cucito da chitarre Alt-Rock e batterie Post Punk, Al Vox racconta, in un’accorata preghiera laica, le contraddizioni dell’età moderna, tra dissociazione, egocentrismo, egotismo e termini di forte impatto che dovrebbero attingere al passato ma che, purtroppo, sono tristemente ancora molto attuali, come razzismo e xenofobia.
Poco più di 6 minuti di viaggio tra suoni, echi, parole, riflessioni, unioni e disgiunzioni, perché è solo attraverso la separazione momentanea dalla realtà che ci circonda che possiamo acquisirne profonda consapevolezza, quella conoscenza disillusa di cui necessitiamo per poter, effettivamente, cambiare il mondo, partendo dal nostro, piccolo ma essenziale, microcosmo personale....
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"Diversi Da Chi" è il nuovo singolo dei Factanonverba
Cos’è la diversità se non un arricchimento della nostra preziosa unicità individuale? E, da cosa, da chi, siamo, ci sentiamo o ci dicono essere diversi? È da questi incessanti e sempre più complessi quesiti che lo stimatissimo duo rock sardo Factanonverba, dopo il successo di “Impossibile” (ne abbiamo parlato qui), ha dato vita a “Diversi Da Chi”, un concentrato di profonde riflessioni sulla società contemporanea, impetuosamente riversato su un solidissimo alveo sonoro innovativo e frizzante.
Atmosfere rock attualissime, vividamente intrise di ombre e luci, fungono da perfetta culla ad un testo traboccante di verità, generando uno spaccato cristallino e sincero sulla società moderna, sempre più incline ad enfatizzare le differenze, dietro l’evanescente maschera di un’uguaglianza che, ancora – e forse più che mai – oggi, assume sempre più le sembianze dell’emarginazione.
A mezz’aria tra una rivoluzione sonora dai tratti futuristici ma sempre fedele all’energia del rock made in Italy e considerazioni realistiche impeccabilmente tradotte in liriche, i Factanonverba delineano, in poco meno di 4 minuti, lo scenario quotidiano in cui tutti noi siamo immersi, quel contesto socio-culturale costantemente frammentato e confuso in cui ciascuno di noi è inserito e da cui continua a trarre nozioni ed osservazioni in netta antitesi: da una parte, la valorizzazione delle differenze personali come chiave di arricchimento soggettivo e collettivo, dall’altra, la discriminazione, sempre più aggressiva e brutale, nei confronti di chi e tutto ciò che non si identifica – o che non siamo in grado di rappresentare – con quella che comunemente definiamo la nostra realtà.
«Giudizi assurdi ormai lasciano il segno, parole ruvide, gesti di sdegno»; «rischiare di non essere capiti nascondersi tra cumuli e detriti»: frasi che incidono e risuonano dentro, proprio come le lame metaforiche capaci di ferire e trafiggere coloro che vengono additati con disprezzo per le loro peculiarità, giungendo ben al di là dell’orecchio che è disposto ad ascoltarle senza limitarsi ad una vana percezione uditiva, per scavare nel profondo e risvegliare quel senso di unione che è possibile realizzare e cogliere proprio grazie alle meravigliose prerogative e tipicità personali.
Un’esclusività, quella insita in ciascuno di noi, che occorre valorizzare deponendo le insidiose armi dell’invidia e della prevaricazione, tenendo a mente che individualità e singolarità non collimano con individualismo e tracotanza, bensì con la possibilità di condividere con chi ci circonda le nostre esperienze, le nostre idee, le nostre prospettive e le nostre inclinazioni, per la costruzione di un futuro in cui ciascun essere umano si senta effettivamente libero di esprimersi e, ancor prima, accettato, come gli stessi artisti spiegano:
«Questa canzone nasce da diverse considerazioni sul concetto di uguaglianza, forse uno di quelli di cui più si abusa dall’età moderna in poi, senza però comprenderne il vero significato. In natura non esiste l’identico, ma solo il simile, dunque la diversità deve essere considerata come un arricchimento e non uno stigma. La cronaca, invece, ci mostra che il concetto di identità, ovviamente distorto nel suo significato, ha segnato le più grandi atrocità della storia, dalle persecuzioni razziali e religiose, ai manicomi, dalla mortificazione della donna alle odierne forme di cyber bullismo, stalking etc. Il brano tratta il tema della differenza per evidenziare come sia ancora molto lunga e in salita la strada da percorrere, non solo per acquisire alcuni diritti fondamentali in uno Stato che si reputa laico, ma per mutare la mentalità di una grande maggioranza di persone, che ancora non riesce ad accettare l’idea che, davanti alla Legge, dobbiamo essere tutti uguali, indipendentemente dal nostro orientamento, sessuale, religioso e così via».
La release è inoltre supportata dalla sua versione strumentale, intitolata “Diversi da chi Remix”, scelta come colonna sonora di “Problemi tuoi”, splendido cortometraggio, diretto da Austinu D’Antonio, anch’esso dedicato al tema della differenza, in particolar modo, quella di genere.
Con oltre 20 anni di gavetta in precedenti formazioni alle spalle, Paolo Vodret (basso e arrangiamenti) e Marco Calisai (voce, chitarra, synth e arrangiamenti), in un solo biennio dalla genesi dei Factanonverba, hanno dimostrato come la musica rock, emblema per eccellenza di fusioni melodiche e sonore, possa ancora trattare argomenti scomodi e complessi con il vigore dell’autenticità, ritagliandosi uno spazio sempre maggiore nella scena italiana.
“Diversi Da Chi” anticipa il primo EP del duo sardo, attivissimo in studio con più di 41 canzoni scritte ed autoprodotte in soli due anni, pronte per essere ascoltate da chi, oggi, come ieri, cerca la sostanza oltre l’apparenza, anche nella musica....
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I Fainest tornano con “Sgt. Pepper”, il loro nuovo singolo prodotto da MasterMaind
Il celebre ed istrionico duo pioltellese emblema di eclettismo e fusione di stili Fainest, dopo una lunga serie di iconiche release dal 2013 ad oggi - dall’album “Invincibili” contenente le hit “Non sono studiato”, “Fare l’artista” (feat. Katerfrancers) e “I sogni non hanno un budget” (prod. Danti), alla sagace ed ironica “Taac” (2019) – torna in radio e nei digital store con “Sgt. Pepper” (PuffRecords), nuovo entusiasmante capitolo di una carriera costellata di successi ed importanti collaborazioni (da Paolo Noise a Grido, passando per Shorty, Pippo Palmieri e molti altri).
Esilaranti, anticonformisti e dotati di un’impronta stilistica unica e inconfondibile, Blade e Dily riemergono sulla scena come un sottomarino traboccante di ritmo, punchlines e citazioni: una band di cuori soli, in una spettacolare analogia con il celeberrimo ottavo album dei leggendari “Fab Four” The Beatles, “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”.
Scosse liriche e ingegnosa insolenza si amalgamano alla miscela esplosiva e attualissima di un beat travolgente, curato nei minimi dettagli dall’esperienza pluridecennale di una delle più grandi firme del rap-game italiano, MasterMaind, impreziosito dalle chitarre di Stefan Di Maria, capaci di inebriare d’Oltreoceano un pezzo su cui è impossibile non muovere la testa.
Rap e funky, tradizione e innovazione, riferimenti storici e visioni futuristiche si intrecciano in quasi 3 minuti di energia pura, catapultando l’ascoltatore in una dimensione sospesa tra leggerezza e reminiscenza, con la sottigliezza e l’estro creativo che fin dagli esordi caratterizzano una delle formazioni rap più stimate e seguite della scena italiana, come veri e propri stilemi di chi ancora oggi, nel 2022, fa musica con competenza, professionalità ed esperienza, ma al contempo divertendosi, proponendo testi mai banali e ricchi di spessore, tra barre e incastri ironici e scanzonati; un marchio di fabbrica autentico e fuori dall’ordinario, perché “Si dice Unconventional, ma si legge Fainest”.
Biografia.
I Fainest sono un duo pioltellese composto da Blade NMK (al secolo Fabio Nocella) e Dily (pseudonimo di Mario Di Lorenzo) nato nel 2012, quasi per gioco, da un’idea dei suoi membri. Anticonvenzionali, iconici e brillanti, l’ecletticità è la loro arma più potente; una fusione di stili, pensieri ed esperienze di vita agli antipodi, capaci di intrecciarsi e fondersi in un’unica ed originalissima visione artistica. Nel 2013, i Fainest firmano il loro primo contratto discografico e pubblicano il debut album “N.C.M.N.”, impreziosito dalla produzione di una delle firme più celebri e stimate della scena italiana, MasterMaind e avvalendosi della collaborazione di professionisti di spicco, come la talentuosa e celebre ballerina Hip Hop Betty Style, che ha prestato la sua Arte nel videoclip ufficiale di “Non ci sto più dentro”, programmato in heavy rotation su Hip Hop TV. L’anno successivo, inizia per il duo la straordinaria partecipazione a Lo Zoo di 105, trasmissione radiofonica più ascoltata del Belpease, in onda dal lunedì al venerdì sull’emittente con sede a Milano, per cui i due rapper firmano svariati Jingle, scrivendo anche il testo del brano in gara di Pippo Palmieri. Brano dopo brano, successo dopo successo, arriva anche la firma con Edel ed i numerosissimi sodalizi con nomi del calibro di Paolo Noise, Herbert Ballerina, Ivo Avido, Ylenia Baccaro, Stefan, Shorty, Sewit, Grido e Danti. Proprio con quest ultimo, i Fainest scrivono "I sogni non hanno budget”, inserito nell’album “Invincibili”, che supera in pochissimi giorni i 100.000 streams sulla piattaforma svedese Spotify. Dopo una nuova ondata di successi ed attestati di stima da parte di pubblico e critica, il 29 Luglio 2022 esce “Sgt. Pepper”, spettacolare analogia musicale con il celeberrimo ottavo album dei leggendari “Fab Four” The Beatles, “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”, in cui Blade NMK e Dily, sempre supportati dal tocco incantato di MasterMaind alla produzione e dalla finezza esplosiva delle chitarre di Stefan Di Maria, riconfermano la loro abilità nel rap-game ed un anticonformismo irriverente ma mai fuori luogo, avvalorando il loro motto “Si dice Unconventional, ma si legge Fainest”. Release dopo release, il duo della periferia ambrosiana continua a scalare le classifiche dello Stivale grazie a punchlines dirette e mai banali e ad un’abilità autorale e comunicativa uniche e fortemente riconoscibili.
I Fainest tornano con “Sgt. Pepper”, il loro nuovo singolo prodotto da MasterMaind
Il celebre ed istrionico duo pioltellese emblema di eclettismo e fusione di stili Fainest, dopo una lunga serie di iconiche release dal 2013 ad oggi - dall’album “Invincibili” contenente le hit “Non sono studiato”, “Fare l’artista” (feat. Katerfrancers) e “I sogni non hanno un budget” (prod. Danti), alla sagace ed ironica “Taac” (2019) – torna in radio e nei digital store con “Sgt. Pepper” (PuffRecords), nuovo entusiasmante capitolo di una carriera costellata di successi ed importanti collaborazioni (da Paolo Noise a Grido, passando per Shorty, Pippo Palmieri e molti altri).
Esilaranti, anticonformisti e dotati di un’impronta stilistica unica e inconfondibile, Blade e Dily riemergono sulla scena come un sottomarino traboccante di ritmo, punchlines e citazioni: una band di cuori soli, in una spettacolare analogia con il celeberrimo ottavo album dei leggendari “Fab Four” The Beatles, “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”.
Scosse liriche e ingegnosa insolenza si amalgamano alla miscela esplosiva e attualissima di un beat travolgente, curato nei minimi dettagli dall’esperienza pluridecennale di una delle più grandi firme del rap-game italiano, MasterMaind, impreziosito dalle chitarre di Stefan Di Maria, capaci di inebriare d’Oltreoceano un pezzo su cui è impossibile non muovere la testa.
Rap e funky, tradizione e innovazione, riferimenti storici e visioni futuristiche si intrecciano in quasi 3 minuti di energia pura, catapultando l’ascoltatore in una dimensione sospesa tra leggerezza e reminiscenza, con la sottigliezza e l’estro creativo che fin dagli esordi caratterizzano una delle formazioni rap più stimate e seguite della scena italiana, come veri e propri stilemi di chi ancora oggi, nel 2022, fa musica con competenza, professionalità ed esperienza, ma al contempo divertendosi, proponendo testi mai banali e ricchi di spessore, tra barre e incastri ironici e scanzonati; un marchio di fabbrica autentico e fuori dall’ordinario, perché “Si dice Unconventional, ma si legge Fainest”.
Biografia.
I Fainest sono un duo pioltellese composto da Blade NMK (al secolo Fabio Nocella) e Dily (pseudonimo di Mario Di Lorenzo) nato nel 2012, quasi per gioco, da un’idea dei suoi membri. Anticonvenzionali, iconici e brillanti, l’ecletticità è la loro arma più potente; una fusione di stili, pensieri ed esperienze di vita agli antipodi, capaci di intrecciarsi e fondersi in un’unica ed originalissima visione artistica. Nel 2013, i Fainest firmano il loro primo contratto discografico e pubblicano il debut album “N.C.M.N.”, impreziosito dalla produzione di una delle firme più celebri e stimate della scena italiana, MasterMaind e avvalendosi della collaborazione di professionisti di spicco, come la talentuosa e celebre ballerina Hip Hop Betty Style, che ha prestato la sua Arte nel videoclip ufficiale di “Non ci sto più dentro”, programmato in heavy rotation su Hip Hop TV. L’anno successivo, inizia per il duo la straordinaria partecipazione a Lo Zoo di 105, trasmissione radiofonica più ascoltata del Belpease, in onda dal lunedì al venerdì sull’emittente con sede a Milano, per cui i due rapper firmano svariati Jingle, scrivendo anche il testo del brano in gara di Pippo Palmieri. Brano dopo brano, successo dopo successo, arriva anche la firma con Edel ed i numerosissimi sodalizi con nomi del calibro di Paolo Noise, Herbert Ballerina, Ivo Avido, Ylenia Baccaro, Stefan, Shorty, Sewit, Grido e Danti. Proprio con quest ultimo, i Fainest scrivono "I sogni non hanno budget”, inserito nell’album “Invincibili”, che supera in pochissimi giorni i 100.000 streams sulla piattaforma svedese Spotify. Dopo una nuova ondata di successi ed attestati di stima da parte di pubblico e critica, il 29 Luglio 2022 esce “Sgt. Pepper”, spettacolare analogia musicale con il celeberrimo ottavo album dei leggendari “Fab Four” The Beatles, “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”, in cui Blade NMK e Dily, sempre supportati dal tocco incantato di MasterMaind alla produzione e dalla finezza esplosiva delle chitarre di Stefan Di Maria, riconfermano la loro abilità nel rap-game ed un anticonformismo irriverente ma mai fuori luogo, avvalorando il loro motto “Si dice Unconventional, ma si legge Fainest”. Release dopo release, il duo della periferia ambrosiana continua a scalare le classifiche dello Stivale grazie a punchlines dirette e mai banali e ad un’abilità autorale e comunicativa uniche e fortemente riconoscibili.
“Libero di volare” è il nuovo viaggio musico-emozionale di Domenico Zumbo
“La musica è la luce della luna sulla cupa notte della vita”, scrisse il più celebre filosofo russo del nostro tempo, Lev Tolstoj, e la capacità di rinascita dalle tenebre interiori, il potenziale di rivalsa su noi stessi scaturito dalle sette note intrecciate al più profondo sentire dell’animo umano, resta tra i più incantevoli doni concessi ad ognuno di noi. Ed è da questo inconfutabile assunto che il brillante cantautore e attore calabrese d’adozione ambrosiana Domenico Zumbo, dopo aver dato prova della sensibilità della sua penna e dell’intensità della sua voce, torna nei digital store con “Libero di Volare”, il suo nuovo singolo intriso di tutti i colori dell’anima.
Introspezione, consapevolezza e resilienza sono le chiavi per accedere al proprio Io più autentico e sincero; gemme preziose sotterrate dalle macerie del passato, raccolte e ripulite dal dolore dei ricordi per poter costruire, giorno dopo giorno, il calamaio del nostro futuro, nel quale intingere la stilografica delle nostre speranze, dei nostri sogni, delle nostre attitudini, in qualità di esseri finalmente autonomi e indipendenti, dal giudizio di un mondo che cessa di rappresentare una gabbia per tornare ad identificarsi in una splendida e variopinta dimora senza confini, ma soprattutto ed ancor prima, da quelle etichette, da quei verdetti, da quelle sentenze e lodi arbitrali che ci auto imponiamo, intrappolandoci nei nostri stessi timori, nelle nostre stesse riserve.
Un viaggio, delicato ma potentissimo, tra i più impervi e reconditi sentieri di mente e cuore, armonizzato con dolcezza ed eleganza da una brezza sonora capace di emozionare sin dal primo ascolto, che inebria e trasporta i sensi verso una profonda e radicale trasformazione, la più ardua e meravigliosa della nostra vita, quella dal vecchio al nuovo noi.
Una metamorfosi percettiva che si concretizza in una vera e propria ricongiunzione a e con se stessi, un soffio incantato su sentimenti e pensieri in grado di svestirli dalla fuliggine per risvegliarli, come l’artista spiega:
«”Libero di Volare” per me rappresenta la rinascita, il risveglio interiore e la forza di guardare il mondo con occhi nuovi e una luce più intensa. Rappresenta la gioia, la libertà, viste da una prospettiva differente. Quando l’ho scritto mi sentivo più grande dell’età che avevo; il far emergere quell’emotività nascosta è stato terapeutico ed è questo che vorrei trasmettere a chi lo ascolta. O meglio, vorrei che ognuno, ascoltandolo, possa ascoltarsi, per provare a fare chiarezza dentro se stesso e rinascere ogni singolo istante».
Volutamente pubblicato in occasione del compleanno del cantautore per avvalorare l’accezione di una nuova genesi dalle proprie radici, “Libero di Volare” è un inno alla straordinarietà che si cela dietro e dentro ciascuno di noi, sorretto da un sound dalle tinte brit-pop, impreziosito dalla partecipazione di una band tutta al femminile e dalla direzione musicale del Maestro Massimo Carrieri, che ne ha curato produzione e arrangiamento, a cui attingere per riscoprire la propria luce interiore.
«Come gabbiani potrò volare, libero di viaggiare, libero di sognare.
Terre nuove da esplorare».
Domenico Zumbo.
Biografia.
Domenico Zumbo è un cantautore e attore italiano nato a Reggio Calabria nel 1978. Laureato in Architettura, la sua vena creativa lo porta sin da piccolo a studiare e ad approfondire ogni forma d’Arte, in particolar modo Musica e Teatro, che, con il passare degli anni, diventano le caratteristiche più incisive del suo percorso professionale. Si forma in canto moderno, studiando e approfondendo la tecnica vocale con alcuni dei Maestri più stimati a livello nazionale, come Luca Pitteri, partecipando anche a svariati seminari. Sul fronte recitazione, studia e lavora con diversi registi e attori di teatro, tra cui Walter Manfrè, Tiziana Bergamaschi, Marilù Prati e Renato Nicolini. Assapora il Cinema con il film “La voce - Il talento può uccidere" di Augusto Zucchi” e, nel 2009, è protagonista di una storia nella docu-fiction RAI “Amore Criminale”. Nel 2011 debutta in “Cenerentola...Il Musical”, rivestendo il ruolo del principe e, nel 2017, prende parte alla rappresentazione teatrale “Lancillotto - L’amore tutto trasforma”. In occasione di "Polvere di Stelle" 2011, condivide il palco con grandi nomi della musica nostrana, come I Neri Per Caso, Barbara Cola e Davide De Marinis. Autore e compositore dei brani "Timida" e "Fiero di te" di Luana Idà e Danilo Zenzola, nel suo percorso artistico vanta l'apertura dei concerti in Calabria della cantante abruzzese Antonella Bucci in “Totalmente Bucci Summer Tour 2011”, con la quale ha duettato in “Amarti è l'immenso”, e della cantautrice Lighea, con cui ha interpretato “Il mio canto libero 2011”. A Febbraio 2014, partecipa alla prima edizione di #SANREMOCENTRIC, svoltasi nella Città dei Fiori in concomitanza al Festival della Canzone Italiana: per l’occasione, Domenico interpreta due suoi pezzi inediti e una cover di Rino Gaetano, accompagnato dal vivo da La 900 Band e le Suite String Quartet. Nel 2021 è tra gli insegnanti della quarta edizione del Talent Show “THE COACH” nella fase Academy e, nello stesso anno, rilascia sui digital store “Padroni di questo mondo”, il suo primo singolo ufficiale, impreziosito dal relativo videoclip, girato a Montecarlo. Nel 2022 incontra il Maestro Massimo Carrieri, musicista, con il quale cura l’arrangiamento e la produzione di “Libero di Volare”, un viaggio musico-emozionale tra i sentieri più impervi e reconditi di mente e cuore, una catarsi tra le note per rinascere dalle ceneri del passato ed abbracciare la propria reale natura. Introspettivo, brillante, suggestivo e dotato di una notevolissima capacità di raccontare i moti dell’anima attraverso una penna incisiva e iconografica, Domenico Zumbo è una delle proposte più interessanti del cantautorato maschile italiano contemporaneo.
