Discussione

L’alternative rock italiano ritrova autenticità con i Numbers 22

L’alternative rock italiano ritrova autenticità con i Numbers 22

C'è un momento in cui la passione smette di essere un sogno e diventa una scelta. Per i Numbers 22, quel momento ha coinciso con un trasloco di 700 chilometri: da Napoli a Treviso, passando per il luogo in cui sono cresciuti, Cassino (FR), tra le mani sporche di lavoro e intere nottate in sala prove, per inseguire un’unica certezza — vivere di musica, o non vivere affatto. Non li ha lanciati un talent né un algoritmo: il loro primo EP, “22”, è nato così: dalla passione, dalla distanza, dalla rinuncia. Lavorando di giorno e suonando di notte, la frustrazione si è trasformata in canzoni. E quelle canzoni, oggi, parlano per loro. “22” è il loro primo progetto alternative rock: cinque tracce come cinque incisioni sulla pelle, che raccontano cosa significa lasciare tutto – davvero – per inseguire un’idea. Un disco nato dalla fame, non solo in senso metaforico: quella che ti spinge a fare turni, risparmiare su tutto, e poi rinchiuderti in sala prove fino all’alba per registrare, scrivere, riscrivere, sbagliare, crederci. Il progetto nasce dal legame viscerale tra Luca (Cory) e Francesco (Mad), cugini cresciuti come fratelli. In piena pandemia decidono di lasciare il Sud e trasferirsi a Treviso per una scommessa: costruirsi da soli un futuro nella musica. Senza etichette, senza certezze, ma con una consapevolezza rara in una scena spesso distratta: «Abbiamo capito che se non ci credevamo noi, non l’avrebbe fatto nessun altro. Allora abbiamo messo tutto in discussione, tranne la musica», raccontano. “22” è il numero che li accompagna da sempre. È diventato il nome della band e, ora, anche quello dell’EP. Ma è soprattutto un simbolo: della loro unione, del punto di svolta, del codice di una generazione che non si riconosce più nei modelli preconfezionati, ma prova a inventarsi una strada alternativa. È un rituale, un segno ricorrente che torna nei momenti chiave. Il giorno di una decisione importante. L’orario di una telefonata. Il numero scritto su un muro, su una porta, su un biglietto. Un richiamo costante che ha segnato la loro storia — e ora ne scrive il suono. Durante la lavorazione dell’EP, al duo si uniscono Giordano (JJ) al basso e Iacopo (Papo) alla batteria, portando nuova energia e solidità alla band. Ma la direzione resta intatta: suonare e cantare la verità, anche quando fa male. “22” è un EP in inglese, scritto e interpretato da chi conosce bene la parola ricominciare, prodotto e curato in ogni dettaglio da soli: per il mercato indipendente italiano, una rarità. Il pop del Belpaese è tornato al centro e l’inglese è spesso visto come un vezzo da export: mentre gran parte della nuova scena nazionale rincorre la lingua madre o l'estetica mainstream con la speranza di aggiudicarsi like e playlist, loro fanno un'altra scelta, completamente controcorrente. Scrivere e cantare in una lingua non loro — non per moda, ma perché è così che pensano, parlano, si raccontano. Una forma di distanza che protegge, ma non filtra. Con un’identità che non simula nessuno. E soprattutto, perseguono una linea chiara: dai visual al concept, senza team, senza major, senza hype. Nessun team creativo, nessuna agenzia. Solo loro, uno per uno, a costruire un progetto coerente e preciso, che oggi sembra professionale, ma che è nato in un garage. In un tempo in cui il DIY è spesso un trend, i Numbers 22 lo incarnano sul serio: senza estetica “lo-fi”, senza storytelling estetizzante. Solo lavoro. E una convinzione granitica: la forma deve reggere il contenuto. Nel 2025, chi canta in inglese partendo dal nulla ha due possibilità: sembrare fuori tempo, o sembrare fuori posto. I Numbers 22 non sono nessuna delle due cose: sembrano fuori dagli schemi, ma dentro l’unico spazio che conta davvero, quello della sostanza. In “22” non c’è un brano scritto a tavolino, una hit guida imposta, ma c’è un’esigenza chiara: raccontare ciò che brucia, ciò che non si riesce più a tenere dentro. Pezzi scritti nei giorni in cui le parole servivano per stare a galla. È per questo che proprio “R U Looking?” — la traccia di apertura — è attualmente in rotazione radiofonica: perché funziona come manifesto del progetto. Un