Un libro molto interessante uscito per la Rusconi editore e curato dal giornalista Roberto Alessi del settimanale Gioia autore della intervista a Versace, porta il titolo Dentro una vita e a scriverlo è Giuliano Ravizza, il fondatore del marchio di pellicce di moda Annabella di Pavia. Giuliano ripercorre la storia della sua famiglia e della fortuna imprenditoriale aiutata pure dalla fortuna che di solito premia gli audaci come sottolinea nel romanzo. Il capostipite della famiglia Luigi sosteneva che studiare era roba per ricchi e lui faceva il vetturino con la classica bombetta sulla testa. E il mantello sulle spalle Nella sua modesta casa si mangiava carne solo la domenica e al capofamiglia si dava una razione doppia perché era l’unico ad avere uno stipendio. Era convinto che i figli si dovessero fare strada da soli e non dava loro mance e compensi. Suo figlio Gilio dopo la terza elementare aveva deciso di divenire apprendista in una sartoria, la scelta era stata per forza non avendo trovato altro. Cosi si alzava alle cinque e prendeva il treno dei pendolari studiando da autodidatta e di nascosto. Era molto parsimonioso e curioso della vita. La sua ambizione e fiducia in sé lo portava ad aprire una propria sartoria. Era caparbio e la sua mente piena di iniziative. Nel dopoguerra in una balera conosceva la timida moglie Maria che non lavorerà mai nella azienda, il suo ruolo era solo quello di sistemare i ferri da stiro. La sartoria sorgeva vicino alla abitazione, perché Gilio sapeva che il tempo era denaro. Gilio cominciava poi a viaggiare per fare confronti per avere nuove idee ma sempre in treno e in terza classe. Gilio in poco tempo riusciva ad aprire cinque negozi in centro con una clientela selezionata di degno riguardo. Suo figlio Giuliano dopo il liceo scientifico si era iscritto a medicina ed aveva esercitato la professione per cinque anni e anche la sorella Carla si era laureata. Dopo la morte del padre, che aveva offuscato la gioia della nascita del figlio Ruggero, aveva deciso di prendere in mano l’azienda di famiglia. Grazie a una rete di amicizie aveva ampliato la produzione e creato abiti su misura. La sua creatività aveva dei riconoscimenti immediati. Realizzava confezioni su misura e abiti in serie di grande eleganza per clienti facoltosi intanto i figli prendevano lezioni di piano, di lingue e si formavano in modo adeguato quasi per una rivalsa sul destino che all’inizio era stato avaro con la famiglia di umili origini. Giuliano dopo la morte del padre si sente invaso da una nuova forza, come accade a molti rimasti orfani che sentono come una spinta. Gli dava conforto andare ogni giorno al cimitero per avere conforto, consiglio, appoggio. In certe scelte si sentiva come ispirato. Sul lavoro era efficiente, dinamico e accantonava ogni cruccio o problema da vero professionista. Creava nuovi punti commerciali e chiamava abili vetrinisti per le sue boutique di lusso. Alla fine aveva dato una impronta manageriale alla sua produzione ed era ricorso alla pubblicità di giornali e riviste per i suoi modelli. Una intuizione geniale. Poi a un certo punto, dopo numerosi viaggi all’estero, convertiva la produzione in quella di pellicce di pregio. La notorietà gli veniva dagli ambienti mondani. Grazie alla esperienza accumulata realizzava capi eleganti di grande successo anche all’estero. Riusciva poi ad inventare il pret a porter per le pellicce, un modo come un altro per rendere il lusso accessibile. Gli anni migliori per l’azienda Annabella sono quelli del boom economico. La fama di certi modelli arriva fino in Russia. I progetti si susseguono. Gli acquisti si moltiplicano all’estero anche se il punto vendita ufficiale resta la sede di Pavia dove si recano attrici, cantanti, politici. Negli anni settanta la pubblicità era affidata ai canali privati, alcuni spot con la regia persino di Zeffirelli e con la presenza di Monica Bellucci. Il suo stile innovativo compariva nelle sfilate alla scala di Milano e al festival di Sanremo
Nel 1981 Giuliano Ravizza veniva rapito sotto casa da chi aveva studiato le sue abitudini e lo affrontava a viso scoperto La prigionia durava tre mesi durante i quali era stato portato in grotte, appartamenti, cantine e persino in Aspromonte. A trattare per il riscatto era stata soprattutto la figlia Simonetta aiutata dai due fratelli. Durante la prigionia Ravizza aveva cercato di mantenere la mente lucida scrivendo pure lettere. Si era reso conto anche della umanità di certi carcerieri spinti dalla fame e infatti i diritti di vendita del libro sono devoluti ai figli dei carcerati in Italia. Veniva poi rilasciato il giorno di natale per la gioia dei figli tornati uniti. I figli erano piombati nella disperazione e si impegnavano a mandare avanti l’azienda per non pensare al peggio. La figlia Simonetta trovava conforto nella fede, nelle piccole cose. I collaboratori e dipendenti venivano trattati con la logica del bastone e la carota e la azienda proliferava anche in sua assenza. Dopo il sequestro Giuliano era divenuto più umano, con una nuova coscienza e consapevolezza. La stima degli amici era la stessa, il suo mondo di valori era intatto. Ora capiva chi soffriva e provava pena per loro. Alla fine aveva perdonato.
Ravizza è morto in seguito a un tumore nel 1992 a lui è stato dedicato il palazzo dello sport di Pavia in quanto anche lui sportivo e i figli hanno donato un giardino alla città.
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