Come possiamo rinascere dal dolore scaturito da una relazione giunta al termine? Da dove è possibile iniziare a raccogliere i cocci del fragilissimo scrigno di sentimenti ed emozioni chiamato cuore andato in frantumi con l’epilogo di una storia d’amore? È da questi quesiti che ha preso vita il nuovo viaggio in musica dei Rebenga, che, dopo il fortunato esordio nel 2019 con “Piazza grande” ed una serie di release di successo intrise di ritmo e poesia, tornano in radio e nei digital store con “Cuore Rotto”, il loro nuovo singolo.
Magistralmente mixato e masterizzato da Mine Dayone e impreziosito dalle tastiere di Fortu Rebenga, il brano è un’incalzante corsa ad ostacoli verso un’identità personale totalmente libera dal passato, una maratona interiore la cui meta è la costruzione di un sé capace di risollevarsi dalle macerie del cuore per ricomporlo con la fine e preziosa trama della consapevolezza e dell’esperienza, facendolo così tornare a battere di nuova linfa.
Tra liriche incisive, incastri graffianti e barre ricolme di malinconia e speranza, il duo modenese regala al pubblico un’immersione nel tumultuoso oceano dei sentimenti, evidenziando come, per ricostruire e ricostruirsi, sia necessario distruggere e smantellare convezioni e abitudini, attraversando la sofferenza per arrivare alla quiete.
«”Cuore Rotto” – dichiara il duo di fratelli emiliani – racconta una relazione d’amore arrivata al capolinea, ma lo fa ponendo l’accento sulla rinascita dal dolore. Quando credi fortemente in qualcosa che improvvisamente va in pezzi, ti crolla il mondo addosso e tutto sembra perdere di senso, di significato. Non resta più niente, nemmeno i ricordi. Ma occorre imparare ad accettare per voltare pagina e andare avanti. Alcuni rapporti di coppia, sono così tormentati e intensi che ci fanno sentire vivi e distrutti al contempo e, quando finiscono, ci lasciano con il cuore rotto. Ma è da un cuore rotto che, lentamente, si ricomincia a vivere».
Un ciclone, una tempesta emotiva che scardina sicurezze e stabilità, facendo vacillare la fiducia in se stessi e nelle relazioni autentiche e sincere, ma che, con l’avvicendarsi delle stagioni, travolge, trascina e spazza via anche i frammenti di dolore incastonati tra le pieghe dell’anima, riportando il sereno nel firmamento della nostra esistenza - «uragano che vige una grande fenice» -.
Un pezzo a primo ascolto triste e struggente, ma, ad una più attenta analisi, pregno di speranza e desiderio di rivalsa; rivalsa che non collima con rabbia e vendetta, bensì con l’intento di generare, dalle schegge del proprio vissuto, un meraviglioso e coloratissimo mosaico che raffiguri la storia d’amore più lunga e importante del nostro percorso, quella con noi stessi....
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L’estate si colora di barre e rivalsa con “Non mi manchi”, il nuovo tuffo musicale di Kevin Love
Tra “1000 Sbatti” (feat. Papi Trujillo) e “Collane D’Oro”, prosegue inarrestabile il successo di Kevin Love, brillante rapper e tatuatore luganese che continua a tracciare il suo percorso di barre e sentimenti nel rap-game italiano, collezionando, release dopo release, una lunga serie di attestati di stima da parte di pubblico e critica.
Dopo l’opening a pesi massimi della scena tricolore in occasione di Progetto Amore 2022, l’artista che ha scardinato cliché, pregiudizi e status symbol attraverso rime iconiche e testi anticonvenzionali, torna in radio e nei digital store con “Non mi manchi”, un pezzo malinconico e frizzante al tempo stesso, capace di colorare l’estate di tutte le sfumature del cuore.
Un patchwork di passionalità, riflessioni e considerazioni personali, una minuziosa composizione di emozioni in antitesi, che pongono vis-à-vis il vuoto scaturito dalla mancanza della persona amata e il desiderio di rinascere, basandosi soltanto sulla presenza concreta di – e con - se stessi.
Ed è in questo netto contrasto interiore, evincibile anche dalla minuziosa e riuscitissima antinomia tra liriche e sonorità, che Kevin Love scava, con l’incisività della sua penna, tra ricordi e desideri, ricercando quel punto di unione che ci ricollega a noi stessi, il collante che unisce e ricompone i frammenti di un cuore disgregato da una relazione giunta al capolinea, ma ancora fortemente impressa nella memoria di ogni battito.
Sorretto da una struttura sonora incalzante e ballabilissima, impeccabile nella resa melodica, “Non mi manchi” è un brano che guida e accompagna in un itinerario interiore in cui l’assenza diventa la chiave per riscoprirsi e ritrovarsi, valicando la soglia interposta tra il vecchio e il nuovo sé.
Da «Lo sai, ancora ti penso» a «Sai che non mi manchi, ho solo gli occhi stanchi», Kevin Love ripercorre la scalata emotiva dalla rottura con l’altro al riavvicinamento al proprio Io, dissipando le ombre generate dalla mancanza con la luce della speranza di un domani basato sulla consapevolezza che, per sentirsi davvero completi, occorre far leva in primis sulle proprie potenzialità, sanando le ferite del passato e ricominciando da esse.
La cronistoria di una relazione, dalla nascita all’epilogo, iniziata con il primo singolo, “1000 Sbatti”, proseguita con il secondo, “Collane D’oro” e portata a termine con questo nuovo intreccio di cuore e barre; una trilogia autentica e personale capace di coinvolgere il pubblico grazie alla sincerità e alla franchezza espositiva con cui l’artista scrive e interpreta.
Il compimento di un capitolo che, analogamente alla vita, porta all’apertura di una nuova storia: “Non mi manchi”, infatti, non soltanto chiude una triade musicale sospesa tra malinconia e rivalsa, ma anticipa il primo EP del rapper ticinese, “Ice Kream Lov3”, in uscita nei prossimi mesi, come lui stesso spiega:
«“Non mi manchi”, è il primo tassello di un progetto più ampio che ha portato alla realizzazione di “Ice Kream Lov3”, il mio debut EP in uscita prossimamente. Questo pezzo, è un grido di rivalsa verso quelle persone che, per un motivo o per l’altro, non sono più al nostro fianco per combattere la vita. Ognuno di noi, inconsciamente, per dimenticare eventi, relazioni e situazioni, crea impegni e doveri in modo da non pensare, in modo da cercare di superare al meglio i momenti difficili e, quando ci riesce, può dire di avercela davvero fatta, nonostante tutto e nonostante tutti. Il progetto dell’EP sarà legato da un filo conduttore ed ogni traccia verrà accompagnata dal relativo videoclip: un’unica storia suddivisa in più step, una sorta di film musicale».
E nell’attesa di questo nuovo entusiasmante viaggio, Kevin Love ci invita ad abbandonare il passato, a lasciarci andare per riprendere possesso di ciò che siamo davvero, con una canzone da ascoltare e riascoltare sotto l’ombrellone; una vacanza, una pausa dal tram tram sentimentale per ripartire con una ritrovata consapevolezza di sé e dei propri obiettivi.
“Non mi manchi” è accompagnato dal videoclip ufficiale, diretto da Sam Shomey per PALMA VISION.
Cilla feat. Biondo: “Richard Mille” è il loro nuovo singolo
Musica e moda sono da sempre lo specchio della società di cui sono figli, ma anche i mezzi più potenti per comunicare al mondo il proprio sentire, connettendoci e collegandoci a chi è disposto ad ascoltare ed osservare oltre le apparenze. É da questo presupposto che la brillante e talentuosissima cantautrice svizzera d’adozione meneghina Cilla, al secolo Priscilla Cattaneo - nota per aver partecipato all’ultima edizione di All Together Now Italia -, ha scelto di dar vita a “Richard Mille” (Cosmophonix Artist Development/Altafonte Italia), avvalendosi della preziosa collaborazione di una delle firme più apprezzate della nuova scena italiana, Biondo.
Scritto in una prima fase dalla penna iconografica e sensibile dell’artista ticinese dopo una frenetica notte in discoteca e avvalorato dagli incastri incisivi e vibranti del rapper capitolino, il brano è una dichiarazione d’intenti contro la strumentalizzazione del corpo femminile, sempre più spesso al centro della crescente oggettificazione sociale e mediatica.
Su sfavillanti linee melodiche volutamente attinte alle sonorità anni ’80 ed impeccabilmente rese attuali e accattivanti dalla competenza e dall’esperienza del team mantovano multiplatino, si stagliano liriche dirette di efficacia immediata, capaci di echeggiare nella mente dell’ascoltatore come un mantra, per ricordare a tutti noi il diritto alla libertà, la libertà di essere donne oltre la parvenza estetica, oltre le convenzioni ed i pregiudizi.
«”Richard Mille” – dichiara Cilla – è stato scritto per denunciare la strumentalizzazione del corpo femminile, ma con toni freschi e leggeri perché ritengo che i messaggi lanciati con il sorriso vengano capiti prima e meglio. Nato dopo una notte in discoteca, dove se ne vedono davvero delle belle, è basato sulle esperienze di terze persone: racconti che, nel 2022, lasciano senza parole, ma a cui, qualcuno, deve dar voce. Sono dell’idea che oltre l’aspetto fisico, in una donna ci sia molto di più, ma siamo ancora troppo sottovalutate. Ho chiesto a Biondo di collaborare con me per questo pezzo, perché sapevo avrebbe dato il giusto peso, ma al tempo stesso la giusta freschezza all’argomento e alla canzone. È stato molto bello lavorare con lui; è un vero professionista, oltre che una splendida persona. Questo singolo per me rappresenta una liberazione dai pensieri e una notevole evoluzione come artista».
Una crescita, quella di Cilla, professionale e personale, entrambe collimate nei suoi brani, improntati, sin dall’esordio nel 2021 con “Diabete”, alla divulgazione di preziosi moniti e messaggi, tramite uno stile comunicativo leggero ma per nulla banale e superficiale.
“Richard Mille”, accompagnato da un emblematico lyric clip in uscita nel corso delle prossime settimane, unisce ritmi da dancefloor a riflessioni dalla profonda accezione sociale, riconfermando la finezza autorale ed espressiva di Cilla, un’artista che attraverso la sua vocalità elegantissima, unica e istantaneamente riconoscibile, si sta facendo sempre più spazio nel cuore e nelle playlist del pubblico del Belpaese....
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“Bad Days” è l’atteso ritorno di Rng2040, un collage sensoriale per rinascere da se stessi
A pochi mesi di distanza da “Sirene”, release che ne ha evidenziato sensibilità autorale ed intensità interpretativa, il rapper e musicista genovese Rng2040, al secolo Stefano Negrino, torna nei digital store con “Bad Days” (ZeroDieci), il suo nuovo singolo che ne esalta eclettismo e carisma, riconfermandolo come una delle più promettenti leve della scena nazionale.
Un mosaico di pensieri ed emozioni tradotti in barre, un mix di sensazioni contrastanti e al contempo simultanee, posate su liriche incisive e vibranti, che giungono con assoluta immediatezza ad orecchie e cuore sin dal primo ascolto.
Rabbia, amore, frustrazione e desiderio di rivalsa si susseguono in scatti intimisti che solo attraverso riflessioni trasposte in metrica fluiscono e si liberano da un cuore diviso a metà, costantemente frammentato tra disillusione e voglia di cambiamento, di rinascita.
Un dondolio, quello dell’esistenza, che l’artista esprime egregiamente - «è una vita che oscillo tra il bene che deve morire» - in un nero su bianco che sgorga dall’anima per incanalarsi tra le increspature di una quotidianità che veste e cinge troppo rigidamente i protagonisti assenti e assopiti di una società che ingabbia - «la metro è piena di zombie» -, facendo riflettere sui grovigli interiori dei nostri giovani, soprattutto dopo un lungo periodo di restrizioni e privazioni dal tessuto sociale, imprescindibile per l’essere umano e in particolar modo nella fase di crescita, nel passaggio all’età adulta, ponendo l’accento, anche grazie ad un tappeto sonoro attualissimo dalle sfumature malinconiche – reso possibile grazie all’abilità tecnica di Snt. Mameli -, sulle condizioni di reclusione emotiva a cui molto spesso ci auto sottoponiamo; etichette imposte prima di tutto da noi stessi, che Rng2040 ci invita ad abbandonare, tornando ad avere pieno controllo, per quanto possibile, sulle redini del nostro cammino - «mi levo da dosso la sigla di schiavo» -.
«”Bad Days” – dichiara - è un collage di percezioni diverse: rabbia, voglia di cambiamento, timori, delusioni. Questo brano è nato nel mio home studio in uno dei tanti giorni in cui io e il mio produttore ci vedevamo dopo la scuola per creare nuovi progetti. Lui ha messo su il beat ed io ho subito iniziato a cantarci sopra, senza pensare troppo a cosa raccontare. Ho scelto questo titolo perché il pezzo è stato concepito in una giornata nuvolosa, in perfetto accordo con il mio sentire di quel momento».
Una lettera a sé stessi per analizzarsi e comprendersi, una dichiarazione che si apre mesta e accorata assumendo, via via, sempre più le sembianze di un’inclinazione all’evoluzione personale - «Mi chiedo se il sogno è poi così lontano, la tocco o la sfioro creazione di Adamo» - , passando da una dimensione gelida e a tratti asettica, alla speranza di un capovolgimento che sappia riaccendere i battiti ai propri desideri - «ho fatto del cielo una tunica» - scardinando insicurezze e paure, per gettare le basi della realizzazione individuale.
Accompagnato dal videoclip ufficiale, diretto da Simone Carbotti e girato a Genova, nel quartiere di Sestri Ponente, “Bad Days” aggiunge un nuovo tassello all’identità artistica di Rng2040, che mediante una cifra stilistica trasversale ma fortemente riconoscibile ed una penna graffiante e di presa immediata, si sta facendo sempre più apprezzare e riconoscere come una delle proposte più autentiche e originali del nuovo rap-game italiano.
Vi Skin unisce musica e calcio in “Amore Incondizionato”
Quando l’amore per la musica incontra quello per i colori della propria squadra del cuore, il risultato è un inno di ritmo, voce ed anima capace di unire i tifosi di ogni generazione sotto la stessa bandiera e, quando a farlo è una giovane donna che fin dal suo esordio artistico scrive e canta per abbattere pregiudizi e cliché, l’effetto che ne consegue è ancora più influente.
Ed è così che, dopo aver emozionato tutti con la grazia della sua voce e l’incisività della sua penna in “Nei guai” ed aver mostrato il lato di sé più intenso e graffiante in “Scusa”, la cantautrice ciociara Vi Skin, definita dai Media tra le più belle vocalità del panorama emergente italiano, torna nei digital store con “Amore Incondizionato”, il suo lascito di note e passione per il club nerazzurro.
Scritto dalla stessa artista in occasione del diciannovesimo scudetto vinto dall’Inter, il brano è un encomio alla devozione e al sentimento di appartenenza verso un ideale ancora prima che ad una squadra, un elogio ricolmo di ardore e grinta che evidenzia come, in una società sempre più incline alle scissioni, ai contrasti e alle divergenze, Arte e Sport restino il collante di milioni di persone, connesse e compatte nel sostenere le proprie inclinazioni, unite dall’orgoglio, dalla fierezza, di essere una piccola ma importante goccia di un oceano di “Amore Incondizionato”.
Un atto di fede sportiva, ma ad una più attenta analisi, anche un invito a rialzarsi ogni qualvolta si presenti una battuta d’arresto: «nati da una scissione, sotto il segno del Biscione, siamo la dimostrazione che si può realizzare qualcosa di sensazionale partendo dal niente, tienilo a mente»; moniti preziosi che scivolano ed echeggiano su un beat dal forte impatto emozionale, per ricordarci che impegno, dedizione e costanza restano il più efficace carburante dei nostri sogni.
Cenni storici e fine umorismo si susseguono in quasi tre minuti pregni di romanticismo e trasporto – accompagnati dal videoclip ufficiale, diretto da Frank Meta e girato a Cassino (FR) -, in un agglomerato di energia ed enfasi capace di coniugare passato, presente e futuro di una vera e propria vocazione: dalle frasi storiche dell’Avvocato e Dirigente Sportivo Giuseppe Prisco, emblema per antonomasia dell’Interismo a sagaci e mai smodate frecciatine rivolte agli avversari storici della società calcistica meneghina nata da una discrepanza con il Milan, Vi Skin ripercorre oltre un secolo di storia de La Beneamata, l’unica in Italia ad aver partecipato a tutte le edizioni della Serie A dal suo ingresso nel 1908.
«Definisco l'Inter bipolare – dichiara l’artista -, in quanto spesso è capace di farci vivere momenti adrenalinici, a volte animati da una gioia euforica, altre da attimi di puro sconforto. Ma è proprio per questo che noi tifosi l'amiamo incondizionatamente».
Una duplicità che Vi Skin abbraccia anche nel suo percorso musicale, ponendo in netta antitesi il suo carisma vivace, il suo spirito libero e anticonformista, ad interpretazioni raffinate, avvalorate da una timbrica delicata e armoniosa, istantaneamente riconoscibile, che la portano ad essere una delle migliori proposte del nuovo panorama pop femminile italiano....
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Vocalità intensa e inconfondibile, cifra stilistica da fuoriclasse e penna dal forte impatto emozionale sono i tratti distintivi di Zippe, che dopo l’esordio nel 2020 con "Milano, è inutile" ed il successo ottenuto con il suo ultimo singolo, “Mi nascondo da te”, torna nei digital store con “Bonsoir” (distr. Artist First), il suo primo album che racchiude tutte le sfumature della sua anima tradotta in musica.
Scritto nell’arco degli ultimi due anni, attraversati dalla pandemia globale e dalla conseguente destabilizzazione ed eversione scaturita in tutti noi, il disco è un concentrato di riflessioni ed esperienze, un forziere in cui ogni ascoltatore può rifugiarsi per riporre i propri ricordi, a cui attingere ogni qualvolta il cuore ne senta il bisogno.
Memorie, gioie, delusioni, rimpianti, lacrime e risate si susseguono in un camaleontico mosaico realizzato con i frammenti di ciò che siamo, polaroid di vita che si inseriscono nell’album del nostro percorso personale, incollate alle pareti più intime di noi e incorniciate dalle vibrazioni interiori che, come una scossa, si originano dalla fusione di mente e battiti per colmare e corroborare tutti i nostri sensi di emozione.
La scelta del titolo e della title track, attualmente in rotazione radiofonica, è l’emblema della visione artistica duttile e polivalente di Zippe: “Bonsoir”, dal francese “Buonasera”, simboleggia infatti l’inizio o la fine di un frangente, di un arco temporale; tutto dipende da quando viene detto, augurato, pronunciato. Un giorno che volge al termine con l’arrivo del tramonto, o una serata che, da esso, prende vita. La possibilità di scegliere come agire e, ove non ci è possibile, come reagire alle azioni altrui.
«Ho scritto questo disco in due anni – dichiara il cantautore meneghino classe ’97 -. È un progetto molto importante per me, perché riflette quello che sono e, finalmente, mi sento davvero contento, felice di qualcosa. In “Bonsoir” ho voluto raccontare le mie esperienze, racchiuderle insieme come la chiusa di un cerchio, da cui poi, si ricomincia a girare. Una staccionata nel giardino della mia vita finora, che non separa, ma tiene unite tutte insieme determinate situazioni e determinati eventi. Un viaggio nella quotidianità di un venticinquenne tra amori, due di picche, litigi e serate indimenticabili. Momenti che tutti noi abbiamo attraversato ed in cui, mi auguro, ciascuno di voi potrà ritrovarsi».
Un recinto libero, libero di aprirsi al mondo o verso di esso, entro il quale svestirsi dall’armatura sociale per riscoprire la propria essenza attraverso ciò che vi abbiamo inserito e che fa parte di noi, di quella serie di scatti nitidi e indelebili che raccontano chi siamo, per ricordarlo non tanto agli altri, ma a noi stessi, quando perdiamo la rotta, il nostro faro guida.
Sonorità freschissime e ricercate, curate dal tocco incantato di Dema, avvolgono testi senza tempo, o per meglio dire, figli di un’età oltre le mode e le convenzioni del tempo, guidando l’ascoltatore tra le carrozze di un binario emotivo che viaggia nella stessa direzione dei sogni, tra quelli realizzati, quelli infranti e quelli ancora rinchiusi, per timore, auto sabotaggio o disillusione, nel cassetto del cuore.
Tredici tracce, dieci inediti e tre featuring, delineano l’evoluzione di Zippe, l’artista, in correlazione con Alessandro, l’uomo, regalando al pubblico una full immersion overtime, in cui passato, presente e futuro si abbracciano e si scontrano per collimare infine in un unico luogo, quello della consapevolezza di chi siamo e come, in base a questo, vogliamo diventare.
