Discussione

COVID-19, LA PANDEMIA DEL XXI SECOLO. IL PUNTO DE IFATTIDINAPOLI CON IL PROF. BRUNO GENTILE

COVID-19, LA PANDEMIA DEL XXI SECOLO. IL PUNTO DE IFATTIDINAPOLI CON IL PROF. BRUNO GENTILE

Bruno Gentile, 63 anni, noto clinico medico ed igienista, già in passato consulente scientifico in numerosi tavoli tecnici, scientifici ed istituzionali. Attualmente ricopre l’incarico di Direttore del Dipartimento per la Tutela della Salute di A.S.S.O. (Associazione Sindacale Solidale Organizzato), Realtà Nazionale ed Internazionale che raggruppa Federazioni e Confederazioni. Esperto nel campo della prevenzione primaria, si è reso estensore e promotore di un rinnovato modello di approccio alla salute individuale, da lui denominato “Prevenzione Primaria Integrata”, che integra, tra l’altro, tradizione clinica e progresso scientifico, ponendo sempre al centro la Persona nella sua globalità e nel contesto ambientale di vita. Buongiorno Prof Gentile, Le diamo il benvenuto su ifattidiNapoli. Lei è stato molto apprezzato e seguito sui social, attraverso articoli interviste e commenti, per la chiarezza espositiva e per l’alta visione scientifica con la quale si è sempre presentato, tenendo una posizione obiettiva ed equilibrata, senza mai lasciarsi andare a facili entusiasmi o a previsioni drammatiche, e per questo continua a restare presso l’opinione pubblica una figura professionale di riferimento molto ascoltata e seguita. Le chiedo per cominciare che idea si è fatta di questa drammatica vicenda pandemica? Innanzitutto buongiorno a lei e grazie per il gentile invito. Premetto che non sono un virologo, ma come clinico sono abituato ad ascoltare e ad analizzare con logica gli eventi; In qualità di Igienista e ricercatore in passato ho avuto già modo di imbattermi nello studio di alcune malattie infettive, relativamente al loro impatto sul nostro sistema immunocompetente nonché al loro andamento epidemiologico. Ebbene, entrando subito nel vivo della sua domanda, comincerei nel dire che l’evento che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo è senz’altro unico ed immenso per le proporzioni raggiunte in tempi così brevi per cui resta chiaro che affrontare e fronteggiare una emergenza di questo tipo, di dimensioni mondiali, non è facile per nessuno ma che discutere a posteriori è facile per molti. Fatta questa premessa d’obbligo, va con umiltà ammesso che la tragedia pandemica che stiamo vivendo era comunque prevedibile e prevenibile. Si sa, ad esempio, che con periodicità nel mondo fanno la loro comparsa nuovi virus in grado di determinare un attacco ai nostri sistemi di difesa. In particolare, da oltre vent’anni a questa parte e precisamente dal 1997, nuovi virus respiratori con diversi indici di letalità, si sono affacciati alla ribalta: sono ortomixovirus (imparentati alla cosiddetta “spagnola” del 1918) e poi anche coronavirus (ricordo il Sars Cov1 e la Mers ), la maggior parte di provenienza dal sud est asiatico. Ciò spiega anche perché in quei Paesi siano riusciti quasi subito a fronteggiare l’epidemia con efficacia, in quanto storicamente già preparati e a conoscenza di virus a carattere epidemico-pandemico. In cosa da noi si è sbagliato, di preciso? Guardi, i vari outbreak epidemici ricorrenti avrebbero dovuto a mio avviso porre in massima allerta gli studiosi del settore, in particolare i virologi, che già da tempo studiavano e monitoravano tali fenomeni. A loro in particolare toccava il compito di allertare i sistemi sanitari dei Paesi occidentali dal rischio imminente, predisponendo nell’immediatezza una serie di interventi a difesa delle strutture ospedaliere con la creazione di corridoi dedicati in aggiunta alla formazione e protezione adeguate a tutti gli operatori sanitari. Si sarebbe poi dovuto immediatamente procedere alla creazione di una rete di sorveglianza attiva sul territorio con un filtro selettivo dei casi emergenti, sostenendo famiglie e l’intera comunità, con un numero crescente di tamponi molecolari estesi anche ai non sintomatici venuti