Discussione

“Dimmi perché”: dal concetto di closure al rap di Spectrum Vates

“Dimmi perché”: dal concetto di closure al rap di Spectrum Vates

Molte storie non finiscono davvero: restano aperte, cristallizzate in domande senza risposta. Gli psicologi lo chiamano closure e sottolineano che la difficoltà a chiudere una relazione è spesso legata non tanto alla fine in sé, quanto all’assenza di spiegazioni. “Dimmi perché”, il nuovo singolo di Spectrum Vates per PaKo Music Records con distribuzione Believe Digital, mette in musica proprio quel limbo: un ritratto scomposto, fatto di immagini che si incrinano e si sovrappongono, che racconta un amore giunto al capolinea senza punti definitivi. Negli ultimi anni, il termine closure è entrato nel linguaggio comune ben oltre l’ambito psicologico: su TikTok e Instagram, l’hashtag #closure supera i 2 miliardi di visualizzazioni, mentre podcast e rubriche di costume analizzano sempre più spesso la difficoltà di archiviare relazioni senza chiarimenti. In letteratura, autori come Joan Didion o Haruki Murakami hanno descritto nitidamente quel vuoto lasciato da storie interrotte, trasformandolo in materia narrativa. È in questo stesso solco culturale che si colloca “Dimmi perché”, ponendo in musica un’esperienza attualissima, condivisa da molti. Il rap diventa cinema a fotogrammi sparsi, il perfetto linguaggio per ricostruire la storia come la ricordiamo davvero: a tratti, tra luci calde e rassicuranti e zone d’ombra. Un rap, quello di Spectrum Vates, in grado di racchiudere nella stessa cornice nostalgia, passione, delusione, sentimento e ferite ancora aperte; un flusso che non si piega a schemi metrici rigidi, ma si muove per istantanee, lasciando che siano le parole a reggere il peso del non detto. Perché se certe storie non finiscono, si frantumano. E i ricordi che ci lasciano addosso, come scie che ci impediscono di voltare pagina, non seguono mai l’ordine cronologico, ma si accavallano senza preavviso, come polaroid cadute su un pavimento vuoto, abbandonate lì, senza nessuno a raccoglierle. È così che “Dimmi perché” si avvicina al nucleo del racconto senza mai ricomporlo del tutto: il ritratto di una relazione finita come un puzzle a cui mancano pezzi. Un mosaico incompleto, che proprio nella sua imperfezione dice una delle verità più complesse da accettare: alcune risposte non arriveranno mai. Dopo “Pupille d’alabastro”, brano in cui l’artista aveva scelto la lentezza, parlando dell’amore come un gesto quotidiano da proteggere, “Dimmi perché” cambia prospettiva e attraversa il “dopo”: non il rapporto di coppia in sé, ma i cocci che ne restano. L’album fotografico è lo stesso, ma le pagine non sono più rilegate: si disperdono, si sovrappongono, e ad un certo punto si strappano. Aretino classe 1999, Spectrum Vates ha intrapreso il proprio percorso artistico rifiutando facili espedienti e logiche dell’hype, scegliendo di restare fedele alla sostanza, al contenuto e alla poetica del rap. In una scena spesso affollata da strofe usa e getta, la sua è una scrittura che non teme la densità e l’immagine, capace di intrecciare il linguaggio diretto della strada alla precisione visiva di un obiettivo cinematografico. In “Dimmi perché” questo approccio si amplifica: le parole non raccontano in linea retta, ma si aprono in scene. «Sfiori i miei rimorsi come petali di rosa» e, poco dopo, «Fuoco che ci brucia e poi diluvio che ci spegne», sono versi che funzionano come inquadrature, dettagli isolati che, messi insieme, ricompongono la trama sentimentale. Non si tratta di semplice cronaca, ma di una sequenza di flashback tra ricordo idealizzato e la realtà bruciante di un amore arrivato alla fine. Prodotto dallo stesso artista, con mix e master a cura di Atomic, il brano prosegue la cifra estetica di Spectrum Vates: centralità della parola, suono che sostiene senza offuscare il senso del testo, fedeltà a un’identità che preferisce rivolgersi a chi resta – anche nelle difficoltà - piuttosto che farsi notare da chi passa. Se “Pupille d’alabastro” era una lettera scritta a mano, “Dimmi perché” è un cassetto aperto da cui cadono fogli, biglietti, istantanee: pezzi di un racconto che non si può – o non si vuole – ricomporre. «Non ho cercato un inizio e una fine – dichiara –. Ho scritto come ricordiamo davvero: a salti, passando dal bene al male senza preavviso. Volevo che il brano fosse un album di immagini spezzate, perché è così che restano certe storie: incompiute.» Ancora una volta, Spectrum Vates dimostra che il rap può essere letteratura orale e che la narrazione frammentaria, se sincera, può farsi portavoce di una verità più profonda della cronaca lineare. L’amore e l’odio si alternano in un montaggio serrato: sorrisi amari, piogge battenti, abbracci che graffiano e addii pronunciati sottovoce. L’artista non cerca colpe né colpevoli. E non vuole dare responsi a una storia finita: conserva le domande. E nel farlo, scatta la fotografia più conforme di ciò che resta. In “Dimmi perché”, accompagnato dal videoclip ufficiale diretto e prodotto da Giacomo Cassara' e girato da Serena Giorgi, il rap diventa archivio di ciò che rimane quando una storia non si chiude: non un punto, ma una parentesi lasciata aperta, dove le domande continuano a vivere anche quando le parole sono finite.