A seguire, tracklist e Track by Track dell’album:
“Bonsoir” – Tracklist:
Bonsoir
X Caso
Signora
Mi nascondo da te
Non uccidermi (feat. Adamøri)
Perdo la testa (feat. Yadi)
Vera
Shangai
Siga e Nicotina
Oggi
Lovesong (feat. Den)
Tu
Ultras
“Bonsoir” – Il disco raccontato dall’artista:
“Bonsoir”, il brano che dà il nome all’album, né è al contempo la sintesi. Perché dovermi tirarmi indietro se il desiderio di fare qualcosa è molto forte? Uccide prima l'ansia nella scelta, o il rimorso di non aver fatto nulla? Io "perdo tempo a cercarla" e continuo a cercarla, perché ne ho bisogno e perché "piccole cose mi ricordano un po' te", di lei.
Ci diciamo sempre che il tempo sistema tutto e il Karma fa il suo dovere. Ma ci siamo mai chiesti cosa sarebbe successo se avessimo deciso noi senza aspettare? Beh, quella sera noi non abbiamo lasciato nulla al caso. L'uomo è incline ad attendere perché fragile, insicuro delle proprie scelte e succube del passato. Siamo condizionati da decisioni passate sbagliate che ci fanno errare tutt'ora. “X Caso” è questo, per gridare al mondo "Non lasciamo mai nulla al caso"
“Signora”: un rapporto di coppia è, per antonomasia, composto da due soggetti. Va portato avanti di pari passo da entrambi i lati. Occorre bilanciare tutto. "Ma come si fa a parlare d'amore a una signora? Io vorrei parlare d'amore a una signora", ma non so farlo. Grazie a questa canzone, spero di avere una risposta, o di riuscire a capire come fare.
In “Mi nascondo da te”, credo che il titolo dica già tutto. L’accezione del brano si nasconde dietro il suo nome. I discorsi fatti fino a tarda notte, senza arrivare ad una soluzione. L’unico punto d'incontro è la sua antitesi, il distacco. Il pezzo è il riflesso di una coppia nella quale ci si avvicina sempre di più, ma senza mai riuscire ad unirsi davvero. Il luogo più vicino è sempre l’inizio di una lontananza. “Il giorno che mi cerchi mi nascondo da te”.
“Non uccidermi” (feat. Adamøri) racconta una visione particolare della donna, vista come dipendenza, come droga; un’analogia tra la figura femminile e le sostanze che creano subordinazione. Io e Adamøri diamo la nostra visione del rapporto con le ragazze che ci hanno fatto perdere la testa. Abbiamo paura, ma allo stesso tempo vogliamo essere dipendenti da questa droga. Nel brano fotografiamo in musica una donna che se la tira perché sa di essere donna, una donna che deve essere buona e cattiva, bella e brutta.
Ci sono quelle sere in cui vorresti prendere tutto quello che hai e scappare. Quella raccontata in “Perdo la testa” (feat. Yadi), è una di quelle sere. Sparire dal mondo per prendersi del tempo per se stessi ed i propri problemi. Noi e i nostri casini; una storia d'amore con un inizio, ma senza una fine. Io e miei problemi abbiamo deciso di sposarci sulla luna, lontani da tutto e da tutti.
La prima che mi ha fatto sentire amato, la “Prima.Vera”. Come dopo un lungo inverno, un fiore che sboccia è la cosa più bella del mondo. Spoiler: non è andata bene nemmeno questa. Per una volta, però, mi sono goduto il momento. Per questo il ritornello è un vero e proprio viaggio senza parole. Letteralmente così.
“Shangai” è il brano più conscious del disco. Qui ci sono io, un pianoforte e un sax. I miei sentimenti viaggiano su un treno in economy, senza biglietto e senza meta. É tutto un casino totale. Non ci sono altri modi per dirlo.
“Siga e Nicotina”, l’essenza della dipendenza. Ma siamo dipendenti dalla sigaretta o dalla nicotina? Come mai tutte le cose che ci fanno male ci affascinano? Perché se so che non facciamo l'uno per l'altra, continuo a sbatterci la testa? So tutto di lei, lei non sa niente di me, perché le interessa solo apparire.
La "presa bene" dell’album è “Oggi”. Oggi faccio tutto quello che mi va di fare. Per un momento ho deciso di prendermi una boccata d'aria. Viviamo in periodo storico in cui siamo condizionati da tutto. Non so se sia colpa dei Social o, molto più probabilmente, colpa nostra. Era da tempo che non respiravo senza mascherina.
“Lovesong” feat. Den non è una love song. È la parte buona e la parte sbagliata si incontrano. Non è obbligatorio essere fidanzati per stare bene insieme. Non è vero che le relazioni durature sono quelle nate per essere relazioni. Ogni tanto conviene fermarsi e non etichettare tutto. Possiamo stare bene anche se non ufficialmente legati con una fedina al dito.
“Tu” è il racconto di una storia d'amore finita, ma da parte mia c'è ancora qualcosa. Il ricordo di questo rapporto è forte, soprattutto nelle piccole cose - "tu che lasci Du Demon, tu che mandi via il bon ton" -. È un po' un rammarico personale per aver perso un qualcosa alla quale tenevo e alla quale continuo a pensare, senza però volerci tornare insieme. È un climax, va a salire costantemente, sia come testo che come base, che diventa sempre più ritmata, rimanendo comunque molto chill. È un pezzo molto terra terra, intriso di parole e concetti semplici. Tutti si possono immedesimare in questa canzone; lo scopo è ricordare una storia che non avrei voluto finisse, ma che, per colpa mia in primis, purtroppo è giunta al termine. Nonostante questo, però, il ricordo è positivo. Sintesi: raccontare un rammarico, non con la classica canzone deprimente, ma in toni molto chill. Ho paragonato il tutto un po’ a come quando si ha finito di fare l'amore: si è contenti, si vorrebbe ricominciare tutto da capo, però è tutto finito e in quel momento non ci si riesce. Da questo concetto, l’idea della copertina del disco.
“Bonsoir” si chiude volutamente con “Ultras” per rispondere al quesito “cos'è l'amore senza gli amici?” Quando va male, ci sono sempre loro. Se hai quelli giusti, sono una costante. I miei amici sono stati la mia forza durante le decisioni sbagliate. E la saranno anche per le scelte giuste. "Ci sentiremo degli ultras".
Biografia.
Zippe, pseudonimo di Alessandro Penna, è un cantautore milanese classe 1997. Inizia a suonare la chitarra da autodidatta alle scuole medie e compone i primi testi come valvola di sfogo. Scrivere per lui è un’esigenza, un bisogno, una missione. Poter trasmettere il proprio vissuto agli altri facendo sì che possano immedesimarsi nelle sue parole, è fonte di gratificazione e soddisfazione e fa sentire meno soli. Lontano da etichette e definizioni di generi e trend, la sua musica è il frutto della sua evoluzione artistica e personale, un concentrato di ritmo, esperienze e sentimenti capace di avvolgere e guidare l’ascoltatore tra le carrozze di un binario emotivo che viaggia nella stessa direzione dei sogni....
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“Habiba” è l’attesissimo come back di Osso, una sublime commistione di Oriente e Occidente
Osso, il brillante cantautore mantovano di origini marocchine, reduce dai successi delle sue precedenti release – dal duo con Mr. Rain sfociato nell’iconico feat. in “Superstite” (2018) al suo ultimo progetto “PCASDM”, release che ha consacrato ufficialmente il suo percorso solista alla scena nazionale, evidenziandone delicatezza e caratura vocale -, torna nei digital store con “Habiba” (distr. ADA Music Italy), un’ammaliante poesia in musica che mette in luce l’eclettismo della sua Arte e la trasversalità della sua penna.
Il brano, una meravigliosa commistione di lingue, culture e sonorità, rappresenta il punto d’unione tra le due lucenti anime dell’artista, armonizzando, in un concentrato di ritmo e sensualità, i colori, i profumi e i suoni orientali, all’emozionalità espressiva e alla minuzia testuale tipicamente italiane.
Una fusione musicale che attraversa la dimensione uditiva per sfiorare, avvolgere e corroborare tutti i sensi, il connubio perfetto tra seduzione, idillio, amore e magnetismo, incorniciato dalla freschezza e dalla ballabilità a cui ci invita la stagione più calda dell’anno, per un brano up-tempo che cattura e galvanizza sin dal primo ascolto.
«”Habiba” – dichiara Osso – è il ponte tra la mia terra d’origine, l’Africa, e il Paese in cui sono nato e cresciuto, l’Italia. In questo pezzo ho inserito tutto ciò che sono, fondendo suggestive melodie arabe a frizzanti tocchi di elettronica occidentali».
Il fascino delle incantate e misteriose terre nordafricane si intreccia all’enfasi e alla passionalità spiccatamente europee, in un pezzo che parla d’amore, ma anche di libertà, libertà di amare, libertà di esprimersi, il tutto impreziosito dall’allure raffinata di Osso, un artista versatile e sensibile che attraverso una vocalità unica, un fraseggio fortemente distintivo ed una notevole capacità comunicativa, continua a tracciare il suo personalissimo itinerario nell’universo discografico nostrano e nel cuore degli ascoltatori, con la sensibilità, il carisma e la finezza di chi fa dell’unione e della multiculturalità un arricchimento a tutto campo, in grado di integrare e avvalorare le esperienze e il patrimonio socio-culturale di ogni singola etnia.
Biografia.
Osso, pseudonimo di Ossama Addahre, è un artista italiano di origini marocchine nato a Castiglione Delle Stiviere (MN) il 17 Maggio 1992. Cresciuto con la musica araba grazie ai genitori, nati in Marocco e trasferiti in Italia verso la fine degli anni ’80, a soli 11 anni impara a suonare la chitarra da autodidatta e inizia a registrare la sua voce mentre canta. Affascinato dalle melodie di Chab Khaled, crescendo, si appassiona alla tecnica impeccabile di Chris Brown e, nel 2011, partecipa a Studio 2M, il contest canoro televisivo più seguito del Marocco, durante il quale si fa conoscere ed apprezzare da pubblico e critica, giungendo ai quarti di finale. Tornato in Italia, si diploma e, nel 2013, si presenta ad X-Factor con il collega Mr. Rain. Tra il 2014 e il 2017, mette in stand-by la carriera professionale per laurearsi in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo. Più forte che mai, nel 2018 collabora ed interpreta con Mr. Rain il brano “Superstite” e lavora a nuovi progetti solisti sperimentando stili e sonorità. Nel 2019 si rimette in gioco al Coca-Cola Future Legend, la music battle capitanata da illustri firme del panorama musicale italiano, quali Irama, Emis Killa, Annalisa e Charlie Charles. Durante la pandemia, Osso pubblica cinque singoli: “Tempesta Tropicale”, “Modalità Aereo”, “Dylan Dog”, “Souvenir” e “PCASDM”. Nell’estate del 2022, approda sui digital store “Habiba”, un’impeccabile commistione di lingue, suoni e culture che fonde il magnetismo arabo all’enfasi e alla passionalità tipicamente europee, riconfermando l’eclettismo della sua Arte e la trasversalità della sua penna....
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NedNack sceglie di nuovo le stelle: “23 Anni Star” è il suo nuovo
NedNack, il camaleontico cantautore umbro emblema di rinascita e rivalsa, torna su YouTube con “23 Anni Star”, il suo nuovo lascito di stile e innovazione che parte dalla strada per arrivare al cielo.
Esempio e idolo per moltissimi giovani alla ricerca del riscatto personale e professionale dai margini di una società in cui faticano ad identificarsi, l’artista perugino aggiunge nuova linfa al suo percorso musicale, mostrando al mondo come per mirare – e raggiungere – il firmamento illuminato dai propri sogni, occorra ripartire da se stessi, tornando alle origini, alle proprie radici: dall'olimpo della Torre Baglioni, simbolo storico di Torgiano (PG), suo paese natio, NedNack punta di nuovo alle stelle, ma questa volta dalla zona Excelsior, grazie al patrocinio del Comune e al supporto del Sindaco Eridiano Liberti, dell’Assessore al Turismo Elena Falaschi, della Protezione Civile e delle Forze dell’Ordine locali, che hanno reso possibile la realizzazione dell’iconico videoclip di accompagnamento alla release – diretto dall’attento occhio dello staff di I’m Noah Film Production -, bloccando, in via del tutto straordinaria, il centro storico di uno dei borghi più suggestivi d’Italia.
E così, la vivace e deliziosa cittadina, gemma medievale del Centro Italia e meta annuale di milioni di turisti provenienti da tutto il mondo, si trasforma in una piccola Las Vegas incorniciata dall’incanto del passato, in una commistione tra innovazione e storia che lascia senza fiato, per avvicinare e unire generazioni, gusti e costumi.
Tra le potenti e pittoresche auto da tuning dello Sballow&Vag centinaia di ragazzi e ragazze si sono riversati su Corso Vittorio Emanuele II, centro nevralgico di Torgiano, per sostenere il nuovo progetto di NedNack, che parte dal suo estro trasversale e dalla sua abilità comunicativa, fresca e rivoluzionaria, per fondere i trend musicali alla cultura e allo splendore storico-territoriale delle nostre città, miscelandoli in tutt’uno senza tempo, capace di avvolgere il cuore e sfiorare le corde dell’anima del pubblico di ogni fascia di età.
Con l’arguzia e la risolutezza che permeano ogni suo brano, il trapper che da “Vita” ha dato vita ad una rivoluzione generazionale, torna a dar voce alla Gen Z con il giusto di mix di liriche irriverenti e riflessive, delineando uno spaccato fortemente realistico dei nostri giovani, costantemente in bilico tra il bersagliamento sociale e mediatico ed il flusso delle loro coscienze, accompagnandoli, step by step, nella scalata di un successo individuale che non va generalizzato e non dev’essere giudicato e mostrando, a noi adulti, l’importanza del conceder loro fiducia per costruire un domani migliore....
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“Psycopratika” è la nuova hit elettro-pop di La Sofy, un inno all’Harley Quinn celata in ogni donna
Musica, amore e follia si intrecciano in “Psycopratika” (PuffRecords), il singolo d’esordio della poliedrica artista milanese di base a Madrid La Sofy.
Cantante, coreografa, ballerina professionista, fireperformer e insegnante di danza presso le più prestigiose accademie madrilene, La Sofy fonde il suo animo caleidoscopico e policromatico in un brano tutto da ballare, capace di smuovere gambe e cuore sin dall’attacco: un'Harley Quinn del nostro tempo, una giovane intraprendente e determinata che si libera dalle catene delle sofferenze amorose e dei cliché secondo i quali la donna continua a rappresentare il sesso debole a tuttotondo.
Scardinando stereotipi e luoghi comuni, “Psycopratika”, magistralmente prodotta dal sapiente tocco di OzzO, è un frizzante switch musicale di prospettiva, che rivoluziona l’immagine del gentil sesso, avvalorandola di tenacia e risolutezza e trasformando, ironicamente, il “predatore” in “preda”.
«Stanca di essere superiore, ho voglia di essere la peggiore», «Sento qualcosa che da dentro mi agita, una scossa che mi riempie e mi carica»; liriche che si susseguono per dar vita ad un coloratissimo patchwork di uno humor in bilico tra sarcasmo, delusione e desiderio di rivalsa, una rivincita personale che converte con finezza ed arguzia il rancore verso chi ci ha feriti nella miglior vendetta, quella di vivere una vita al di sopra della dipendenza emotiva.
I torti subìti diventano così la benzina di una rivoluzione interiore, la miccia da cui far scaturire la brillante fiamma della realizzazione di un sé autonomo e indipendente, completamente svincolato dall’asservimento all’influenza opportunista e doppiogiochista dell’altro - «dall’essere di plastica son diventata magica, ora ti ho fatto sparire» -, che a poco poco assume le sembianze di un lontano ricordo, a cui accedere, tra le pareti del cuore, solo per rinvigorirsi di fierezza e orgoglio per la decisione intrapresa - «son sempre stata qua, ma adesso non mi va» -.
Un pezzo a primo impatto leggero e divertente, ma ricco di significative connotazioni; un invito, un appello, a tutte le donne a non piegarsi alle brusche alterazioni dei battiti del cuore, ma ad attingere ad esse per riscoprirsi, rinnovarsi ed amarsi nella propria meravigliosa complessità.
Con un’intensità vocale e una cifra stilistica iconiche e fortemente caratterizzanti, La Sofy è il nuovo volto dell’elettro-pop italiano, una voce fuori dal coro che non ha bisogno di chiedere il permesso per farsi ascoltare.
Biografia.
La Sofy, al secolo Sofia Brambilla, è una cantautrice, ballerina professionista, insegnante di danza, coreografa, fireperformer ed aerialhoop contemporary performer milanese diplomata all’Accademia Professionale Italiana di Danza Spid Dance Academy. Inizia a cantare alla tenera età di 8 anni e cresce ascoltando musica spaziando dal glam rock al soul: Queen, Aretha Franklin, Etta James, David Bowie, Pink Floyd, Celine Dion e Bruce Springsteen. In adolescenza, si avvicina molto al PunkRock, ai tatuaggi e ai piercing, lasciando raccontare la sua età ai brani dei Blink182, Sum41, Nofx, Papa Roach ed Avril Lavigne. Con il passare degli anni, si innamora di molti stili e generi legati anche alla danza, approcciandosi al pop, pop-rock, dance, hiphop, r&b e al mondo dei ” Musical”, oltre che all’arte del performing a 360 gradi, variando tra cantante-attrice-ballerina. I suoi motti? “Avere cultura musicale è la base della vita” e “Il mio carattere me l’ha formato la mia musica”. A 20 anni viene letteralmente folgorata dal fenomeno Lady Gaga, prendendola come musa ispiratrice sia a livello artistico che come modello di vita. Questo nuovo mood e lifestyle faranno si che Sofia inizi a vivere la propria vita con il giusto mix e compromesso tra tutti gli stili musicali che imparerà ad apprezzare e fare propri. Lei stessa dichiara: “Lady Gaga è tutto: arte, rock, pop, broadway, è l’ispirazione che ci insegna che sul palco possiamo essere chi e ciò che vogliamo essere. La mia legge di vita è Born this Way”. Dal 2017 vive in Spagna, nella città di Madrid, dove è stata insegnante presso la prestigiosa accademia di formazione per ballerini e performer Centro el Horno. É stata ballerina per il corpo di ballo del cantante madrileno Adris Rubio in videoclip e live performance. Nel 2018 è parte del corpo di ballo Madrid World Pride. Nel 2017 ha dato vita ad un progetto lyrical contemporary e graham tecnique, in cui realizza lo spettacolo US, utilizzando suoni elettronici, rock con il contrasto di movimenti morbidi e lirici. È stata assistente del coreografo e ballerino del teatro Real di Madrid Victor Ramos. Dal 2016 è direttrice artistica e coreografa per l'agenzia di eventi Jolly Animation. Nel 2022 dà il via alla sua avventura “Pro” come cantante, facendo siglare una produzione pop-dance dal maestro oZZo, un vero e proprio portento per quanto riguarda la produzione e la visione musicale. Camaleontico, ma con la sua impronta, capace di dare dinamicità ed esplosività al brano “Psycopratika”, prima release ufficiale di La Sofy, uscita a Giugno 2022 per la label meneghina PuffRecords, che racconta una turbolenta storia d’amore finita male, di una vera e propria Harley Quinn dei tempi moderni che si ribella alle lacrime e alla sofferenza amorosa facendo del proprio “predatore” la propria “preda”....
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Etto, la voce più rappresentativa dell’urban-pop italiano, torna con “Bouquet”, il suo primo album
Reduce dall’incredibile successo dei singoli “Quando mamma non c’è” e “Traffico”, Etto, la voce più iconica e rappresentativa della new wave urban-pop italiana, torna nei digital store con “Bouquet” (distr. Believe Digital), il suo primo progetto full length.
Il disco, emblema della poliedricità e della trasversalità del suo autore, è un concentrato di istinti, un arcobaleno, un rigoglioso giardino di essenze, profumi e pulsioni, in grado di esprimere e rappresentare la labilità, l’accezione volatile, quasi evanescente, delle emozioni umane.
Dodici tracce, unite dal fil rouge del sentire, fine e suggestivo, dell’artista di origini siciliane e della sua vocalità elegante e avvolgente, capace di fondere il linguaggio street ad un immaginario fortemente pop e di impreziosirlo in una raffinatissima cornice R’n’B, per una commistione di suoni, liriche e battiti che sfiora e accarezza l’anima dall’opening all’epilogo; un’aura delicata in grado di inebriare i sensi e di abbracciare l’ascoltatore con quell’armonia e quel benessere che scaturiscono unicamente dal confronto sincero e diretto con se stessi.