a contatto con i casi positivi. Ebbene, inizialmente tutto questo è mancato ed è stato pagato un prezzo salatissimo con la diffusione della catena di trasmissione e la gravissima perdita di vite umane tra gli operatori sanitari che ignari si sono trovati a fronteggiare questo nuovo virus, etichettato da parte di personalità dichiarate e dichiaratesi competenti, banale o comunque non più pericoloso di quello che genera normalmente la classica sindrome influenzale. Altra sottostima è non aver considerato l’epoca in cui viviamo, epoca caratterizzata dalla globalizzazione dove persone e merci viaggiano moltissimo e dove le distanze contano poco a causa di voli transoceanici numerosi e veloci. E’ così è stato, dalla Cina rapidamente il virus si è diffuso in tutto il mondo per cui il tentativo di bloccare uno scalo aereo non è servito a nulla! E sulla comunicazione scientifica in questa emergenza cosa ne pensa? Penso, con tutto il rispetto, che non abbia sempre saputo trasmettere una informazione unitaria ed obiettiva, sbilanciandosi spesso in previsioni inopportune e peraltro discordanti, a volte con eccessiva enfasi altre con toni allarmistici. Purtroppo questa condotta, che si è connotata di spunti polemici e litigiosi, ha generato smarrimento e confusione presso la cittadinanza ed è forse una delle cause per cui la gente è oggi particolarmente indecisa nel prendere una decisione netta, ad esempio sui vaccini. Piuttosto che rincorrere risposte ad effetto, si doveva essere più cauti, saper attendere ponendo le giuste domande in relazione ad una infezione imprevedibile di un virus giovane, con note differenziali rispetto ai precedenti. E per quanto riguarda il settore istituzionale, Lei ha riscontrato criticità? Guardi, per onestà del vero, va detto subito che la tragedia vissuta è stata una evenienza dalle proporzioni gigantesche che avrebbe messo comunque a dura prova chiunque, per cui bisogna ammettere che per la prima volta il sistema sanitario di tutti i Paesi occidentali, con qualche piccolo distinguo in termini di capacità d’impatto (vedi la Germania nella prima fase), si sono trovati dinanzi ad un improvviso tsunami dalle proporzioni gigantesche. Come attenuante il mondo istituzionale può certamente chiamare in causa quello scientifico, per non aver saputo prevedere nonostante i già presenti segnali d’allarme e a seguito di una comunicazione tardiva da reale pericolosità del virus. Per quanto concerne casa nostra, va anche citato, a mio modo di vedere, lo sforzo positivo che il Sistema Sanitario Nazionale ha manifestato dopo la prima fase di smarrimento con l’aumento dei posti di terapia intensiva e del numero dei reparti di malattie infettive e di pneumologia oltre alla grande mobilitazione di risorse umane con una importante dimostrazione di professionalità in un momento di grave difficoltà. Premesso ciò, comunque una certa criticità va addebitata a mio avviso al mondo istituzionale in quanto la tanto decantata “deospedalizzazione” non credo abbia raggiunto in questi ultimi anni di sua applicazione un pieno equilibrio tra l’assistenza in ambito ospedaliero e quella distrettuale o territoriale, situazione aggravata da un progressivo depauperamento di personale sanitario entrato in quiescenza e non sostituito debitamente. In particolare il Territorio, che assieme alla Innovazione Digitale rappresentano le certezze sulle quali si baserà la Sanità del Futuro, ha mostrato alcune falle: esso si è presentato non pronto ad affrontare una condizione acuta e di emergenza, sia in termini di prima assistenza sia in termini di sostegno sociale adeguato alla condizione di acuzie. Senza contare le difficoltà che il territorio stesso ha presentato nel continuare a gestire il gravoso e mai cessato impatto socio-sanitario da parte di malattie croniche non trasmissibili (quelle per intenderci cardio e cerebrovascolari, respiratorie, immunomediate, fino a quelle del neuro-sviluppo e neuro-degenerative includendo obesità e diabete 2 giovanile), il cui incremento consolidato da