brano che dice quello che molti pensano ma pochi hanno il coraggio di chiedersi davvero: «Your eyes are open, but are you looking?» («I tuoi occhi sono aperti, ma stai guardando?») Tra scroll infiniti e silenzi pieni di rumore, questa domanda è diventata il mantra della band. Il resto dell’EP prosegue con la stessa urgenza. Ogni traccia è un frammento vissuto, una storia vera. Non c’è un sentiero preciso, c’è solo un bisogno: dire quello che spesso si ingoia. Nessun tentativo di piacere, nessun effetto scenico. Solo cinque canzoni che stanno in piedi da sole. Cinque verità da affrontare. A seguire, tracklist e track by track del disco. “22” – Tracklist: 1. R U Looking? 2. Time Files 3. Too Bad 4. Goodbye 5. Piece of Myself “16m²” – Track by Track: L’EP si apre con “R U Looking?”, una sveglia in forma di brano che interroga chi ascolta e denuncia il torpore della vita digitale. «Your eyes are open, but are you looking? The world spins fast, but are you moving?» («I tuoi occhi sono aperti, ma stai guardando? Il mondo gira veloce, ma ti stai muovendo?»). Una domanda scomoda in un’epoca che anestetizza, che riempie di rumore ma toglie il senso. Il pezzo rompe il vetro della bolla online e chiede un ritorno alla realtà, come un grido di battaglia che ha il coraggio di non essere accomodante. Segue “Time Files”, il cui tema cardine è la liberazione da relazioni tossiche e dinamiche di dipendenza affettiva. È il racconto dell’istante in cui si smette di rincorrere chi ferisce e si sceglie, finalmente, di stare dalla propria parte: «I don't wanna play your game. This time I'm the one who decides» («Non voglio giocare al tuo gioco. Questa volta sono io a decidere»). “Too Bad” è forse il brano più crudo dell’EP. Una battaglia interiore che non cerca facili soluzioni: «Say you won’t let go ‘cause we’ll never go back. This is too bad» («Dì che non mi lascerai andare perché non torneremo mai più indietro. Questo è un vero peccato»). La voce si spezza, si riflette nello specchio, chiede di non essere lasciata da parte. Qui, l’alternative rock della band mostra la sua vena più fragile, ma senza perdere la forza comunicativa e narrativa. C’è la paura di essere lasciati all’angolo, ma anche la rabbia di chi non vuole arrendersi. In “Goodbye”, invece, la scelta diventa definitiva: il saluto alla sicurezza, alla casa, all’abitudine. «Close the door behind me, I have to find myself at all cost» («Chiudi la porta alle mie spalle, devo ritrovare me stesso a ogni costo»), cantano, raccontando cosa significa andarsene per ritrovarsi, anche se il cuore resta dov’era. A chiudere l’EP, “Piece of Myself”, un brano che è quasi un testamento. Una forza quietamente devastante: reiterata come una formula, ma mai sterile. Una confessione frammentata, l’alternanza tra controllo e rottura, tra il dire e il non riuscire a dirlo fino in fondo. Un pezzo che non ha bisogno di rincorrere il climax: resta lì, immobile, come una ferita che non si rimargina. «In everything I do, I leave a piece of myself» («In tutto ciò che faccio, lascio un pezzo di me stesso»): è un pensiero che si ripete, ossessivo, come se ogni verso fosse un tentativo di dirsi la verità fino in fondo. Il racconto delle notti in cui non si dorme, delle fughe che non funzionano, della fatica di provare a cambiare e fallire. Perché c’è chi scrive per guarire, e chi scrive per restare vivo. Qui non si cerca conforto: si cerca solo di reggere. È la chiusura più onesta possibile di un disco nato per necessità. «Facciamo musica perché non sappiamo vivere altrimenti – concludono i Numbers 22 -. Questo disco non lo vediamo come un inizio, ma come una conseguenza. È il frutto di tutte le volte in cui ci siamo detti “non ce la faremo mai”, e invece siamo andati avanti.» In un momento storico in cui sempre più giovani scelgono di emigrare per inseguire una possibilità, il percorso dei Numbers 22 intercetta un tema attuale e trasversale: la disillusione, la rinascita, il valore del sacrificio. “22” non è un EP che chiede di piacere. È un disco che pretende di essere ascoltato. E che lascia addosso qualcosa, come un tatuaggio. Come un numero che ritorna. Come qualcosa che non hai scelto, ma che ti sceglie. Un disco che rimane, anche quando tutto il resto scorre. Un punto fermo. O un punto di rottura.