“Bouquet”, un mazzo di fiori che simboleggia l’eclettismo e la policromia di ogni individuo, la dicotomia tra bene e male incisa sulla medaglia del cuore, un’ambivalenza che Etto traduce in musica per svuotare il bagaglio della negatività sulle ali leggere ma indistruttibili delle note che accompagnano il fluire dei suoi pensieri e per raccontare, per raccontarsi, trasformando le “Lacrime” di un “Cuore Spento” in un dipinto di “Monet”, capace di portare ciascuno di noi a porsi delle domande, anche quando si vorrebbe solo fuggire dalla propria presenza e, tra un “Cosa vuoi da me”? e un “Dove Vai”?, riscoprirsi, per stare bene con se stessi, con quel “Da solo” in qualsiasi contesto e situazione, nel "Traffico” o tra le "Nuvole”, fino ad arrivare ad amarsi per amare, a bastarsi per poter dire “Cercami” prima e “Non ti basto mai” poi, a chi arricchisce e avvalora una completezza individuale già ritrovata; per sentirsi finalmente, anche a costo di essere additati come “Matti”, autentici e veri, semplicemente “Perfetti insieme”.
«”Bouquet” – dichiara l’artista - è la parola ideale per esprimere ciò che ho da dire. È un insieme di odori, profumi o fiori, in grado di comunicare la volatilità delle emozioni. Noi esseri umani siamo capaci di passare da un’emozione all'altra, in una giornata, in un istante, o premendo play sulla prossima canzone. Per questo ho scelto brani che potessero rappresentare gli aromi più vari e contrastanti dell'animo. L'amore amaro, la triste allegria e la spenta passione che fanno parte delle nostre vite e delle relazioni con le persone. L'idea del disco è nata nel 2018 e, nel corso di questi anni, sono contento di non essermi precipitato a completarlo e pubblicarlo, perché credo di essere maturato parecchio sotto diversi aspetti, soprattutto per quanto riguarda la scrittura e la comunicabilità di ciò che sento e provo nel modo più semplice ed efficace. Come per molti, anche la mia vita è stata parecchio complicata. Mi sono rifugiato nell'alcol e nel divertimento per tanto tempo pur di non aprire gli occhi sulla realtà, su quanto stessi quotidianamente anestetizzando il mio cuore, su quanto stessi, lentamente, morendo dentro. La separazione dei genitori, la rottura di una relazione che non credevo potesse ferirmi così tanto e frustrazioni e stati d'ansia che ne conseguono, si sono avvicendati in un anno che per me è stato davvero terribile. Tutto quello che avevo e che mi rendeva felice, si è frantumato in un secondo, sotto ai miei occhi e dentro ogni mio respiro. L'impatto è stato così devastante che quasi non mi rendevo conto di essere vivo; mi ero chiuso in me stesso, creando una sorta di barriera protettiva. Quando si sta male si è fragili e spesso si è portati a rivivere tutti gli episodi più spiacevoli; una dimensione interiore da cui si vorrebbe fuggire, ma che è, pur sempre, un luogo sicuro. Da allora, è solo con la musica che sono riuscito a convivere, senza mettere le mani avanti, ma arrivando a stare, realmente, in pace con me stesso e con il passato. “Bouquet” è per tutti coloro che stanno passando, o hanno passato, un percorso tortuoso, per dire, o ricordare loro, che sono le stesse emozioni, anche quando ci fanno soffrire, la chiave per rinascere».
L'intero album, scritto e prodotto dallo stesso Etto, sotto la direzione artistica di Andrea Dellavedova – che si è occupato anche della realizzazione degli scatti e delle grafiche che accompagnano la release - con Giulio Baiunco e anticipato dai mini EP “Happiness” e “Madness”- contenenti i singoli “Traffico”, “Nuvole”, “Cosa vuoi da me”, “Matti” e “Da solo” -, vede la partecipazione di Dema e di Alessandro Gemelli nel brano "Dove vai", i featuring di Bianca (“Perfetti Insieme”), Staramama (“Non ti basto mai”) e Orlvndo (“Dove Vai”) e la collaborazione, sul fronte autorale, di Stefano Santoro, Vigan Mehmedi e Giorgia Sudati.
A seguire, tracklist e Track by Track dell’EP:
“Bouquet” – Tracklist:
Cercami
Monet
Cuore Spento
Nuvole
Perfetti Insieme (feat. Bianca)
Cosa vuoi da me
Traffico
Matti
Non ti basto mai (feat. Staramama)
Da Solo
Lacrime
Dove Vai (feat. Orlvndo)
“Bouquet” – Il disco raccontato dall’artista:
“Cercami” è un brano pop, con vibes e sfumature chill, caratterizzato da synth e batterie R’n’B. L'opera nasce dopo la rottura con la ragazza che amavo e, al suo interno, vengono utilizzate diverse figure retoriche, dalle quali si comprende quanto ancora il mio cuore, ai tempi, cercasse speranze e il mio animo non smettesse di lottare di fronte alle difficoltà sentimentali. L'immagine dei binari e del passaggio del treno, rappresentano la rottura e la fine di tutto, mentre, la stanza, simboleggia il gesto di chiusura in me stesso, che rimango prigioniero dei ricordi.
"Monet" è un pezzo estivo, in cui paragono l'estetica della persona amata allo stile impressionista del pittore francese. Ciò che resta di qualcuno che ci ha lasciati, è solo un vago ricordo, una memoria del cuore che spesso vorremmo recuperare, riavere, rivivere. Le strade di due persone che si sono amate si possono dividere, tuttavia, ciò che più preme, è poter riassaporare quello che è andato perduto. Il ricordo di una relazione può fare male e il pensiero dell'altro non fa altro che farci soffrire. È come aver perso qualcosa che non può tornare; un momento che svicola via, come un quadro impressionista.
“Cuore Spento” racconta di alti e bassi, come la forma d'onda di questa canzone, perché è così che va la vita. La vera forza sta nel non abbattersi, nel trovare sempre una soluzione senza mai scendere a compromessi. Belli i ricordi, meno le debolezze che nascondono; un innegabile tallone d'Achille. Ma le fragilità vanno trasformate in punti di forza: il mio è la musica, l'unico modo che conosco per esprimermi senza inciampare lungo il tragitto.
"Nuvole" si caratterizza di batterie Urban/R&B; nel brano racconto di come sia facile vivere al settimo cielo quando si ha la testa tra le nuvole, quando ci si ritrova in un mondo che si sente completamente proprio, oltre la realtà effettiva, sentendosi vivi per davvero. Per me, viaggiare è come scrivere, un momento in cui dico "basta" a ciò che mi affligge e mi affolla i pensieri di negative vibes; mi permette di liberarmi dagli schemi e, libero, di tornare ad apprezzare le piccole cose. È una traccia leggera e spontanea, come un possibile amore, che ormai si perde tra le molecole di un universo in bilico.
“Perfetti Insieme” (feat. Bianca): dubito esista la persona perfetta per ognuno di noi, spesso ci troviamo a stare davvero bene con qualcuno che non rientra affatto nei nostri canoni, nei nostri ideali e, davvero male, con chi credevamo fosse la nostra anima gemella. Alcune persone ci lasciano depositando gran parte della loro anima nella nostra, non andando mai via fino alla fine. Alcune persone non sono fatte per stare con noi, ma capita, quando le incontriamo, che ci spingano a sperare che le cose possano cambiare, affinché si leghino a noi e viceversa. Per sempre.
“Cosa vuoi da me” è una canzone che racconta di quando ci imbattiamo in discussioni generate da quel tipo di persone alle quali non importa nulla della nostra opinione. Hanno ragione loro, non importa cosa noi possiamo fare o dire. Ecco, quelle persone, hanno un posto riservato nel cerchio mai citato da Dante nell'Inferno, il cerchio dei bigotti. Non è facile aver a che fare con loro; il trucco sta nel fingere di annuire, mentre si pensa ad una scusa valida per sbarazzarsene il prima possibile.
In "Traffico", magistralmente accompagnato dai riff di chitarra di Giorgia Sudati, sviluppo la metafora tra il traffico della città e la mia mente, ricolma di disordine, un po' come la camera in cui scrivo i miei testi, "un mondo di cose". Dentro di me c’è un continuo e perenne via vai di pensieri, pensieri che attraversano i vicoli più stretti e bui nel girone dei miei ricordi, dei miei desideri. Nello storytelling del pezzo, però, mi accorgo in fretta che l'arrivo della figura femminile si impone intensamente nella mia mente, facendosi spazio con prepotenza e divorando tutto il resto.
“Matti” è il mio inno sull’amore a tutti coloro che si sentono diversi e costantemente fuori luogo. Sensazioni destabilizzanti, che dobbiamo imparare a sovvertire, perché le nostre peculiarità, sono ciò che ci rende unici. Io, ho trovato la chiave per uscire da questa situazione in una ragazza, "matta" quanto me, che mi ha aiutato a capire chi sono veramente, uscendo dagli schemi. Il brano è accompagnato dal videoclip ufficiale, diretto da Sofia Giampaolo (
)
“Non ti basto mai” (feat. Staramama): gestire le relazioni umane, credo sia una delle cose più impegnative al mondo. Riconoscere di essere nati in una realtà che non ci rappresenta, lo è ancor di più. Aver il coraggio di andar via e mollare le abitudini di sempre, le amicizie e i vecchi amori, non è per niente facile. Il passo più importante, è sempre il primo, qualunque scelta si sia intrapresa. Sarebbe meglio agire d'istinto piuttosto che perdersi in ore di riflessioni che si trasformano in paura. È l'unico modo per tenere a bada i nostri demoni interiori e mantenere la tregua.
"Da solo" è un brano pop R’n’B, con richiami urban-trap. Si tratta di uno sfogo in una "triste giornata noiosa". È un nero su bianco sul sentirsi poco apprezzati e sull'assenza di riconoscimento per gli sforzi di una vita, trascorsa con l'irrefrenabile voglia di conoscere e imparare sempre qualcosa di nuovo. Sono fiero di essere stato capace di reagire per ottenere qualsiasi cosa desiderassi, senza l'aiuto di nessuno e, per questo motivo, tramite il brano, ho deciso di farlo sapere a chiunque avesse poca fiducia in me, anche come invito a tutti coloro che pensano di non potercela fare a rialzarsi e continuare ad inseguire i loro sogni.
Ci rendiamo conto della reale importanza di una persona soltanto dopo averla persa, nulla di più vero. “Lacrime” parla di questo. È assurdo come l'allontanarsi ci avvicini ogni giorno di più a qualcuno, in qualche modo. Questa cosa mi tormenta al punto da desiderare una vita senza paranoie, che significherebbe non pensare, il che non è possibile, finché mente non ci separi e vissero tutti felici e con la testa vuota e bla bla bla: un'altra paranoia. Non mi rimane che alzarmi dal letto anche oggi, alzare lo sguardo al cielo, fingere il solito sorriso al sole e aspettare che si presenti nuovamente la luna per trascorrere un'altra notte alla ricerca di risposte.
“Dove Vai” feat. Orlvndo: Io non so se, adesso che non stiamo insieme, stai bene, magari pure meglio. È chiaro che non avere risposta mi stuzzica parecchio, ogni giorno, anche soltanto un minuto. Di una cosa però sono certo: ovunque tu vada, qualsiasi cosa tu faccia, con chiunque tu sia, avrai sempre un ricordo di me che custodisci dal giorno in cui ci siamo conosciuti. Dove credi di andare?
Biografia.
Etto, all'anagrafe Ettore Vincenzo Baiunco, è un cantautore e compositore pop classe 1995, di origini siciliane. Inizia il suo percorso musicale a Milano, come DJ e produttore, ottenendo, grazie alle sue ritmiche fresche e innovative, grande successo nella metropoli, fino ad arrivare a collezionare date in tutto il mondo, con apice la programmazione di una tournée nelle più prestigiose location asiatiche. Sotto i riflettori e agli occhi delle più grandi realtà della scena Dance, rientra in Italia e comincia a produrre remix ufficiali ad artisti di alto calibro, come Mr. Probz, PVRIS e Klingande. Nel 2018, dà il via al suo percorso nel mercato urban/pop nazionale, rilasciando il brano "Vieni con me", seguito da "Quando mamma non c'è", "Cercami", "Monet" e "Traffico", sino ad arrivare all'EP "Madness", contenente i due singoli di grande successo "Da solo" e "Matti" e al suo primo progetto full length, “Bouquet”.
Anteporre se stessi alle proprie maschere, a tutti quei filtri e quelle convenzioni che indossiamo quotidianamente come abiti ben disposti nell’armadio delle apparenze – e delle difese da esse - per mostrarci diversi, altro da ciò che siamo, allo sguardo del mondo, ma soprattutto al nostro, il più crudele e indagatore, abituandoci così ad interpretare ruoli, copioni e vesti che non ci rappresentano e ci distanziano sempre di più dal nostro vero nucleo, dalla nostra reale natura.
Questo è ciò che Lara Serrano, intensa e brillante cantautrice genovese, racconta in “Follia”, il suo nuovo singolo disponibile in tutti i digital store.
Reduce dal successo delle sue precedenti release - dall’emozionante esordio con “Vinti” (2020) al romanticismo in bilico tra malinconia e speranza di “Guai” (2020) e il desiderio di rivalsa intrecciato al fuoco dei sogni espresso in “Roma Miami” (2021) -, la raffinata artista classe 1998 torna con un brano capace di rivelare una profonda maturità personale, una consapevolezza interiore che, unita alla sensibilità e alla finezza evocativa della sua penna, rende in musica emozioni e sentimenti per troppo tempo repressi e rinchiusi nello scrigno del cuore, sollevando, step by step, quello che Arthur Schopenhauer ha definito il “Velo di Maya”, l’illusione che ci impedisce di scorgere e percepire la Verità, per connetterci alla nostra più autentica essenza.
Una suggestiva e coinvolgente sintesi delle pagine del proprio passato, dei contrasti con se stessi verso la costruzione di un’identità e di un carisma forgiati con la forza scaturita dalle fragilità - «Ho sempre un'alba in tasca perché ho paura del buio e una manciata di freddo quando fuori sarà Luglio» -, uno sguardo onesto e consapevole sul presente, che, privo di ogni forma di giudizio, osserva senza colpevolizzare l’occhio da cui nasce, cogliendo sfumature, scenari e cromie che si susseguono per comporre l’articolato e straordinario mosaico della nostra vita.
Dal dolore straziante per la perdita terrena di un faro guida del proprio cammino - «nel buio dei 15 anni, tra le regole e i danni, nel fior fiore dei miei affanni, per la perdita di Fanny» - a quello necessario e universalmente condiviso del percorso di crescita personale - «ho paura di guardarmi dentro, ho paura sia vuoto» -, Lara ripercorre il suo vissuto fino al momento attuale, in un incalzante avvicendarsi di istanti che corrono veloci ma lasciano nell’anima il sapore dell’eterno, trasformando «un cuore di plastica» dalle «emozioni sottovuoto» in un «asso nella manica» capace di liberarsi dal «peso lancinante di mattoni che non costruiscono niente», per rinascere, oltre al dolore, oltre la “Follia” che, giorno dopo giorno, attraverso la conoscenza di sé, smette di identificarsi con i sentimenti che ci compongono, quell’«abbraccio intorno al collo che continua a stringere», arrivando a comprendere che l’unica vera follia è quella di vivere a metà - «non scambio oro con il rame» -.
Una pagina del diario emozionale di Lara, che, come lei stessa spiega, è destinata al bimbo che ognuno di noi si porta dentro:
«”Follia” è nata sul tetto di un residence pugliese, in un periodo in cui lo stress e i ricordi erano all’ordine del giorno. È un riassunto della mia adolescenza, di quel bagaglio emotivo che ha contribuito a formare la persona che sono oggi. Si evince il dolore per la perdita di mia nonna, che è sempre stata “casa” e la paura di non trovare un sorriso di riserva nei periodi più bui. È una canzone completamente autobiografica, la cui destinataria è la me bambina, il lato delicato, impaurito e meravigliosamente fragile che vive dentro ciascuno di noi. La musica, per me, è sempre stato uno strumento di autoanalisi, di sfogo e questo pezzo ne è la prova».
Prodotto da Emanuele Sciarra, che ha cucito su un testo di rara bellezza una veste sonora dinamica e fresca, con netti richiami all’immaginario pop di fine anni ’90, “Follia” è il lascito in note al nostro Io bambino, una carezza sulle cicatrici dell’anima che ricorda a ciascuno di noi quanto la “Follia” stia nel rinnegarle perché, l’unico modo per liberarsi dalla sofferenza non è evitare che si ripresenti, precludendosi così la possibilità di vivere pienamente anche le emozioni positive, né disconoscerla; bensì accettarla come parte integrante, imprescindibile e spesso funzionale, nella ricerca di ciò che siamo davvero.
Dopo un’incredibile serie di release di successo, sfociata nelle oltre 10 milioni di views su YouTube e nell’iconico videoclip di “Barbie” - con protagonista la splendida Carlotta D’Este -, Rayan Seventeen17 torna nei digital store con “Beauty”, il suo nuovo singolo.
Il brano, scritto dallo stesso artista romagnolo e prodotto da Paolo Paone, è una dedica d’amore a cuore aperto posata sull’intreccio armonico tra il bianco e nero dei tasti di un pianoforte e l’incalzare di un beat delicato e avvolgente, meravigliosa analogia tra i ricordi che attraversano i pensieri dell’autore - «non mi basti più dentro i pensieri» - e lo scandire, il sussulto ritmato del suo cuore, sospeso tra malinconia, passione e dubbi- «cerco il motivo del perché il mio cuore non si illumina» -.
In un sorprendente susseguirsi di rimpianti e desideri, il testo mette in luce un’autentica e profonda analisi di se stessi, scandagliando senza maschere né orgoglio ogni vibes che pervade e permea la dimensione emozionale di un sentire che si interroga, ponendosi quesiti e trovando sempre e solo un’unica risposta, la vivida speranza di un riavvicinamento con colei che, nonostante lo scorrere del tempo - «ti cerco da mesi» -, resta e vive «più sotto, nell’anima».
«”Beauty” è il terzo inedito del mio secondo album in lavorazione, il sequel di “Baby” e “Barbie”. Tutti e tre i pezzi, sono dedicati alla stessa persona. “Beauty” parla di quella volta che “fumavamo coockies”, di quando l’ho rivista ad un party e l’ho riaccompagnata a casa. Insieme a “Barbie”, è il brano a cui tengo di più, perché le storie che racconto sono in perfetto sync con quello che sto vivendo in questo momento».
Una forma canzone che dona forma a ciò che a volte le parole non sanno e non possono descrivere, profilando sogni, sentimenti e quelle falle, quei vuoti interiori, che come e vere e proprie crepe nella parte più intima di noi, interrompono il fluire naturale e disinvolto di ciò che siamo, imponendoci di riflettere, di fare i conti con tutte quelle fragilità - «solo come sopra i Go-Kart» - e quelle ferite - «nel torace ho cicatrici delle bitches» - che spesso ci portano ad agire in netto contrasto con la nostra vera essenza - «ho tutte le donne mio hermano, tranne quella che amo» -, per la paura di essere giudicati - «se una parte di me va in pezzi, non mostro quel lato» -, da chi ci circonda, ma soprattutto, da noi stessi.
Uno spaccato autobiografico, indirizzato, come le due precedenti release, alla stessa musa ispiratrice – accompagnato dal videoclip ufficiale, diretto dall’eleganza figurativa di Marco Cobianhci - reso identificativo ed emblematico grazie alla sensibilità e alla finezza compositiva di Rayan Seventeen17, supportato dalla sua capacità di trascendere dalla mera narrazione personale, per abbracciare l’universalità delle emozioni umane....
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Ci sono brani che emozionano sin dal primo ascolto, canzoni in grado di raccontare ciò che la parola non può esprimere perché consapevoli dell’ineffabilità dei sentimenti e delle emozioni.
Uno di questi è senza dubbio “Tra le righe” (PaKo Music Records/Visory Records/Believe Digital), il nuovo singolo dei Tes che, dopo il successo ottenuto con “Berlino” – release con cui si sono aggiudicati il terzo posto alla nona edizione del prestigioso Premio Lucio Dalla - tornano mostrando al pubblico la pluralità della loro Arte, dipingendo, in meno di quattro minuti, gli antipodi cromatici delle relazioni.
Scritto e composto dalla sensibilità narrativa di Andrea Ciaramella e Riccardo Micheletto, “Tra le righe” è un encomio alla donna e all’amore per essa, una straordinaria celebrazione in musica della figura femminile e dell’autentico trasporto, insito nell’equilibrio tra passione e dolcezza, che connatura e corrobora le relazioni di coppia, ma rappresenta al contempo la difficoltà nel gestire quei piccoli e grandi dubbi che di tanto in tanto bussano alla porta del cuore, facendo vacillare, anche solo per un istante, tutte quelle certezze intrinseche costruite con impegno, fiducia e rispetto nel corso del tempo.
Attraverso una serie di iconiche raffigurazioni - «col tuo vestito di foglie che bella sei»; «sotto il tuo divano tutte le mie grida» -, constatazioni «quando stai con me mi sento bene»; «il tempo sul tuo letto non ha ore» - ed esitazioni disturbanti - «maledetta libertà che mi fai sbagliare»; «mi domando se è vero tutto quello che provo» -, la band lodigiana mette in luce da una parte l’immaginario incantato e poetico a cui tipicamente attingono coloro che amano, dall’altra, la natura titubante, libera, e a volte dissoluta, dell’essere umano.