circa trent’anni a questa parte resta verosimilmente legato ad un nuovo modo di considerare l’inquinamento ambientale, un fenomeno ancora tutto da definire. Sicuramente esso è da inquadrare in una accezione più moderna grazie agli sviluppi e progressi della biologia molecolare ed evoluzionistica e per le quali ad una nuova rappresentazione dell’intero genoma come una rete molecolare unitaria fluida e sistemica, l’Ambiente riveste un ruolo decisamente fondamentale nel determinismo causale dei nostri fenotipi, sia in senso fisiologico che patologico. Ma questo è un altro discorso! Davvero interessante questa visione moderna del rapporto genoma-ambiente e ci serve per introdurre l’ultimo tema che le chiedo di affrontare. Argomento attuale che sembra trovare ancora qualche resistenza presso l’opinione pubblica. Che ne pensa dei vaccini in corso Covid19? Mi piace introdurre questa risposta con un’affermazione rilasciata da un grande scienziato recentemente. “La pandemia non è un incidente biologico da curare con farmaci e vaccini, ma il sintomo di una malattia, cronica e rapidamente progressiva, dell’intera biosfera”. Aldilà dei contenuti di tale affermazione, questa estremizzazione del concetto è sicuramente doverosa per non dimenticare le nostre responsabilità sui danni procurati all’ambiente. Nel caso specifico dei cosiddetti “salti di specie” di nuovi virus a recettori umani, si fa sempre più riferimento, come fattore favorente, alle deforestazioni perpetuate nei decenni dall’uomo e quindi al conseguente improvviso avvicinamento di animali selvatici, portatori di virus anche sconosciuti, alle periferie di comunità umane. Allo stesso modo possiamo intravedere il rischio immanente di una selezione di batteri super-resistenti a seguito di condotte terapeutiche inappropriate di antibiotici. Ritornando alla sua domanda non mi risulta essere inverosimile che le perplessità ed i dubbi cui lei accennava sull’utilizzo del vaccino da parte di alcune persone, non possa essere anche la conseguenza di una mancata comunicazione, chiara ed unitaria, espressa dagli esperti in una fase iniziale della pandemia. Comunque sia, la Pandemia, ricordo, è il momento di incrocio di tre variabili: il virus, l’organismo ospite, il sistema immunocompetente ed immuno-infiammatorio: per tali ragioni trovare una soluzione terapeutica non è mai facile. Per tale ragione, prima di giungere alla “terapia genetica” dei nostri giorni, molte sono state le indicazioni terapeutiche consigliate ed adottate nel trattamento di questa infezione, sconosciuta ed imprevedibile, di pari passo alle conoscenze che venivano acquisite nel tempo. Sin dall’inizio, tuttavia, si è puntato a ricercare un vaccino che resta in questi casi uno degli strumenti più efficaci ed importanti di prevenzione ed eradicazione di malattie infettive della sanità pubblica, anche se da solo non potrà in tale evenienza essere la bacchetta magica. Indipendentemente da luci ed ombre che ancora avvolgono la questione “vaccini”, aldilà delle autorizzazioni ottenute, ci vorrà un periodo sufficientemente lungo di tempo per consentire di raggiungere ampie fasce di popolazione con la campagna di vaccinazione, allo stato ancora su base volontaria. Prima di poter quindi definire vinta questa battaglia, passeranno, nella migliore delle ipotesi, ancora alcuni mesi per cui è meglio non generare altre false illusioni. Tornando poi al tema dei vaccini attuali, frutto di una ricerca avviata già ai tempi della sars Cov 1, di investimenti straordinari di miliardi di dollari e di una organizzazione fatta da eccelse risorse umane ed imponenti mezzi, essi offrono, a mio pensare, in termini di efficacia protettiva una ottima prospettiva di partenza per tentare di fronteggiare nel tempo questo virus a RNA. Questo grazie ai riscontri documentati dalle Agenzie preposte alla loro autorizzazione. Restano ancora delle ombre, alcune legate alla reattogenicità sui grandi numeri e in un periodo più lungo di osservazione, senza contare la possibilità che intervengano