Un elogio all'universo femminile intrecciato all’esposizione di situazioni repentine; di quegli attimi fugaci, ma al tempo stesso lunghissimi, che conducono a porsi domande, fulminee riserve che evidenziano, come la stessa band dichiara:
«Le sbandate personali che a volte bastano per sgretolare le piccole sicurezze costruite nel tempo con fatica, sentimento e pazienza».
Ed aggiunge:
«Come scrisse Pierre-Auguste Renoir: "Se si potesse spiegare un quadro, non sarebbe più un'opera d'arte" e la stessa cosa, vale per l’amore».
Interrogativi ardui ma emblematici, volti a comprendere l’autenticità del proprio sentire, avvolti nel pezzo da una produzione ritmata e coinvolgente – curata da Filippo Ferrari -, capace di avvalorare l’intensità del testo e di accompagnarci, mano nella mano, in un faccia a faccia con noi stessi, attraverso un’analisi, attenta e minuziosa, delle nostre emozioni più profonde, quelle che a volte celiamo per il timore della loro stessa esistenza, ma che, “tra le righe”, continuano a farsi strada nella nostra anima.
Il brano è accompagnato dal videoclip ufficiale, diretto da Tihana Jana Vukic nella suggestiva cornice del Teatro alle Vigne che, con il patrocinio del Comune di Lodi, riflette in un’emozionante sequenza di frame in bianco e nero, l’atmosfera intimista e malinconica del progetto.
Originali, diretti e caleidoscopici, dotati di una notevole capacità comunicativa e di una presenza scenica unica e frizzante, i Tes si riconfermano come una delle migliori proposte della scena indie-pop italiana.
Dopo aver collezionato oltre 20 milioni di streams, la finale al talent show spagnolo “Aim2Fame” e una gavetta ricchissima di successi che l’hanno visto scalare la Top 50 francese e la Viral 50 in svariati Paesi del mondo, nonché collaborare con illustri firme internazionali – come Jason Woods (già per Beyoncé), Norelle (Rihanna e Alicia Keys), Chris Grant ( dancer of ballerino Michael Jackson) e Jono Hart (creative director of Jason Derulo), il cantautore siciliano dall’animo cosmopolita Marphil, torna nei digital store con “Trend”, il suo nuovo singolo.
Il brano, nato spontaneamente durante una video call tra il brillante artista di “Lie To Me” ed i celebri producer Jr Stit (Bergamo – Kaz Benson, David Hugo, Jodie Jermaine, Sara Sannfelt e molti altri) e Sam Smyers (L.A. – Licened to Netflix, già per Hayley Kiyoko, Dennis Fernando, Kyan Palmer e The Wanted tra i tanti), è un manifesto musicale di ritmo e sentimenti, un paradigma a cui attingere per rovesciare la convinzione contemporanea che tutto ciò che è in tendenza in un determinato periodo storico, in una specifica epoca sociale o personale, debba necessariamente decadere, sfiorire e tramontare di pari passo con lo scorrere delle lancette verso un futuro in cui pare inevitabile farsi travolgere dall’avvento di nuove usanze, costumi e consuetudini.
“Trend”, come un inno all’autodeterminazione, alla consapevolezza interiore, meravigliosamente diversa per ciascuno di noi, funge da antidoto all’ideologia moderna consumistica, volubile e camaleontica, ponendosi in netta antitesi al suo stesso titolo, per connettere l’ascoltatore ai propri desideri, a quelle inclinazioni soggettive che, nonostante lo scorrere del tempo, rimangono incastonate nel cuore, corroborando anima, mente e sogni, di nuova linfa.
La tendenza di vivere in controtendenza; questo è il focus di un pezzo che, attraverso sonorità attualissime, leggere e trascinanti, consente una totale immersione in un universo a sé stante, quel mondo completamente dissociato da ciò che ci circonda e tangibile solo dalle nostre stesse mani, percepibile unicamente dai nostri stessi sensi, configurato nella presa di consapevolezza che il vero “Trend” non è ciò che ci viene suggerito, a volte imposto, dall’esterno, ma, al contrario, l’ensamble di tutto quello che, naturalmente e senza motivi definibili e decifrabili a parole, sentiamo l’esigenza di seguire, raggiungere e vivere - «sei entrata come un vortice nel mio solito weekend» -.
Articolata sull’analogia con l’entusiasmo scaturito dalla nascita di un sentimento d’amore, inaspettato e trascinante, la release si pone un ulteriore obiettivo, quello di far riflettere sulle “red flags”, l’insieme di segnali e avvisaglie che, all’interno di una relazione – con l’altro, ma soprattutto con noi stessi -, spesso sottovalutiamo per inerzia o per timore, e che alla fine sfociano in una dimensione di coppia tossica, nociva e venefica, che ci fa perdere di vista gli obiettivi prefissati dalla parte più genuina e vera di noi, per rincorrere un modello che non ci appartiene.
Da una relazione sentimentale all’amicizia, sfiorando prima ed entrando nel profondo poi nella sfera delle passioni, delle attitudini e delle inclinazioni personali, “Trend” è un vivacissimo viaggio in tutto ciò che permane – e divampa con il medesimo ardore – all’interno della nostra quotidianità, un percorso a tappe ove ogni sosta non è una pausa né una resa, bensì un pit-stop in cui rifornirsi di tutto ciò che ognuno di noi, per se stesso, ritiene essenziale.
Analizzando la destabilizzazione iniziale causata dal senso di disorientamento e dal totale distacco dalla realtà circostante - «la testa è un po’ in disordine, da quando è arrivato questo nuovo trend» -, Marphil ci invita a liberarci da ogni timore, inseguendo e perseguendo ciò che, nonostante la repentinità con cui ha travolto la nostra routine, ci ha riportato un battito saturo di vita, facendoci sentire bene - «non cerco nuovi guai, ma con te sono appeso a un filo. Mentre mi parli un po’ di te, vedo in te un Monet» -, irrorandolo con fiducia, impegno, volontà e dedizione - «Tu non sei il solito trend, ogni momento è da curare come fosse il primo» -.
«In un mondo consumistico come il nostro – dichiara l’artista -, “Trend” vuole dimostrare che l’euforia data dall’inizio di un qualcosa di nuovo - un amore, una passione, un’amicizia -, può persistere nel tempo e non dobbiamo obbligatoriamente ritrovarci a cambiare subito direzione. Come per le passioni, gli amori e le amicizie, la concezione di “Trend” viene totalmente invertita nel brano, pensandola non come “la solita moda”, ma un qualcosa di duraturo nel tempo che, con il giusto impegno e la giusta voglia, è possibile ottenere».
“Trend” evidenzia non soltanto la sensibilità autorale di Marphil, ma anche la sua capacità di traslare in immagini semplici e fruibili, vicine all’esperienza personale di ciascuno di noi, per veicolare e trasmettere messaggi di grande rilevanza, riconfermandolo come uno dei migliori esponenti di un Pop/R&B che non si identifica, perché trova la sua identità nell’individualità di ciascun ascoltatore....
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A distanza di dieci anni dalla prima pubblicazione, “Playrames”, l’iconico progetto full length dell’incisivo rapper piemontese Rames, approda sui digital store in una nuova veste, impreziosita da illustri collaborazioni, una traccia inedita ed un’evoluzione sonora che tempra e permea di contemporaneità la profondità di testi senza tempo.
“Playrames Deluxe”, questo il titolo scelto per la rivisitazione del disco, è il frutto di un intenso lavoro che ha coadiuvato a barre graffianti, punchlines irriverenti e metriche vibranti, una dimensione sonora fresca e frizzante; la miscela perfetta tra l’indimenticabile e indimenticato Old School italiano dei primi ’90, l’impetuoso dinamismo dell’Hip Hop da dancefloor e la levatura autorale di una penna attenta, minuziosa e versatile, capace di scalfire la propria impronta su un arcobaleno di pattern e beat differenti.
Passato, presente e futuro si uniscono in un una serie di ritratti musicali che porta in essere la galleria sonora della vita, in cui trovano spazio ironia, introspezione, critica sociale, speranza, sentimenti, emozioni e riflessioni.
Senza rinnegare o sementire le proprie origini artistiche, Rames magnetizza il pubblico con la sua incredibile capacità di coinvolgimento, il suo carisma spumeggiante ed un’abilità straordinaria nel convertire all’oggi immaginari simbolo degli anni ’80-’90, a partire dall’intro - prodotta dallo stesso Rames in sinergia con l’estro creativo del celebre producer bergamasco Syler Beat (già per Vacca, Vegas Jones, Jamil e molti altri) -, affidata al pungente comico e imitatore romano Victor Quadrelli che, ispirato dai suoi predecessori e dai loro storici tormentoni - dal “Com’è umano lei” di Paolo Villaggio alle numerose esclamazioni classiche italiane di Christian De Sica e Massimo Boldi -, racchiude sin dall’overture l’accezione anticonvenzionale dell’intero album.
Le altre 7 tracce dell’opera, sono state prodotte, mixate e masterizzate da Matteo “UncleMatt” D’Alessandro presso lo Studio 2 del The Cave Studio di Catania, un vero e proprio eldorado della musica alternativa italiana.
Richiami motown sapientemente resi da strumenti di produzione tecnologicamente avanzati, sono la colonna portante di un lavoro unico e originale, che mette in luce la duttilità di un artista completo, in grado di giungere con immediatezza e originalità ad un target di ascoltatori variegato e distinto, unito dal file rouge dell’amore per la doppia H made in Italy.
A seguire, la tracklist di “Playrames Deluxe”:
Intro - Playrames
Mi piace che mi guardi
Mix Rames
Non lo so cos’è che c’è
La vita astratta
Mix radio
Bonus Track
Outro...
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"Immagini Dal Mondo" è il nuovo singolo di Andrea Rana
Tra le molteplici accezioni intrinseche alla Musica, vi è sicuramente quella di donare eternità alla fugacità dell’esistenza umana, rendendo inestinguibili esperienze, sentimenti ed emozioni che congiunti ad Essa valicano la transitorietà dell’attimo, per abbracciare il perenne. Caratteristica, questa, che unita al nutrimento dell’anima offerto dai sogni, consente all’uomo di alleggerirsi dal fardello della caducità del proprio percorso terreno.
Un tarlo molesto e costante che lo conduce spesso a rifugiarsi nei ricordi, utilizzandoli come unico appiglio nell’oceano delle incertezze su se stessi e sul futuro e che il brillante cantautore lodigiano Andrea Rana ha scelto di raccontare nel suo come back alle origini “Immagini Dal Mondo” (ediz. Materiali Musicali) disponibile in due versioni - dalla matrice melodica completamente differente -, italiana (ascolta qui) ed ispanica (ascolta qui).
Il brano, scritto e prodotto dallo stesso artista e arrangiato da Max Mungari, è un vero e proprio ritorno alle origini musicali di Andrea Rana, che dopo aver dimostrato eclettismo e minuzia autorale sperimentando sonorità e stili differenti, si avvale del suo carisma, della sua esperienza e della sua attitudine dirompente per regalare al pubblico un concentrato di rock, desideri e nostalgia, impreziosito dall’unicità della sua voce.
Composto, interpretato e realizzato anche in lingua spagnola, sotto il titolo “Ímagenes Desde el Mundo”, il pezzo rappresenta la chiave per aprire lo scrigno della nostra immaginazione, consentendoci di convertire l’amara consapevolezza che nulla è imperituro, in un coloratissimo patchwork in cui ricordi e speranze si fondono per costruire un rifugio, un luogo astratto e intangibile per occhi e mani, ma percepibile dallo spirito, per ripararsi dalle intemperie dello scorrere del tempo, lenire e cucire le ferite causate da tutto ciò che abbiamo perso e comprendere che, infondo, «per godere il senso di una vita basta un secondo».
«Come un vagabondo, più con la testa che coi piedi»: ciascuno di noi passeggia tra le alture e le discese della propria anima, molto spesso senza una definita meta, alla ricerca di un frammento che possa riportare un battito, emotivo oltre che meccanico, ad un cuore frammentato da quello che, inesorabilmente, il ticchettio delle lancette porta via con sé; un turbinare faticoso e continuo che ci distoglie dal valore più profondo della temporaneità: quello di godere pienamente di ogni istante, incontro, evento e situazione che la vita ci regala.
Ed è così che Andrea Rana identifica nei sogni, intesi più come benzina del motore dei nostri pensieri e delle nostre azioni che come fenomeni psichici frutto dell’inconscio, la soluzione ideale per avvalorare il nostro vissuto, quei trascorsi ormai lontani e perduti nel tempo, ma più vicini che mai al fulcro della nostra quotidianità, come un vero e proprio «rifugio fra le stelle» in risposta a «domande vuoti a perdere».
Un sereno equilibrio tra dimensione onirica e reale - «mi ricredo in quel che vedo e ti rivedo in quel che credi» -, in cui custodire tutto ciò che ha fatto parte della nostra maturazione personale, uno spazio sospeso in cui ci è concesso mettere in pausa affanni e tormenti, prendendo piena coscienza di noi stessi e di ciò che ci circonda, perché «la verità non è una poesia da recitare in piedi», ma, al contempo, ognuno di noi può dar sfogo a «sogni liberi nel petto che» lo «fanno respirare».
“Immagini Dal Mondo” è accompagnato dal videoclip ufficiale, disponibile nelle due differenti versioni, entrambe dirette da Mauro Nigro - aiuto regia Maurizio Sala -, in uscita nel corso delle prossime settimane e girate nella meravigliosa cornice dei Calchi di Cutro (KR), liberamente ispirate alla pellicola statunitense di Todd Phillips, vincitrice del Golden Globe 2010, “Una notte da leoni”, che traspongono in frame la sensazione di libertà evocata dal brano, ripresa anche nella cover del singolo – curata da Giovanni Miele –, capace di fondere ritagli del proprio trascorso, formando un tutt’uno.
«Poco importa che le immagini siano microscopiche – dichiara Andrea Rana -; chi ha partecipato, inviando le proprie fotografie, era già al corrente che probabilmente non sarebbe nemmeno riuscito a ritrovarsi all’interno di quel mosaico. Eppure, curiosamente, forse proprio in virtù di questo aspetto, sono stati molti ad inviarle. Esserci, senza necessariamente apparire. Sembra un po’ strano dirlo, soprattutto ai giorni nostri, ma, a quanto pare, c’è ancora qualcuno che crede in qualcosa che vada oltre ciò che vedono gli occhi»....
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"É un'altra notte" è il nuovo singolo di Ruggero Ricci
La vocalità inconfondibile di Ruggero Ricci torna a far vibrare le emozioni in “È un’altra notte” (Visory Records/Universal Music Italia), il suo nuovo singolo.
Delicato e struggente al tempo stesso, il brano, prodotto dal magistrale tocco di Max Giorgetti (già per Random e molti altri), è un funky up tempo impreziosito da eleganti sfumature elettroniche, in grado di regalare un abbraccio sonoro raffinato e coinvolgente, che consente all’ascoltatore di tuffarsi a capofitto in un firmamento di sentimenti, costellato dagli astri del cuore.
Con un’impronta personale dall’accezione universale, l’artista dà sfogo ad un encomio liberatorio e frizzante, sul quale disegna, con le linee melodiche di una tecnica impeccabile, il quadro di una rivalsa personale dopo la fine di una relazione, come una vera e propria «resurrezione che comincia». Un rapporto concluso da tempo, che porta con sé gli strascichi di ricordi, rimorsi e rimpianti, a cui l’incisivo cantautore pone fine invitando se stesso, e ciascuno di noi, a prendere piena consapevolezza del proprio valore personale.
Il travolgente dinamismo del pezzo è l’iconica soluzione in musica alla stasi emotiva da cui si viene tipicamente travolti al termine di una storia d’amore deleteria e soffocante - «stavo fermo su un amore tossico, ma il mio cuore vive di profondità» -, quell’inerzia affettiva ricolma di disillusione e sconforto a cui è possibile porre fine soltanto facendo leva su se stessi, riprendendo in mano le redini di una quotidianità in cui sentirsi totalmente liberi di esprimersi, decidendo, senza timore, a cosa e a chi dedicare tempo ed attenzioni - «da adesso non mi ferirai mai» -, come lo stesso Ruggero Ricci spiega:
«”É un’altra notte” è una canzone volta ad incoraggiare tutti coloro che soffrono per un rapporto giunto al capolinea. Mi sono chiesto perché ci ritroviamo spesso ad ostinarci a soffrire, quasi come se fosse giusto annullarsi e frammentare la propria anima per un passato che non tornerà più. Ecco, la mia nuova release ha preso vita da questo quesito, a cui ho cercato di rispondere nella maniera più naturale possibile: occorre tornare ad essere protagonisti della propria vita, lasciando che la nostra natura ci guidi, indicandoci la via, e a volte, per farlo, occorre dimenticare completamente chi siamo per ritrovarci, anche solo per una notte».
Lo splendido videoclip ufficiale che accompagna il brano, diretto dalla competenza figurativa di Andrea Zanzucchi, girato ad Imola e presentato in anteprima nazionale su SKY TG24, racchiude in sé il sapore della ripartenza, evocando, attraverso un’incredibile serie di emblematici frame, la riapertura delle discoteche e dei club post-pandemia.
“È un’altra notte” rappresenta la perfetta riuscita di un indie-pop sensibile e grintoso, capace di sovvertire un cataclisma emotivo in quella presa di coscienza e posizione - «sono più forte, se vuoi la luna questa è un’altra notte» -, che ci consente di tornare a brillare.
Attraverso una fusione di stili che ben evidenzia l’abilità tecnica e interpretativa dell’artista romagnolo, mettendo in luce non soltanto la sua caratura intensa e precisa, ma anche un eclettismo comunicativo fuori dall’ordinario, il singolo riconferma Ruggero Ricci come uno dei migliori esponenti del nuovo cantautorato italiano....
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Quando la musica rimanda ad un immaginario audiovisivo potente e suggestivo, attingendo a grandi capolavori della cinematografia internazionale, il risultato è una fusione d’Arte, anima e vibrazioni che trascende dal semplice ascolto per travolgere a 360 gradi l’emotività del pubblico.
Questo è ciò che accade premendo “play” su “Slate”, il nuovo singolo della graffiante cantautrice e vocal coach italiana dall’attitude d’Oltreoceano Krait, un concentrato di grinta, carattere, sensualità ed eleganza.
Anima metal-rock, vocalità intensa e impetuosa, carisma da fuoriclasse e cuore intriso di mille contaminazioni sonore differenti, sono gli ingredienti principali di Krait e della sua musica, un’impeccabile fusione di dinamismo, ritmo ed energia in grado di coinvolgere, affascinare e stupire sin dalle prime note.
Frontwoman dell’iconica band di matrice metal Deceit Machine, attiva sulla scena dal 2016 e tra le più stimate del panorama hard-rock italiano, l’artista, dopo il successo ottenuto con le sue prime due release in veste solista – “Shed the skin” e “Redrum” -, torna con una canzone in grado di coniugare perfettamente trasporto e introspezione.
Magistralmente prodotto dal sapiente tocco di A-Kurt, con mix e master a cura di Adma, “Slate”, in italiano “Ardesia”, si identifica musicalmente nella roccia da cui prende il nome, in una metamorfosi di suoni e stili su cui si staglia la duplicità di un testo dall’accezione intima, ma al contempo irruenta e risoluta.
E proprio come il grigio che tinge la pietra, vivido e brillante, ma perennemente sospeso tra il bianco ed il nero, seppur dotato delle proprietà cromatiche di entrambe le tinte, il brano narra una dimensione aleatoria, un limbo in cui ci si ritrova costantemente a mezz’aria tra bene e male, privati della possibilità di scegliere, di compiere anche un solo, primo passo, verso una delle due direzioni antitetiche.
«You know why my demons like me? Because I learned to love them back to embrace the best part of me» («Sai perché piaccio ai miei demoni? Perché ho imparato ad amarli di nuovo per abbracciare la parte migliore di me»); sin dall’apertura del pezzo, si evince il tema centrale su cui è costruito, che non vuol essere un motto alla fortificazione dell’anima attraverso una sofferenza obbligatoriamente trasformata in positività, bensì, un inno, coraggioso e sincero, alla resilienza.
Capacità intrinseca per alcuni ed empirica per altri, che Krait evidenzia citando uno dei passaggi più intensi e viscerali recitati da Heat Ledger nella straordinaria interpretazione di Joker nel colossal americano del 2008 “The Dark Knight” (“Il Cavaliere Oscuro”): «Whatever doesn't kill you makes you stranger» («Qualunque cosa non ti uccida, ti rende estraneo»), rimarcando come non tutto ciò che ci ferisce necessariamente ci fortifica, ma, senza dubbio, accresce ed incrementa la nostra capacità di adattamento alle situazioni avverse.
Un brano di contrasti e contestazioni personali, ma al tempo stesso di riscatto, di liberazione da tutti quei giudizi che rivolgiamo ai nostri lati oscuri, a quelle ombre che offuscano la luce interiore insita in ciascuno di noi, per ricordarci che non possiamo – e non dobbiamo – cercare di essere diversi da ciò che siamo nel profondo - «there's no point in trying to be what you're not» («non ha senso cercare di essere ciò che non sei») -, anche quando la nostra meravigliosa autenticità, non sempre semplice da comprendere e gestire – «being me is harder than it looks» («essere me è più difficile di quanto sembri») - sembra remarci contro e volerci trascinare in un baratro - «I've tried to reach the lights, but darkness pulled me down» («ho cercato di raggiungere le luci, ma l'oscurità mi ha tirato giù») -, perché «no pleasure is without pain» («nessun piacere è senza dolore») e nulla, nella vita, è regalato - «You don't get anything without paying» («non ottieni nulla senza pagare») -.
Ad accompagnare il singolo, gli iconici scatti firmati da Ilaria Lattanzi dal forte richiamo al genio creativo di Robert Rodriguez e alla pellicola del 2007 “Planet Terror” ed il suggestivo videoclip ufficiale, diretto da Mattia Silva, volutamente ispirato all’immaginario tarantiniano, che, anche grazie alla partecipazione di alcuni degli studenti di Krait e della sua insegnante di Pole Dance Alice Giorgia Faulisi (campionessa mondiale di Pole sport), traspone in immagini la duplice accezione del brano, consentendo un’immersione sensoriale a tuttotondo in un mood in biblico tra le tenebre e la luce.
Con una capacità tecnica impeccabile, in grado di enfatizzare la sua vocalità unica e magnetica e di spaziare da armonie più dolci e delicate tipicamente pop ad un incredibile cantato in scream fortemente heavy metal, Krait è una delle proposte più interessanti, innovative e frizzanti della scena underground italiana....
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Teatrale, brillante e trasversale, Al Vox, al secolo Alberto Lupia, torna a smuovere menti e coscienze in “TRENTA” (Pako Music Records/Visory Records/Believe Digital), il suo nuovo album disponibile in tutti i digital store.
Anticipato dalla struggente intensità de “Il Giullare” (video qui) e dal tagliente inno “Autodipendenza” (videoclip disponibile qui) – due release extra-progetto -, “TRENTA” è il manifesto artistico del camaleontico cantautore ligure, un disco volto a celebrare non soltanto i suoi primi trent’anni di vita, ma soprattutto, la sua visione dell’Arte e del mercato musicale contemporaneo.
Una dichiarazione d’intenti anticonformista, autentica e sincera, in cui le molteplici anime del suo poliedrico artefice si spogliano da filtri e maschere per dar vita ad un connubio di sonorità, concetti e prospettive, atti a stimolare il pubblico ad un ascolto impegnato e penetrante, in grado di valicare l’orecchio per giungere con veemente repentinità ad anima e cuore.
Un concept caleidoscopico ed istrionico, in cui il geniale estro di Al Vox dà sfogo alla peculiarità della sua penna e della sua capacità interpretativa, fondendo con maestria ad una presenza scenica unica ed eccentrica, la perenne ricerca di una verità personale che sappia abbracciare l’universale, traendo dalla nobile sensibilità delineata da una scrittura eclettica ed arguta e da un’accuratezza comunicativa intensa e vibrante, capace di accarezzare e travolge le corde emozionali, con intelligenza, rispetto e raffinatezza.
Come 10 atti teatrali che rappresentano l’opera della vita, “TRENTA” è l’emblema di un cantautorato innovativo e rivoluzionario, che attinge con assoluta riverenza ai pionieri di un’attitude anticonvenzionale, ma pone in essere uno spaccato illuminante e personale, sorretto dal file rouge di tematiche complesse e di ardua esposizione, come quelle dei disagi socio-psicologici.
Personaggi eccentrici, stravaganti e fuori dagli schemi si susseguono in un’enfatica rappresentazione dell’esistenza umana, tra emozioni distopiche, dolcezza, irriverenza, rabbia, gioia e frustrazione, portando in scena lo straordinario spettacolo della vita in ogni sua sfumatura e chiaroscuro, mettendo in luce una molteplicità di sensazioni, stimoli e pensieri che riconfermano la perspicacia creativa di Al Vox.
Sonorità minimal-electro, minuziosamente curate per consentire una profonda immersione nell’oceano concettuale dei testi, impreziosiscono il disco di dinamicità e ritmo, rendendo ancor più iconografico l’immaginario vorticoso in cui i brani che lo compongono navigano e solcano, alla ricerca di una meta che si identifica con il percorso stesso.
A supportare l’uscita di “TRENTA”, l'ingresso in rotazione radiofonica del singolo “Astrolove”, un synthpop psichedelico dai tratti post-punk che rimanda con immediatezza ad un mood di ribellione e libertà. Il brano, seconda traccia del progetto full length, narra con fierezza di un outsider contemporaneo, evidenziando alcune voragini sociali ed è accompagnato dal videoclip ufficiale, ideato, diretto e realizzato dallo stesso Al Vox.
Dotato di una finezza d’animo di raro riscontro e di una versatilità che gli consente di spaziare agevolmente dal canto alla recitazione, dalla scrittura alla composizione e dalla fase embrionale di un progetto artistico alla sua completa realizzazione, Al Vox è uno dei rappresentati più completi, originali e innovativi del panorama musicale italiano.
A seguire, tracklist e Track by Track del disco, interamente composto, arrangiato, scritto e pre-mixato da Al Vox, con mix e master a cura di Andrea Anzaldi (Apollo Studio di Genova):
“TRENTA” – Tracklist:
Calma
Astrolove
Mood
Rispetto
Ho perso (feat. Luisenzaltro)
Elettrofilastrocca
Nero carbone
Diverso
Apocalisse
Spleen
“TRENTA” – L’album raccontato dall’artista:
La prima traccia è "Calma", un brano synthpop leggero ed easy listening, attraverso il quale volevo trasmettere soltanto calma e serenità, che credo servano, soprattutto di questi tempi, in cui, che tu stia bene o male psicologicamente, ti ritrovi attanagliato da una minaccia, psicologica, fisica, economica e sociale.
Segue "Astrolove", dalle tinte sempre synthpop, ma con vivaci sfumature post-punk alla Subsonica/Bluvertigo e componenti che definirei alla Achille Lauro (nel ritornello) e alla Battiato nelle strofe. Qui, il protagonista del racconto ammette con fierezza di essere un outsider della società, in quanto non si sente rispettato da essa e si oppone ad alcune dinamiche e situazioni, come la mal gestione del bene del cittadino, sia nel settore salute che in quello lavoro.
"Mood", come dice la parola stessa, esprime il mood dimesso di un individuo, ma nel ritornello, evidenzia la sua voglia di rimettersi in gioco, perché consapevole di potersi salvare. Il pezzo è sorretto da un arrangiamento minimal electro, che si apre ed esplode proprio nel ritornello, simboleggiando il desiderio di rivalsa del protagonista.
"Rispetto" tratta chiaramente la tematica del rispetto, in questo caso quando viene sugellato un amore fedele. Peccato che in questa canzone l'individuo non abbia per nulla rispettato l'amata, poiché ammaliato dal fascino di un'altra donna, rivelatasi alla fine abusatrice del suo cuore. Ovviamente, il nostro fedifrago, torna dalla partner tradita, che fortunatamente lo lascia, non credendo alle sue parole. La canzone è un dialogo tra i due nel testo, ma la voce è solo maschile, la mia, per entrambe le parti, pur riferendosi femminilmente. Questa scelta è concettuale: non essendoci una seconda possibilità, nessuna frase sarebbe uscita dal suo vero amore e mai questa donna avrebbe accettato di cantare con lui. L'arrangiamento è elettronico, ma è senza dubbio il secondo brano pop leggero dell'album (secondo solo a “Calma”).
"Ho perso" è l’unico duetto del disco, scritto e interpretato in collaborazione con l'artista milanese Alessio Luise, in arte Luisenzaltro. Il pezzo racconta ciò che si è perso dalla nascita in poi – della serie “più cresci, più sei solo e più cose/persone perdi” - e delle conseguenze dissolute derivate da tutto ciò, arrivando però al ritornello con una possibile soluzione logica, ovvero scrivere su un foglio i propri demoni per esorcizzarli. Questo brano è l'unico a non avere, se non in minima parte, componenti elettroniche, poiché di matrice puramente orchestrale. Immaginatevi un tema di Hans Zimmer - compositore de "Il Gladiatore", tra i tanti - con alla voce Battiato ed echi lirici d'opera in ritornello coinvolgenti ed energici.
"Elettrofilastrocca" è un concentrato musicale di 1:25 min, perlopiù rappato/recitato. Una vera e propria filastrocca in musica che inizialmente appare ironica, ma che via via perde questa componente allegra, rivelandosi decisamente amara. La composizione è tipicamente minimal electro, con elementi che ammiccano alla trap sfarzosa e reinterpretata da Young Signorino.
"Nero carbone": per quanto il titolo sembri suggerire qualcosa di oscuro, qui, attraverso un'elettronica minimale, canto di quanto un artista, nonostante le persone che lo circondano non comprendano la sua umiltà mantenuta, sia riuscito a trovare una propria dimensione.
"Diverso" è come un continuum di “Nero carbone”. La musica, minimal electro nelle strofe, mantiene una voce soave, ma ti frega nel ritornello, che presenta sonorità tipicamente rave con un urlato senza intonazione - ma non stonato, ovviamente -, richiamando in interpretazione il punk old-school. In questo pezzo, il protagonista esprime rabbia, in quanto, pur avendo trovato una propria dimensione, le persone attorno a lui perdurano nei giudizi, dicendogli che deve fallire.
"Apocalisse" è senza dubbio la canzone più cattiva dell'album. Controculturale, musicata con tutti gli elementi dell'elettronica minimal-rave. Il protagonista è confuso, perché si rende conto che, anche se stesse bene economicamente e psicologicamente, si ritroverebbe a denunciare un contesto sociale catastrofico che, per l’appunto, definisce come apocalittico.
"Spleen": abbiamo iniziato il disco con una canzone calma e lo terminiamo in egual modo. È un pezzo sì elettronico, ma più d'ambiente. Il titolo è la conclusione finale teorica analitica di tutto ciò che si è analizzato nelle canzoni precedenti: per quanto le cose possano migliorare, nel 2022 non saremo ancora fuori da questo spleen sociale (è scientifico, non è cospirazionismo), ovvero, sensazione di disagio dissoluto.
Biografia.
Al Vox, pseudonimo di Alberto Lupia, è un cantautore, attore, regista, polistrumentista e scrittore italiano nato a Genova nel 1992. Dopo svariate esperienze in formazioni punk-rock come i Blind Carnival, nel 2014 dà il via alla sua carriera solista pubblicando il primo album, "Loop", supportato da una tournée che lo vede al fianco di artisti del calibro di Naim Abid, Pier Gonnella e Francesco Baccini. Nel 2015 partecipa e vince il concorso Oltre il Jukebox con il brano “Il figlio di Epicuro”, release estratta dal disco d’esordio solista. Pochi mesi più in là, rilascia il suo secondo progetto full length, "Canzoni Degenerazioni", che vanta la collaborazione di Bobby Soul nel brano “Il Vento”. Dopo aver fatto da opening act ai Linea 77, Al Vox partecipa a Il Cantagiro con il singolo “Davanti allo specchio”, classificandosi nelle prime 10 posizioni. Tra il 2016 e il 2018, si esibisce in moltissime location sul territorio nazionale con performance acustiche che lo vedono cooperare con diversi colleghi. Il 27 Gennaio 2019 è il turno del terzo disco, "Alter Ego", album che apre le porte al featuring con Franca Lai sulle note di "La Danza" e, conseguentemente, ad un’incredibile serie di live estivi per tutta la Penisola. Nel 2019 condivide il palco con Fulminacci e a nel 2021 firma il suo primo contratto discografico con l'etichetta meneghina Pako Music Records, con la quale pubblica, in data 08 Marzo, “Il Giullare", singolo avvolto da una struggente intensità che evidenzia la poliedricità della sua Arte ed a cui segue, Il 29 Giugno dello stesso anno, "Autodipendenza", un inno tagliente e personale che si muove tra Dance ed Elettro Pop, con sfumature vintage e tratti retrò. Il 02 Febbraio 2022, in occasione del suo trentesimo compleanno, Al Vox pubblica “TRENTA”, il suo terzo album. Il disco, un concept caleidoscopico ed istrionico, rappresenta il manifesto artistico del suo artefice, evidenziando la sua visione personale e professionale del mercato musicale contemporaneo. Un’enfatica rappresentazione dell’esistenza umana, tra emozioni distopiche, dolcezza, irriverenza, rabbia, gioia e frustrazione, capace di portare in scena lo straordinario spettacolo della vita in ogni sua sfumatura e chiaroscuro, mettendo in luce una molteplicità di sensazioni, stimoli e pensieri che riconfermano la perspicacia creativa di Al Vox. Dotato di una finezza d’animo di raro riscontro e di una versatilità che gli consente di spaziare agevolmente dal canto alla recitazione, dalla scrittura alla composizione e dalla fase embrionale di un progetto artistico alla sua completa realizzazione, Al Vox è uno dei rappresentati più completi, originali e innovativi del panorama musicale italiano.
Giulia Rubini, il nuovo volto del rap al femminile, torna con "Cosa Senti"
La giovane e talentuosa rapper torinese Giulia Rubini, dopo aver dimostrato sensibilità e carisma nelle sue due precedenti release – “Scusami” e “Fenice” -, torna nei digital store con “Cosa Senti” (Puff Records), il suo nuovo singolo che rivela un’altra vivida sfumatura della sua personalità e della sua pluralità artistica.
Volutamente rilasciato sulle piattaforme digitali nel giorno che celebra le unioni tra gli innamorati, il brano è uno scatto di rime e armonie che fotografa l’altro volto dell’amore, quello sospeso tra passione e sofferenza, immortalando il contrasto tra mente e cuore, la netta antitesi che attanaglia l’anima di chi vive costantemente in bilico tra istinto e razionalità.
Le sonorità delicate dall’incisivo richiamo pop-noir – minuziosamente curate da oZZo e Davide Gregorini -, fanno da cornice perfetta ad un testo sincero e personale; un viaggio a mezz’aria tra dolcezza, paure e disillusione, il cui traguardo è il raggiungimento di una serenità perduta - «sogno la tranquillità ma non conosco la ricetta» -, accantonata per rincorrere una presenza fugace e transitoria, ma al tempo stesso asfissiante e ossessiva, in una contemporaneità che sembra prediligere «sentimenti usa e getta, così quando fa male butti e non perdi la testa».
Un conflitto primordiale, quello tra trasporto e raziocinio, che spesso collima con una visione, una percezione distopica tra ciò che l’altro realmente è e come noi, completamente assorti dal coinvolgimento emotivo nei suoi confronti, vorremmo che fosse; una divergenza che in questo pezzo viene egregiamente espressa nelle intense constatazioni che l’artista volge a se stessa - «non posso più cadere, neanche avere ste catene, passar giornate intere sperando vada bene» -.
Riscontri onesti e sentiti, scanditi dal ticchettio di un cuore in frantumi - «ho il cuore rotto se poi tu non ci sei» - che disorienta e turba, disseminando timori, sfiducia, esitazioni e incertezze - «non so più scegliere, vorrei stare con te ma non voglio cedere» -.
Una condizione di perenne stallo che ci priva della capacità di decidere, annebbiando ogni direzione da intraprendere e indebolendo la forza necessaria per compiere il primo passo verso la rinascita, che Giulia invita a capovolgere, rovesciando su una tela di note e vita tutti i colori che ci caratterizzano, quelle peculiarità intrinseche in grado di renderci unici, perché è solo ripartendo da noi stessi che potremmo tornare ad osservare il mondo dalla giusta prospettiva, smettendo di alterare la realtà, per costruirne una autentica, in cui è possibile sentirsi liberi di esprimersi, una quotidianità nella quale ogni nostro comportamento sia frutto esclusivo delle nostre scelte - «io che c’ho i miei difetti e penso li abbia pure tu, io me li tengo stretti come un bel film in TV, se no non sarei io ma una copia, un déjà vu, fuori dall’oblio alzo lo sguardo il cielo è blu» -.
Versatile, diretta, sensibile e tagliente, Giulia Rubini trasforma le lacrime in barre, mostrando una parte di sé finora inedita, riconfermando una scrittura icastica e vibrante e una capacità interpretativa originale ed efficace, che la rendono il nuovo volto del rap femminile italiano.
Penna sensibile e camaleontica, vocalità incisiva fortemente pop intrisa di sfumature soul, attitudine fresca e presenza scenica originale e frizzante, sono i tratti distintivi di Sara J Jones, che torna in radio e nei digital store con “Waterproof”, il suo nuovo singolo scritto a quattro mani con Marco Conte.
Un autoritratto vivido e acceso di chi racconta ogni nuance della propria anima senza filtri, illuminando le ombre del giudizio e del timore di essere etichettati perché consapevoli di ciò che si è e di ciò che si desidera: una coscienza della parte più intima di sé e delle potenzialità e delle inclinazioni che la caratterizzano, acquista con l’esperienza, che si riflette in uno specchio autorale allegro e vivace, ma al contempo riflessivo e ricco di spunti per costruire una quotidianità in cui si diventa totalmente protagonisti di azioni e scelte.
In una riuscitissima ed iconica analogia con la propria personalità, l’artista si definisce in un brano di rinascita e rivalsa, volto ad incoraggiare l’ascoltatore, attraverso un incredibile mix di leggerezza, autoironia e sano amor proprio - reso in musica dall’abilità creativa di Andrea Cattaldo (Phaser Studios) -, a proteggersi dalle intemperie della vita - «cuore impermeabile, meteo imprevedibile» -, concedendo così spazio e cuore soltanto a chi è in grado di coglierne il reale valore, silenziando relazioni tossiche, amori utopici e frequentazioni ambigue che, con lo scorrere del tempo, inaridiscono l’anima - «visualizzo, chiudo l'app, silenzio del Sahara» - per diventare artefici di una routine in cui «le lancette scorrono ma il watch è waterproof».
Un parallelismo, quello tra il temperamento personale, forgiato dalle perturbazioni della vita, e l’impermeabilità dei materiali, che riconferma la finezza compositiva della cantautrice meneghina, accompagnandoci in un viaggio interiore illuminante e cristallino, in grado di condurci al traguardo della consapevolezza, perché è soltanto attraversando nubifragi e temporali che si acquisisce la capacità di rendersi idrofughi a tutto ciò che ci scuote e ci pervade di negative vibes.
«”Waterproof” – spiega l’artista - significa “resistente all'acqua” e ho scelto questo termine per rappresentare al meglio me stessa, il mio modo di reagire alle mareggiate e alle inondazioni che arrivano sì dall’esterno, ma che soltanto dall’interno possiamo gestire e domare. Ho deciso di farmi scivolare addosso ogni cosa, rispondendo con il sorriso a tutto ciò che vuole travolgere la mia quotidianità e con il silenzio a comportamenti e gesti atti a ferire. Ho creato e indossato una corazza molto solida, che sono disposta a togliere solo con chi lo merita. Il mio nuovo singolo è questo, un pezzo di rinascita e di autoanalisi, una canzone dedicata a tutti coloro che antepongono gli altri a se stessi, invitandoli a diventare marinai della propria corrente, anziché farsi trasportare e sopraffare dal flusso della vita».
Ed è proprio in quest’ottica di autodeterminazione che si inserisce “Waterproof”, esortando ciascuno di noi a proteggersi dagli stimoli negativi sociali «cascate del Niagara, resiste il mio mascara», convertendo i rapporti deleteri «trasformo la paura che mi hai passato tu» in una nuova versione di sé, totalmente libera di esprimersi nella sua vera essenza.
Il brano è accompagnato dal videoclip ufficiale, in uscita venerdì 18 Febbraio e disponibile in anteprima nazionale dal giorno precedente, diretto dall'attento sguardo di Fabrizio Vinci e girato tra gli incantevoli scorci del capoluogo lombardo ed il Multiset Studio Amperè.
Carismatica, intensa e dotata di una caratura vocale istantaneamente riconoscibile, Sara J Jones intreccia l’immaginario pop alle sue esperienze dirette e personali, regalando al pubblico brani autentici ed immediati, in cui identificarsi per comprendersi e migliorarsi giorno dopo giorno.
Biografia.
Sara J Jones, pseudonimo di Sara Libranti, è un’artista milanese classe 1994. Cantante, autrice, content creator, influencer ed imprenditrice, muove i primi passi nel mondo della musica in tenera età, partecipando a numerosi concorsi canori. Esploratrice per nascita, studia Musical, Tecniche Teatrali e Danza, calcando grandi palchi come quello del Teatro Nazionale di Napoli, impreziosendo così l’eclettismo della sua Arte. Nel 2015 pubblica “The Queen of the Night”, la sua prima release che le consente di farsi conoscere ed apprezzare da pubblico e critica e di dar vita all’EP “Eterno” (2016). Dopo una pausa dalla scena che le ha consentito di maturare personalmente e professionalmente, Sara J Jones torna nei digital store nel 2022 con “Waterproof”, un brano, scritto a quattro mani con Marco Conte e prodotto dall’abilità creativa di Andrea Cattaldo (Phaser Studios), che evidenzia la poliedricità della sua anima autorale e interpretativa, raccontando, tra ironia, leggerezza e riflessioni, l’essenzialità di concedere spazio, tempo e cuore soltanto a chi si dimostra meritevole delle nostre attenzioni, imparando il sano amor proprio e dirigendo in prima persona il flusso delle nostre esistenze. Capelli rossi, sguardo vivace, energia esplosiva e sorriso inconfondibile, sono i tratti distintivi della sua personalità che, uniti ad una vocalità fortemente pop intrisa di sfumature soul, ad una penna sensibile e camaleontica e ad un’attitudine fresca e frizzante, delineano l’essenza del suo percorso artistico.