mutazioni che possano limitare l’efficacia protettiva del vaccino. Un esempio ci è stata data dalla cosiddetta “variante inglese”, allo stato oggetto di verifica dagli esperti. Per quanto concerne la sicurezza dei vaccini genetici in uso, preannunciata da una grande enfasi e pubblicità da parte del mondo scientifico ed istituzionale, si è all’inizio dovuto provvedere a rassicurare l’opinione pubblica, ancora in parte dubbiosa, sui tempi estremamente veloci per la loro realizzazione, ma ciò, come sopra detto, può giustificarsi con gli ingenti mezzi messi a disposizione e ai progressi raggiunti negli ultimi decenni dalla bioingegneria genetica. Per la prima volta impieghiamo un vaccino genetico, non un classico vaccino, ma una vera e propria terapia genica, basata su un Rna messaggero che contiene le istruzioni per la sintesi di proteine in grado di produrre una risposta anticorpale efficace e protettiva nei confronti del Sars Cov2. Chi crede alla assoluta sicurezza di tale terapia, ricorda che le nostre cellule già processano normalmente migliaia di diversi RNA messaggeri e che lo stesso RNAmessaggero in fondo ha un’emivita di pochi minuti. Tuttavia c’è anche chi ipotizza che tale terapia genica, ancora sperimentale, possa creare un sovvertimento nell’equilibrio immunologico dell’individuo, così come possa intervenire epigeneticamente con meccanismi molecolari non facilmente individuabili. Come si vede ancora sono presenti giudizi differenti, per cui solo il tempo ci dirà! Al momento però, in una fase ancora di iniziale organizzazione e in relazione ai tempi lunghi per ottenere una efficacia protettiva dai suddetti vaccini (circa 45 giorni dalla prima somministrazione), possono e devono, a mio avviso, entrare in gioco, sempre sotto osservazione attenta, gli anticorpi monoclonali (altro frutto delle conquiste fatte dalla bioingegneria, già in uso negli Stati Uniti e forse da marzo 2021 anche da noi), per la loro azione diretta contro l’infezione e la replicazione virale. Essi avrebbero il vantaggio di una rapida azione protettiva (da pochi minuti a pochi giorni, anche se la loro azione protettiva non è prolungata (pochi mesi). Anche per gli anticorpi monoclonali comunque vale lo stesso discorso dei vaccini, solo l’impiego sul campo potrà confermare gli auspici dichiarati in premessa, sia in termini di costi, di modalità organizzative d’impiego, di efficacia in relazione al momento del loro impiego nella fase evolutiva dell’infezione nonché della reattogenicità. Bene Prof Gentile, siamo alla conclusione di questo interessantissimo incontro, nel ringraziarla davvero vorrei conoscere un suo commento, da uomo di scienza, sulla eredità che ci lascerà la Covid 19 Bella domanda! Credo personalmente che ancora altro dovrà essere scritto su questa vicenda, diventata una tragedia economica, sociale ed umana. Su di essa e sulle sue pagine buie faremo forse più luce e mi auguro che se ne esca tutti migliori e più consapevoli, che l’inizio del nuovo anno 2021 con tutto ciò che abbiamo vissuto e che continueremo a vivere diventi una grande lezione per l’umanità intera e sia da monito per un vero cambiamento. Nulla va temuto ma solo compreso! L’Uomo non può considerarsi l’unico depositario di verità e rischia, procedendo su questa strada, di giungere ad un punto di non ritorno. Ci siamo illusi di vivere da sani in una Realtà Naturale che stiamo rendendo malata, dimenticando che la stessa Natura che ci ospita e ci sostiene esiste da miliardi di anni, noi invece da poche centinaia di migliaia di anni per cui i primi a scomparire saremo noi: la Natura ci sopravviverà. In fondo continuiamo a voler a tutti i costi svelare gli intimi segreti della Natura ignorando che noi stessi siamo parte integrante di quel segreto. L’Uomo sappia insomma rispettare il mondo che lo circonda e sappia soprattutto comprendere le cause prima delle conseguenze. Antonio Pianelli

 

Grazie per aver pubblicato questo articolo, è stata una lettura interessantissima, soprattutto il commento finale del professore.