Jalisia Dollson, la nuova stella del pop, torna con "Dreamers in Las Vegas"
A distanza di un anno e mezzo da “Con Te”, Jalisia Dollson, la nuova stella del pop, torna a regalare grinta ed emozione in “Dreamers in Las Vegas” (B-Again Records), il suo nuovo singolo.
Impreziosito da attualissime sonorità synth-pop che abbracciano e guidano la vocalità intensa e potentissima della cantautrice trevigiana, il testo ha preso vita dalla penna vivace e penetrante di Jalisia durante uno dei suoi lunghi viaggi notturni.
E proprio come un’autostrada avvolta dalla carezza del cielo, con il suo manto di stelle a cui l’uomo affida desideri e fantasie, in un’incessante antitesi tra l’inerzia della quiete e il dinamismo insito nei sogni, “Dreamers in Las Vegas” è un tuffo a capofitto nella silenziosa frenesia dell’oscurità, in cui si susseguono le vivide polaroid di una società cieca ed arrivista, costantemente bramosa di possesso e di controllo.
Un vertiginoso lancio tra le ardenti pareti dell’inferno, tra quelle mura invisibili agli occhi, eppur così tangibili e chiare nell’anima e nell’ardore di chi vive perennemente in bilico tra moralità e trasgressione.
Ed è nell’eccesso, folgorante cornice di una realtà assorta in seducenti tentazioni, che Jalisia Dollson si immerge e scava, portando alla luce la fulgida verità di chi infrange le regole per assaporare una libertà proibita, con la consapevolezza dei suoi frutti e delle sue ripercussioni, in una dimensione sospesa tra adrenalina, potere e indipendenza.
«”Dreamers in Las Vegas” – dichiara l’artista – è una cavalcata tra le fiamme dell’Inferno, in cui dipingo la società attuale, sempre più attratta dal denaro e da tutto ciò che è tentazione. È una canzone che parla del desiderio, del volere, quasi esigere e pretendere, sempre di più; una canzone che narra il peccato, la volontà di violare le norme, pur sapendo che ci saranno delle conseguenze. Descrivo la sensazione di sentirsi liberi di fare qualsiasi cosa, senza pensare al domani».
Una libertà che assume i tratti di una sovranità su se stessi e sul mondo, in una coinvolgente escursione nell’oscurità della notte e della propria anima, tra quelle tenebre che non spaventano - «I’ve seen my soul walking through the streets of the Hades» («ho visto la mia anima camminare per le strade dell’Ade») -, ma ci attraggono, ci catalizzano completamente, invitandoci, con i loro suadenti richiami, ad abbracciarle, anche solo per una notte - «I will pray for my sentence later» («pregherò per la mia sentenza più tardi») -, guardandoci dentro senza nessun giudizio, né personale - «Now I’m worthy for the pain, I have never been a saint, I took all that I want» («Ora sono degna per il dolore, non sono mai stata una santa, ho preso tutto quello che volevo») – né esterno - «good woman said I’ve got to stay on my own» («la brava donna ha detto che dovrei restare sola») -.
Il videoclip ufficiale che accompagna il pezzo, diretto da Mattia Bello - con montaggio ed editing a cura di Ademir Van Gogic - e girato tra Italia e Grecia, è un vero e proprio cortometraggio, in uscita nel corso delle prossime settimane, a cui hanno preso parte i talentuosissimi pattinatori dello Show Roller Team - vice campioni europei e medaglia di bronzo ai Mondiali di Pattinaggio Artistico 2021 -, guidati dalla maestria artistica della coreografa Venusia Ronchi, che ben rappresenta il valore liberatorio e trasgressivo del testo, tra fiamme, motori e seduzione.
Pensato per essere ascoltato in macchina, o in sella ad una moto, sfrecciando a 130 km/h nel buio della notte, il brano, riconferma dell’abilità interpretativa, della presenza scenica e della poliedricità di Jalisia Dollson, ci ricorda che infondo, a volte, siamo tutti “Dreamers in Las Vegas”.
Biografia.
Jalisia Dollson, pseudonimo di Silvia Randazzo, è una cantautrice italiana nata ad Oderzo (TV) il 20 Dicembre 1999. Si appassiona alla musica da giovanissima, grazie all’influenza artistica del padre, anch’egli autore ed interprete. Impara a suonare chitarra e pianoforte da autodidatta, strumenti imprescindibili per iniziare a comporre i suoi primi brani. Ispirata da grandi star del panorama musicale internazionale come Taylor Swift, Bruno Mars e The Weekend, scrive i suoi primi testi a soli 15 anni. Italianissima, ma con il cuore a stelle e strisce, ogni sua release è avvolta da sonorità dal forte richiamo synth-wave anni ‘80 d’Oltreoceano. Appassionata d’Arte a tuttotondo, la sua musica è lo specchio di una poliedricità vivace e curiosa, capace di coniugare canto, danza e discipline sportive con efficacia e immediatezza, una fusione che ben si evince dai videoclip, iconici e suggestivi, che accompagnano ogni sua traccia, nei quali, molto spesso, indossa outfit da lei stessa disegnati e realizzati. Sensibile, intensa ed empatica, Jalisia Dollson intreccia colori, sentimenti e stati d’animo a sound innovativi ed attualissimi, con l’autenticità di chi sente nel profondo una forte urgenza espressiva ed una caratura vocale, energica e travolgente, che la rende una delle stelle più brillanti e luminose del nuovo panorama pop italiano....
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"Prologo: Cinabro" è il primo EP di Mercvrio, una dichiarazione di intenti intrisa di poesi
Brillante, camaleontico, pungente e stravagante, Mercvrio torna, dopo il successo di “Ormoni” (2021), con “Prologo: Cinabro” (The Bluestone Records/Talentoliquido/Believe Digital), il suo primo EP che evidenzia la poliedricità della sua Arte.
Interprete, autore e videomaker, l’artista dà sfogo alla sua vena creativa in un progetto che si pone sulla scena come la genesi del suo percorso musicale, intriso di sperimentazione e ricerca, ma soprattutto, di una penna arguta e curiosa, capace di esprimere nero su bianco la complessità dei sentimenti umani con la semplicità e l’efficacia dell’urgenza espressiva che lo caratterizzano.
Dalla già edita ed introspettiva “Ormoni”, passando per la dualità di “Beatrice”, la grinta di “Bravo Ragazzo”, il desiderio di rivincita personale di “Sole” e le atmosfere suggestive di “Cinabro: Interludio”, il disco, che trae il suo titolo dal minerale da cui il mercurio viene estratto, è supportato dal singolo “Il Tuo Corpo”, traccia centrale dell’EP, che ben evidenzia l’abilità comunicativa del cantautore capitolino, in un viaggio sonoro e sensoriale guidato dalla delicatezza intrecciata al vigore dei sentimenti.
Un pezzo dolce e sensuale, in grado di narrare l’amore, esclusivo e totalizzante, con la poesia e la sensibilità tipiche di chi si immerge nelle emozioni senza riserve per non riemerge mai completamente, riuscendo a raccontare, e raccontarsi, senza filtri, maschere e difese.
Ed è nella minuzia e nell’accortezza delle parole, delle metafore e delle simbologie utilizzate per descrivere sensazioni e stati d’animo - «E si confonde il tuo orizzonte con il mio nei sospiri della carne, tra le gambe e le campagne»; «Vorrei morire qui, tra queste valli, per darti tutti i miei atomi e scomparire dentro le tue carni, addormentarmi» -, unite ad una vocalità avvolgente ed istantaneamente riconoscibile, che Mercvrio fonda la sua cifra stilistica, regalando agli ascoltatori ritratti musicali capaci di stupire e affascinare sin dai primi tratti.
Sei tracce, di cui quattro accompagnate dai rispettivi videoclip ufficiali, diretti dal team di Miniera Production- in uscita con cadenza settimanale, fatta esclusione per la settimana sanremese -, che coniugano la dimensione sonora a quella figurativa, in un susseguirsi di ritmi e tematiche che prendono vita e forma dai fotogrammi interiori dell’artista, come magistralmente descritto nella sua “Beatrice”, tra la malinconica ironia e la coerenza di ogni sua contraddizione - «Non so disegnare, ma ti ho fatto mille ritratti nella mia testa» -.
Interamente prodotto dalla fidata Reb the prod, che ha curato anche mix e master dei brani “Beatrice”, “Bravo Ragazzo”, “Sole” e “Cinabro - Interludio” - “Il tuo corpo” è stata mixata e masterizzata da Roberto Proietti Cignitti del Container Audio Room ed “Ormoni” da Andrea Mattia del Sam Recording Studio -, “Prologo: Cinabro” è la volontà artistica di Mercvrio, il primo passo, deciso e risoluto, di un cammino professionale eclettico e poliforme, ma focalizzato su un’unica macro-area comunicativa, quella delle emozioni, come lui stesso spiega:
«Il nome del mio EP di debutto deriva dal Cinabro, il minerale da cui il mercurio viene estratto. Così come tale minerale può essere considerato come lo stato primordiale per il metallo, questo disco ha l’intenzione di essere la fase iniziale di una storia, di un percorso. Un prologo, quindi, composto da sei brani, all’interno dei quali emergono e si amalgamano sonorità eterogenee, spaziando dal rock alla trap, dall’indie al pop, che hanno il compito di raccontare i sentimenti».
“Prologo: Cinabro” si configura a tutti gli effetti come una dichiarazione di intenti, sia stilistica, attraverso la fluidità dei generi che lo compongono, sia concettuale, grazie alle differenti tematiche che vi sono esposte e descritte: una premessa artistica che sancisce il nome di Mercvrio alla musica italiana, senza definizioni ed etichette, ma come portavoce, messaggero del sentire più autentico e profondo dell’umanità.
A seguire, la tracklist dell'EP.
“Prologo: Cinabro” - Tracklist:
1- Beatrice
2- Bravo Ragazzo
3- Il tuo corpo
4- Ormoni
5- Sole
6- Cinabro – Interludio...
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"Addio (Ti sto lasciando andare)" è il nuovo singolo di Valentina Rizzi
“Addio, ti sto lasciando andare”: una frase, un monito, una promessa. Ed è proprio “Addio (Ti sto lasciando andare)” il titolo che la brillante cantautrice, corista e vocal coach meneghina Valentina Rizzi ha scelto per il suo nuovo singolo, disponibile in radio ed in tutti i digital store.
Il brano, perfetto seguito di un lungo e sfavillante percorso professionale sfociato nel successo di “Mentiras” e nel repack dell'EP “Ferro e Magnete” (2021), evidenzia l'attitudine comunicativa dell’artista, esaltandone doti vocali, ma soprattutto, un’eccezionale sensibilità autorale ed un’incredibile abilità di attingere ad emozioni, sentimenti ed esperienze soggettive, trasponendoli in testi dall’accezione universale, capaci di coinvolgere ed abbracciare ogni target di pubblico.
Sorretto da una cornice sonora accattivante e contemporanea, intima e malinconica ma al tempo stesso fresca e travolgente – firmata da Okrim, con arrangiamenti a cura di Paolo Raiola -, “Addio (Ti sto lasciando andare)” rappresenta un ritratto musicale che, grazie alla raffinatezza interpretativa di Valentina – supportata dall’occhio attento e competente di Michela Macciolini che ha reso il profondo valore del pezzo nell’emblematico scatto scelto per la cover -, disegna il capolinea di una relazione amorosa tossica e opprimente, quel punto decisivo grazie al quale è possibile concludere definitivamente un capitolo cupo e tormentato della propria opera esistenziale, ritrovando la libertà, l’energia e la determinazione necessarie per ridefinire se stessi sotto una nuova luce.
«Ho scritto questa canzone – dichiara l’artista – per dare forza a tutti coloro che vivono, o hanno vissuto, un rapporto di coppia nocivo e deleterio. Quando ci si ritrova immersi in dinamiche di questo tipo, si crea una dipendenza, spesso inconscia, che rende faticoso mettere la parola “fine”, portandoci a non chiudere mai per davvero la storia, che si trascina di continuo, lasciando a terra strascichi di sensi di colpa, amarezza, delusione e i cocci di un’anima frantumata, indebolita dai postumi di una relazione al veleno. Non è semplice ricominciare, ma il messaggio che voglio trasmettere è che, fondamentalmente, non si riparte mai da zero, ma da se stessi. Ed è proprio in se stessi che va ricercata la scintilla per reagire, per riprendere in mano la propria vita e volgerla nella direzione in cui vogliamo andare».
Anticipato da una toccante e suggestiva serie di testimonianze personali - postate sui canali Social della cantautrice attraverso brevi ed intense clip realizzate dall’estro creativo di Ileana Sirto e rese possibili grazie alla visione e alla sensibilità del videomaker Michele Maggi e del regista Gianluca Barillà di Gem Meta Deal -, in grado di avvalorare l’accezione liberatoria del pezzo, rendendo egregiamente in immagini il viaggio interiore dei protagonisti, che inizia da una condizione di sofferenza - «ti ho sempre amato, fin dall'inizio, non è mai stato facile ed ora tutto tace» - e disillusione - «ti ho sempre cercato, un po' lo faccio ancora, ancora e sempre in questo oblio, ti starò accanto da lontano» -, terminando con una consapevolezza di sé ed una serenità ritrovate, “Addio (Ti sto lasciando andare)”, vuol essere un’àncora salvifica di note ed anima e, al contempo, una cintura di salvataggio sicura e avvolgente, un porto in cui rifugiarsi dopo aver salpato gli ormeggi dell’imbarcazione del nostro cuore, rifornendosi di provviste di autostima, nel cambio, doloroso ma necessario, da una rotta nota ma insita di tempeste e mareggiate - «ti sto lasciando andare, non mi trascinare»; «osservi impotente la mia dolce caduta» -, verso una destinazione tracciata dalla mappa dei nostri sogni e delle nostre aspirazioni - «Ti ho già lasciato andare e mi sento bene. Lasciami saltare, ho smesso di cercare, torno a respirare, è tempo di rischiare» -.
“Addio (Ti sto lasciando andare)” è un brano, accompagnato dal videoclip ufficiale, diretto da Michele Maggi sotto la supervisione di Gianluca Barillà, in uscita nei prossimi giorni, pensato per incoraggiare le donne, ma non solo, a riscattarsi, spogliandosi dalle zavorre emotive e sentimentali che soffocano e offuscano il valore personale insito in ognuno di noi, ritrovando il piacere di scegliere e di agire in un presente atto a determinare il futuro che desideriamo realizzare, lontani da coercizioni mascherate da pentimenti e redenzioni e vicini soltanto alla parte più vera di noi - «"Al cuor non si comanda", ma alle azioni sì e ora è tempo di rischiare, perché tu non sei più tu e ti dico "Addio"» -.
Dopo una gavetta costellata di soddisfazioni e successi, che l’ha vista calcare i palchi più importanti d’Italia in veste di spalla e corista di grandi nomi del firmamento musicale italiano, come Mondo Marcio, Valentina Rizzi si prepara a regalare al pubblico nuove emozioni in musica, in un 2022 che la vedrà protagonista di un’importante e preziosa serie di release e collaborazioni....
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Sara Laure, la nuova regina del pop-soul italiano, torna con "Prima Donna"
Intensa, raffinata e sensuale, Sara Laure torna, dopo l’esordio nel 2020 con “Ma Force”, con “Prima Donna” (Cosmophonix Artist Development), il suo nuovo singolo.
Nato dalla penna elegante e sensibile della giovane artista italo-africana tra le suggestive atmosfere che regala la notte, il brano è un ritratto autobiografico su cui si riversa l’arcobaleno emotivo di Sara Laure, uno spaccato di vita che, attraverso la sua straordinaria caratura vocale, piena e avvolgente, ed una capacità di giungere al cuore con immediatezza e autenticità, si fa spazio in punta di piedi, ma al tempo stesso con la dirompente irruenza della verità, nell’anima del pubblico, che ne rimane colpito e affascinato sin dal primo ascolto.
L’innovativa fusione sonora tra R’n’B, Soul ed elettronica, curata dal genio creativo del team mantovano, unita al seducente connubio tra italiano e francese del testo, fanno da cornice perfetta alla narrazione, sentita e sincera, di una serie di vicissitudini che l’artista ha scelto di raccontare per dar voce a tutte le persone, in particolar modo alle donne, che ancora oggi si ritrovano bersaglio di una fazione della società che le umilia e le denigra, giudicandole ed etichettandole semplicemente perché “diverse”.
“Prima Donna”, il cui titolo non simboleggia egocentrismo, narcisismo e prevaricazione, bensì designa la volontà di seguire i propri sogni, le proprie inclinazioni e le proprie aspirazioni, anteponendoli a pregiudizi ed illogiche sentenze, vuol essere un’armonica carezza e al contempo un energico incoraggiamento, a spezzare le catene dell’arroganza, della malignità e della prepotenza, con la forza dell’impegno, della dedizione e dell’amore verso se stessi, perché è solo concedendosi il permesso di brillare, che potremmo tornare a risplendere - «ho bruciato l’oscurità» -, a prescindere dalle ferite e dalle sofferenze che l’ostilità altrui, molto spesso priva di una reale motivazione, ci ha causato - «tante lacrime ho dovuto versare per far emergere il diamante reale» -.
«Con questo brano – dichiara l’artista -, scritto nel cuore di una manciata di notti, vorrei ispirare tutti coloro che sono vittime di bullismo e che non hanno nessuno che crede nelle loro capacità, nemmeno la famiglia, facendo capire a queste persone che ce la possono fare, perché, alla fine, l'unica cosa che conta è seguire e portare in essere ciò che ci rende felici, che ci fa stare bene. L'unica persona che deve credere fino in fondo ai propri sogni, è quella che abbiamo dentro».
Una mappa di note, ritmo e sentimenti, che ci invita ad intraprendere il cammino più entusiasmante ed emozionante della nostra vita, quello che tra ostacoli, bivi, deviazioni, tempeste e mareggiate, ci conduce ad un’unica meta, la scoperta e la realizzazione della nostra vera essenza.
Biografia.
Sara Laure, pseudonimo di Sara Laura Roldo, è una brillante cantautrice italo-africana nata ad Isola della Scala (VR) da madre africana e padre italiano. Appassionata di musica fin da piccolissima, al punto da aver appreso le melodie delle canzoni che ascoltava ed essere in grado di riprodurle ancor prima di articolare parole e frasi, studia clarinetto alcuni anni e si avvicina al canto formandosi in diversi celebri Istituti veneti, tra cui il CSM. Determinata ad inseguire il suo sogno, nonostante le opinioni contrastanti della famiglia, dà il via al suo percorso artistico esibendosi sul territorio regionale ed aggiudicandosi la vittoria a svariati concorsi canori, che le consentono di farsi conoscere e apprezzare da un pubblico sempre più vasto, dimostrando a genitori e parenti che quella per la musica è sempre stata una passione autentica e viscerale e non un capriccio transitorio. Grazie ai feedback positivi, uniti al talento, all’impegno e alla dedizione, Sara Laure diventa frontwoman di una cover band di Rihanna, che la porta a vivere un’incredibile torunée europea. Rientrata in Italia, scrive i suoi primi testi, realizzando, con l’illustre team di Cosmophonix Artist Development, il suo primo singolo, “Ma Force”. Il brano, intenso e personale, è il primo tassello di un puzzle musicale eclettico e sincero, incorniciato da sonorità innovative e sperimentali. Grazie ad una vocalità sensuale, raffinata e fortemente riconoscibile e ad una penna sensibile, versatile e incisiva, Sara Laure è riconosciuta come une delle migliori proposte del panorama pop-soul italiano.
Patrick De Luca, in lizza al Premio Lucio Dalla 2022, pubblica "Asfalto e nuvole"
Quando il talento incontra l’anima, il risultato è un brano capace di catturare menti e cuori in un solo istante grazie al vigore della verità, una canzone in grado di trattare tematiche complesse con l’intelligenza e la classe che contraddistinguono i veri artisti, differenziando la ricerca di notorietà e fama da un’autentica urgenza comunicativa.
Ed è in questo contesto, nella dimensione sospesa tra musica e vita, con la piena consapevolezza acquisita che lavorare con l’Arte significhi anche e soprattutto mettere in luce i sobborghi di una realtà incapace di dedicare tempo e spazio per raccontarsi a 360 gradi, che si inserisce “Asfalto e nuvole” (Pako Music Records/Visory Records/Believe Digital), il nuovo singolo di Patrick De Luca.
Reduce da un 2021 che, grazie al successo di “Voglio dirti qualcosa” e “In questa notte buia”, l’ha consacrato ufficialmente al mercato nazionale come una delle più promettenti firme del nuovo cantautorato italiano, portandolo a concorrere alla nuova edizione dell’illustre premio Lucio Dalla, l’artista veronese apre il nuovo anno con un pezzo che evidenzia la levatura del suo sentire autorale e compositivo, rimarcando una profonda sensibilità personale ed una notevole capacità di trasporre in musica tesi e problematiche impervie con il tatto e la raffinatezza che consentono di veicolare appelli con minuziosa attenzione ed imprescindibile rispetto.
In un tortuoso dialogo interiore con la propria mente, costretti a combattere contro se stessi nel perenne conflitto tra istinto e ragione, tra la visione intenzionale e lucida perfettamente espressa nelle strofe e quella inconscia, indomabile, più pessimista e pessimistica descritta nel ritornello, “Asfalto e nuvole” – prodotto da Tokyo - delinea, con veemente icasticità, le fragilità insite nell’essere umano e nel suo universo psichico e fisico - «la tempesta è dentro e sradica pilastri fondendo il cemento» -, in un fluire di iconiche raffigurazioni - «ho i conati che mi escono dal cuore e succede quando non sento amore»; «violenza interna di tipo organico» - che, attraverso la delicatezza d'animo e l’intensità rappresentativa dell’artista, abbandonano l’astratto per sfiorare dapprima e travolgere poi, la dimensione tangibile e concreta, rendendo pragmatico ed effettivo un immaginario metaforico collettivo, donando così luce e voce a tutte quelle zone d’ombra ancora troppo spesso silenziate, nascoste dal triste e gravoso velo del pregiudizio, del tabù, o dall’intollerabile manto dell’inadeguatezza e del disagio che avvolge chi ne soffre - «dentro questo sorriso c’è un nido di vermi intriso» -.
«Il nemico ti rende forte, il nemico ti dà lo stimolo, il nemico non porta alla morte»; «se chiudi le tende della tua mente quello si arrende, si, si arrende, si»: parole pervase di esperienza e coraggio, che diventano emblema e guida di quel primo passo da compiere verso la risoluzione, ove è possibile, e la convivenza, ove non lo è, del disturbo stesso; l’accettazione.
Ed è sull’accettazione, elemento chiave del percorso musicale di Patrick De Luca e focus di questo suo nuovo piccolo capolavoro discografico, che si erge il valore, il messaggio trainante di un progetto volto alla sensibilizzazione su tematiche quali i disturbi psichici, le conseguenti ferite - invisibili ma laceranti - dello spirito e l’inclusione all’interno di un «mondo» che «cade a pezzi già da un po’».
«”Asfalto e nuvole” – dichiara l’artista – l’ho scritta per raccontare problematiche attinenti alla sfera mentale, come l’ansia e la depressione, perché troppo spesso le si sottovaluta o se ne parla in maniera superficiale, senza far capire che non c'è nulla di male se ci si ritrova a dover fare i conti con le proprie debolezze, perché tutto ciò fa parte della complessità dell'uomo. Ovviamente il brano non dà informazioni mediche, ma vuole portare a galla le debolezze di un essere umano, senza definirle, senza etichettarle come giuste o sbagliate, ma designandole come necessarie e fondamentali per capire meglio se stessi. È solo accettando le nostre fragilità che potremo trasformarle in forza. “Asfalto e nuvole” è quindi un brano nato e pensato per tutti, per tutte le persone che percepiscono la Vita nella Sua interezza, nella Sua sensibilità, nella Sua Grandezza».
Una Grandezza che deve essere scorta assumendo una prospettiva a tuttotondo, dissociandosi da insensati e intelligibili giudizi e riconoscendo la dignità connaturata nel chiedere aiuto, la stessa dignità che ci permette di vivere, giorno dopo giorno, un sereno equilibrio tra “Asfalto e nuvole”.
Il brano è accompagnato dal videoclip ufficiale, diretto dall’attento e competente sguardo di Alessandro Guerra, che narra in maniera magistrale lo storytelling su cui si basa il pezzo, evidenziando anche una spiccata abilità attoriale del talentuoso cantautore veneto.
“Asfalto e nuvole” sancisce definitivamente il percorso professionale di Patrick De Luca, impreziosendo la sua cifra stilistica di una sincera empatia e di un’armoniosa finezza compositiva, in un cammino unico e inconfondibile, infuso, sin dalla prima release, di poesia, sentimenti e di un'eccellente dote naturale nella raffinata e accurata esposizione delle molteplici sfumature dell’animo umano....
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Rap e malattia mentale: Trunchell, Etc. pubblica "Truman Show", contro emarginazione e stig
Dopo l’incredibile successo ottenuto con “Emily Norton”, brano che ha raggiunto centinaia di migliaia di streams in pochissime settimane, scalando le migliori classifiche di fine 2021 ed entrando nei palinsesti delle principali emittenti radiofoniche italiane, l’eclettico ed incisivo Trunchell, Etc. torna con “Truman Show” (Red Owl records/Visory Records/Believe Digital), il suo nuovo singolo prodotto da Gaedi.
Un pezzo intimo e sincero, che, spogliato da maschere e filtri, rappresenta il punto d’incontro tra anima e immagine, raccontando la persona, l’essenza di Francesco, dietro al misterioso personaggio di Trunchell.
Un ritratto autobiografico, intenso e viscerale, in cui il tenebroso artista classe 2000 lascia spazio alle fragilità e alle vicissitudini di un ragazzo che, come ogni altro, modella se stesso e il suo futuro tra debolezze e punti di forza, facendo i conti con la propria personalità e cercando di unire, quotidianamente, i tratti della sua unicità a quelli che lo accomunano alla società che lo circonda.
E come in un sequel di pellicole in cui protagonista e spettatore coincidono, “Truman Show” è suddiviso in 3 atti che si susseguono e portano in scena l’evoluzione umana, una vera e propria rinascita, mentale e spirituale, dove alle tenebre più arcane e profonde, narrate nel primo verso - «non sai cosa vuol dire soffrire d’ansia, sperare di morire mentre il giorno avanza» -, fa seguito uno status di blocco emotivo - «cigolo, stando fermo sono in bilico» -, con la conseguente incapacità di esprimere i propri sentimenti - «se ti amo mi nascondo, come fossi muto non mi esprimo» - e le proprie emozioni - «Silio, faccio guerra al mio ridicolo, modo di non dimostrare Scusa» -, per sfociare e concludersi nella presa di consapevolezza, una coscienza che assume i tratti luminosi e illuminanti della verità e della speranza - «tu piovi quando nevica, sii la verità in questo Truman Show» -, traducibili nella visione e nel calore di quello spiraglio di luce interiore in grado di illuminare paure e fragilità, rendendole presenze con cui misurarsi per migliorarsi ogni giorno, anziché nemici da combattere o fantasmi dai quali fuggire.
Il titolo del brano, chiaro e voluto riferimento al celebre film di Peter Weir del 1998 “The Truman Show”, premiato con tre British Academy of Film and Television Arts ed altrettanti Golden Globe grazie alla straordinaria versatilità interpretativa di Jim Carrey, fonde malinconia, rassegnazione e verità, raccontando la condizione alienante in cui ci si ritrova nel vivere un’esistenza fittizia, lontana dalla propria natura e dalle proprie inclinazioni, da quelle aspirazioni e da quei desideri che sono insiti nel cuore di ciascuno di noi, ma possono essere colti soltanto da chi è in grado di percepirli, assecondarli e coltivarli, conducendo un percorso autentico, cucito, con le proprie mani, su se stessi, con il filo dell’autodeterminazione e della convivenza consapevole con i propri limiti e le proprie virtù.
«Ho scritto questo brano – dichiara l’artista – basandomi sul film “The Truman Show”, perché, proprio come il protagonista della storia scopre che i suoi primi 30 anni di vita non sono stati altro che una messinscena, iniziando a desiderare di conseguenza di fuggire da quella quotidianità, anche se era stata costruita su misura per lui, allo stesso modo, nel periodo in cui l’ansia era più presente nella mia vita, io stesso tendevo a dissociarmi dalla realtà, perché la paura si alimenta con la paura stessa».
Ma “Truman Show” non rappresenta soltanto un dialogo in cui ogni sfumatura dell’anima si confronta con se stessa e comunica con tutte le nuance che colorano il dipinto della nostra unicità personale, bensì si eleva a manifesto musicale contro i tabù, le discriminazioni ed i pregiudizi che tutt’oggi, purtroppo, continuano ad avvolgere i soggetti fragili e tematiche quali le malattie mentali ed il sostegno psicologico e psichiatrico.
«Con questo brano – prosegue Trunchell, Etc. -, voglio inoltre sdoganare il concetto secondo cui essere in terapia equivalga ad essere “pazzi”. Ho cercato di spiegare che la salute mentale non può e non deve essere messa in secondo piano, che l’ansia, la paranoia e l’auto-sabotaggio possono ridurti ad uno scheletro, esattamente come un cancro. Spesso sentiamo il bisogno di fuggire da una routine che sentiamo artefatta, ma - esattamente come Truman Burbank -, abbiamo paura di cambiare, perché siamo troppo abituati a vivere così, in un modo che, come un quadro dipinto appositamente per noi, ci fa sentire, in qualche maniera, sicuri delle nostre insicurezze, ingabbiandoci giorno dopo giorno».
In “Truman Show” viene anche esposto un messaggio sociale, che l’artista spiega, concludendo:
«Siamo nell’epoca dell’apparire e ci scordiamo spesso che dietro un volto c’è un concetto, una storia. Tutti noi vogliamo far credere di essere felici anche quando stiamo morendo dentro o lo siamo già; di conseguenza, abbiamo la presunzione di giudicare ciò che non percepiamo. Siamo sicuri di condurre la nostra vera vita?».
Un quesito che può trovare risposta soltanto in seguito ad un’analisi onesta e sincera nei confronti di noi stessi, delle nostre aspirazioni, delle nostre aspettative e di ciò che stiamo facendo, nel concreto, per raggiungere, ogni giorno, la versione di noi che vogliamo essere.
“Truman Show” riconferma la sensibilità artistica e la raffinatezza autorale di Trunchell, Etc., coniugando, con intelligenza e maestria, riferimenti letterari, storici, cinematografici e teatrali, ad un impegno sociale a cui tutti noi siamo chiamati ad adempiere, superando ed elidendo, definitivamente, le barriere della paura, dell’esclusione e della ghettizzazione che ancora troppo spesso vengono innalzate contro tutto ciò che, per mancanza di conoscenza, comprensione e ascolto, viene etichettato come “diverso”....
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Rap e malattia mentale: Trunchell, Etc. pubblica "Truman Show", contro emarginazione e stig
Dopo l’incredibile successo ottenuto con “Emily Norton”, brano che ha raggiunto centinaia di migliaia di streams in pochissime settimane, scalando le migliori classifiche di fine 2021 ed entrando nei palinsesti delle principali emittenti radiofoniche italiane, l’eclettico ed incisivo Trunchell, Etc. torna con “Truman Show” (Red Owl records/Visory Records/Believe Digital), il suo nuovo singolo prodotto da Gaedi.
Un pezzo intimo e sincero, che, spogliato da maschere e filtri, rappresenta il punto d’incontro tra anima e immagine, raccontando la persona, l’essenza di Francesco, dietro al misterioso personaggio di Trunchell.
Un ritratto autobiografico, intenso e viscerale, in cui il tenebroso artista classe 2000 lascia spazio alle fragilità e alle vicissitudini di un ragazzo che, come ogni altro, modella se stesso e il suo futuro tra debolezze e punti di forza, facendo i conti con la propria personalità e cercando di unire, quotidianamente, i tratti della sua unicità a quelli che lo accomunano alla società che lo circonda.
E come in un sequel di pellicole in cui protagonista e spettatore coincidono, “Truman Show” è suddiviso in 3 atti che si susseguono e portano in scena l’evoluzione umana, una vera e propria rinascita, mentale e spirituale, dove alle tenebre più arcane e profonde, narrate nel primo verso - «non sai cosa vuol dire soffrire d’ansia, sperare di morire mentre il giorno avanza» -, fa seguito uno status di blocco emotivo - «cigolo, stando fermo sono in bilico» -, con la conseguente incapacità di esprimere i propri sentimenti - «se ti amo mi nascondo, come fossi muto non mi esprimo» - e le proprie emozioni - «Silio, faccio guerra al mio ridicolo, modo di non dimostrare Scusa» -, per sfociare e concludersi nella presa di consapevolezza, una coscienza che assume i tratti luminosi e illuminanti della verità e della speranza - «tu piovi quando nevica, sii la verità in questo Truman Show» -, traducibili nella visione e nel calore di quello spiraglio di luce interiore in grado di illuminare paure e fragilità, rendendole presenze con cui misurarsi per migliorarsi ogni giorno, anziché nemici da combattere o fantasmi dai quali fuggire.
Il titolo del brano, chiaro e voluto riferimento al celebre film di Peter Weir del 1998 “The Truman Show”, premiato con tre British Academy of Film and Television Arts ed altrettanti Golden Globe grazie alla straordinaria versatilità interpretativa di Jim Carrey, fonde malinconia, rassegnazione e verità, raccontando la condizione alienante in cui ci si ritrova nel vivere un’esistenza fittizia, lontana dalla propria natura e dalle proprie inclinazioni, da quelle aspirazioni e da quei desideri che sono insiti nel cuore di ciascuno di noi, ma possono essere colti soltanto da chi è in grado di percepirli, assecondarli e coltivarli, conducendo un percorso autentico, cucito, con le proprie mani, su se stessi, con il filo dell’autodeterminazione e della convivenza consapevole con i propri limiti e le proprie virtù.
«Ho scritto questo brano – dichiara l’artista – basandomi sul film “The Truman Show”, perché, proprio come il protagonista della storia scopre che i suoi primi 30 anni di vita non sono stati altro che una messinscena, iniziando a desiderare di conseguenza di fuggire da quella quotidianità, anche se era stata costruita su misura per lui, allo stesso modo, nel periodo in cui l’ansia era più presente nella mia vita, io stesso tendevo a dissociarmi dalla realtà, perché la paura si alimenta con la paura stessa».
Ma “Truman Show” non rappresenta soltanto un dialogo in cui ogni sfumatura dell’anima si confronta con se stessa e comunica con tutte le nuance che colorano il dipinto della nostra unicità personale, bensì si eleva a manifesto musicale contro i tabù, le discriminazioni ed i pregiudizi che tutt’oggi, purtroppo, continuano ad avvolgere i soggetti fragili e tematiche quali le malattie mentali ed il sostegno psicologico e psichiatrico.
«Con questo brano – prosegue Trunchell, Etc. -, voglio inoltre sdoganare il concetto secondo cui essere in terapia equivalga ad essere “pazzi”. Ho cercato di spiegare che la salute mentale non può e non deve essere messa in secondo piano, che l’ansia, la paranoia e l’auto-sabotaggio possono ridurti ad uno scheletro, esattamente come un cancro. Spesso sentiamo il bisogno di fuggire da una routine che sentiamo artefatta, ma - esattamente come Truman Burbank -, abbiamo paura di cambiare, perché siamo troppo abituati a vivere così, in un modo che, come un quadro dipinto appositamente per noi, ci fa sentire, in qualche maniera, sicuri delle nostre insicurezze, ingabbiandoci giorno dopo giorno».
In “Truman Show” viene anche esposto un messaggio sociale, che l’artista spiega, concludendo:
«Siamo nell’epoca dell’apparire e ci scordiamo spesso che dietro un volto c’è un concetto, una storia. Tutti noi vogliamo far credere di essere felici anche quando stiamo morendo dentro o lo siamo già; di conseguenza, abbiamo la presunzione di giudicare ciò che non percepiamo. Siamo sicuri di condurre la nostra vera vita?».
Un quesito che può trovare risposta soltanto in seguito ad un’analisi onesta e sincera nei confronti di noi stessi, delle nostre aspirazioni, delle nostre aspettative e di ciò che stiamo facendo, nel concreto, per raggiungere, ogni giorno, la versione di noi che vogliamo essere.
“Truman Show” riconferma la sensibilità artistica e la raffinatezza autorale di Trunchell, Etc., coniugando, con intelligenza e maestria, riferimenti letterari, storici, cinematografici e teatrali, ad un impegno sociale a cui tutti noi siamo chiamati ad adempiere, superando ed elidendo, definitivamente, le barriere della paura, dell’esclusione e della ghettizzazione che ancora troppo spesso vengono innalzate contro tutto ciò che, per mancanza di conoscenza, comprensione e ascolto, viene etichettato come “diverso”....
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"Hyperpop" è l'EP di debutto degli YOKO, la band più rivoluzionaria del panorama music
L’originalità autorale e la stravaganza compositiva degli YOKO tornano a regalare energia e grinta in “Hyperpop” (The Bluestone Records/Talentoliquido/Believe Digital), il loro primo EP.
A poco più di un mese dalla pubblicazione – e dal successo - del singolo di debutto “Tra Melbourne e Tiburtina”, brano rilasciato lo scorso 03 Dicembre ed entrato di diritto nelle più ambite playlist dei principali digital store, la band dall’animo punk rock e dalle mille sfumature capaci di tingere l’arcobaleno sonoro dall’indie al metal all’elettronica, dona al pubblico uno scrigno, ornato dalla maestria della producer capitolina Reb the prod, che racchiude quattro gemme preziose, frutto del perfetto connubio tra storia e sperimentazione.
Dalla già edita riflessiva traccia sopracitata al suggestivo “Danny Glover” - che omaggia l’attore ed attivista statunitense ed, in perfetto stile YOKO, contrappone una produzione armoniosa e delicata ad un testo dal forte impatto emotivo, magicamente intriso di riferimenti al passato, tra ironia e malinconia, in un’emozionante antitesi che cattura sin dal primo ascolto -, passando per l’incalzante “Canzone per l’Ecuador”, il progetto si apre con “Make Up Artist”, una release accattivante ed intensa al tempo steso, che il gruppo racconta con queste parole:
«Il pezzo è nato da un’idea di Mario, il nostro chitarrista: aveva in mente un ritornello più o meno definito, sul quale tutti abbiamo lavorato con entusiasmo, sviluppando così la strofa e le varie sezioni, giungendo poi all’arrangiamento e al prodotto finito, così come oggi potete ascoltarlo».
Il testo del singolo, scritto a quattro mani dallo stesso Mario Gennari con il contributo della creatività autorale del frontman Tiziano Capponi, intreccia le esperienze personali dei due autori, entrambi reduci da una relazione tossica e disfunzionale con due professioniste del settore estetico – da qui la scelta del titolo -, attraverso un’incredibile sequenza di immagini incisive ed emblematiche - «il mio cane torna con un cuore in bocca, sembra il mio, sembra il tuo»; «ricordo il tuo sguardo, come un uragano» -, che danno vita ad uno storytelling sentimentale originale e rocambolesco, un ensemble di nostalgia, pungente umorismo, amore e disillusione.
Un pezzo per dimenticare ma ricordare al contempo, perché è solo lasciandosi alle spalle rapporti nocivi e asfissianti che è possibile rinfrancare la fiducia in se stessi, recidendo legami opprimenti e allontanandosi da coloro che celano la propria essenza dietro alibi e maschere - «ti riconosco, sei sempre più truccata» -.
Grazie all’eccellente capacità interpretativa di Tiziano, alla sua vocalità energica e vibrante e all’innovativo patchwork musicale tra rock, punk, pop, indie ed elettronica, “Make Up Artist”, inizialmente concepita come una ballad acustica chitarra e voce, è un vero e proprio pezzo up-temo, in grado di fondere il ritmo frenetico, aggressivo e travolgente del sound – richiamo simbolico al tumulto del cuore -, alla delicatezza di un testo che, attraverso riuscite analogie e vivide illustrazioni, descrive perfettamente il percorso di rinascita dopo la fine di una relazione, narrando, dapprima una condizione di sofferenza e delusione e sfociando, infine in un frizzante e sentito grido liberatorio.
“Hyperpop”, interamente prodotto dalla stessa band, con mix e master a cura di Andrea Mattia del S.A.M. Recording Studio di Roma e registrato negli studi di The Bluestone Records, segna l’ascesa degli YOKO, mettendo in luce la loro versatilità comunicativa e riconfermandoli come una delle migliori e più innovative proposte del panorama indie-rock italiano.
Biografia.
La sana follia di Valentino Puccio, la penna raffinata e popolare di Tiziano Capponi, l’anima al miele metal di Marco Marcatili ed il romantic groove di Mario Gennari: in una parola, YOKO. La band, nata a Roma nel 2018, si inserisce in punta di piedi nell’impetuosa corrente punk-rock nazionale, ma, anziché seguirla, la risale e la inverte. Eclettici, stravaganti, riflessivi e istintivi al tempo stesso, regalano al pubblico un suggestivo tocco personale, in uno strabiliante patchwork sonoro, un’incredibile antitesi di mente e cuore che, proprio come lo Yin e lo Yang, si amalgama e coesiste alla perfezione. Un’inaspettata sorpresa per le orecchie ed una travolgente carezza per l’anima.