Discussione

Teatro in quarantena...disagio e opportunità del digitale

Teatro in quarantena...disagio e opportunità del digitale

Di Toni Andreetta. Il digitale, contrariamente a quanto pensano molti teatranti, potrebbe rivelarsi uno strumento strepitoso per aumentare e sedurre nuovo pubblico lontano dalla sala di rappresentazione anche dopo l’emergenza. Bisogna però comprendere che nel caso di un impiego digitale gli artisti dovranno sperimentare nuovi modelli espressivi e non limitarsi a filmare gli spettacoli senza una adeguata ricerca editoriale. In altri termini non accontentarsi di riprendere lo spettacolo con una telecamera, mandandolo in streaming in diretta o in differita su youtube o facebook. Si tratta di rivoluzionare tutto il paradigma tecnico di strutturazione dello spettacolo, dalla messa in scena alla fase di ripresa e regia in un’ottica totalmente diversa dallo spettacolo dal vivo tradizionale. Ad oggi il mondo dello spettacolo ha per lo più impiegato il digitale come ripresa dello spettacolo dal vivo teatrale tradizionale. Ovviamente bisogna altresì ammettere che il teatro è una forma espressiva che difficilmente può essere disgiunta dal rito collettivo in presenza, dalla potenza del luogo, dall’interazione sociale degli spettatori prima dello spettacolo, durante l’intervallo e all’uscita dopo il rito degli applausi. Però si deve fare attenzione al fatto che la maggior parte dei giovani oggi considerano le forme tradizionali di teatro fortemente noiose e obsolete. A tal proposito in effetti a ben vedere sanno di vecchio un sacco di cose riguardanti il teatro... solo per dirne una, il modello di “teatro all'italiana”, quello per intendersi con palchetti e platea a forma di ferro di cavallo, pur avendo conquistato tutto il mondo, penso sia oggi inadeguato per la prosa.. Infatti per acustica e struttura fu realizzato compiutamente nel XVII secolo per la lirica, la danza, la musica. Un luogo per le famiglie maggiorenti della comunità che avevano in proprietà un loro palchetto. In realtà si racconta che gli spettatori spesso, poco interessati a quanto avveniva sul palcoscenico, fossero molto più attratti dalla possibilità di uno scambio di intimità nello splendido isolamento del palchetto e soprattutto si recassero a teatro per guardarsi da un palchetto all’altro, confermando così la loro condizione socio-economica al fine di negoziare rapporti sociali profittevoli. Tanto è vero che il “teatro all’italiana “ fu definito anche "teatro dello sguardo". Per questi motivi, e per mia esperienza personale, credo che la potenza evocativa del teatro e il suo carattere sacro e rituale si realizzino maggiormente in piccoli spazi fuori del teatro ufficiale. Ora visto che nella storia le trasformazioni della struttura e del consumo teatrale sono parecchie, basti pensare ai passaggi dal teatro classico alle sacre rappresentazioni, dal teatro rinascimentale a quello barocco, sino alla riforma di Wagner e così via, ritengo che valga la pena di raccogliere, senza pregiudizi conservativi e dogmatici, la sfida digitale, sfruttando una opportunità nuova che potrebbe permettere di rivolgersi a un pubblico nuovo con risultati inaspettati.

 

Complimenti, ho apprezzato moltissimo il suo articolo e condivido pienamente la proposta di accogliere senza pregiudizi le possibilità offerte dalla tecnologia. Credo che sia una reazione intelligente a questo periodo storico difficile, ma probabilmente un nuovo tipo di teatro andrebbe preso in considerazione comunque, a prescindere dalla grave situazione mondiale dovuta al virus, perché come si legge nel suo articolo, il settore ha subito molti cambiamenti nel corso della storia e a mio parere dovrebbe continuare in questo senso, per conservare il suo fascino attraverso il tempo e le nuove generazioni. La aggiungo ai miei 101 per seguire le sue prossime pubblicazioni. Complimenti ancora, a presto.

 

Provo a riscrivere: "il teatro è una forma espressiva che NON può essere disgiunta dal rito collettivo in presenza, dalla potenza del luogo, dall’interazione sociale" Ecco, così riconosco la congruenza di una definizione di "Teatro", che etimologicamente significa "sguardo in presenza", a differenza di "idolo" che contempla anche un guardare distinto dalla compresenza di osservato e osservatore. Sostengo che oggi come non mai il teatro dovrebbe riaffermare con forza, coraggio, per non dire addirittura prepotenza, la radicalità fisica del suo sostanziarsi. Il digitale non è incompatibile col teatro, purché rimanga oggetto di scena, elemento di un linguaggio plurimo, opzione intermediale inclusa nel rito del "vedersi", del "theasthai" dal vivo. Il resto, per parafrasare un Sommo, è rumore di fondo. Vacuo tentativo di giustificare l'idiozia dei gesti esperiti da una comunità durante una crisi di panico collettivo di fronte ad un'ondata pestilenziale. Il medium è il messaggio, insegnava McLuhan, e infatti un attore che usa il digitale per sopravvivere in uno spazio di non-presenza è autore di un video digitalizzato, di un medium passibile di valore estetico eccelso, così come di preziosa restituzione documentale, ma che non è più teatro. Punto. Una delle più alte ricerche metapoetiche del Novecento, il teatro della crudeltà di Antonin Artaud, impegnò il paragone teatro-peste per evocare il senso profondo dello stare sociale del teatro, contagio cruento dell'immaginario collettivo. Oggi una nuova peste ha indotto la società nel suo impanicarsi paralizzante a privarsi del teatro-peste, per sostituirlo con un idolo "in vitro" il cui messaggio è irrimediabilmente altro, accettazione passiva delle conseguenze di un estraniarsi dell'umanità dalle leggi di natura, digitalizzazione di corpi negati all'incontro in uno spazio di visione-contatto. Di qualcosa bisogna pur sempre morire, ripeteva mia nonna nella sua saggezza. E in piena pandemia l'umanità ha preferito ideologicamente il rischio della morte del teatro come contagio e trasformazione spirituale, al rischio della morte del corpo. Scelta legittima, per carità. Ma non mi si dica che il teatro oggi è vivo grazie al digitale. Sarebbe come dirmi, mentre guardo la foto di mio zio morto di covid un anno fa in una Rsa della Valseriana, che mio zio è vivo.

 

Ciao Mario, ho trovato molto interessante il tuo punto di vista. Io credo che il teatro come è stato fino a ieri non morirà mai e le nuove forme in cui verrà proposto non riusciranno e non dovranno sostituirlo. Il teatro è una cosa, gli spettacoli in diretta streaming un'altra, ma credo che sia giusto comunque sperimentare le novità, l'importante è sempre aver chiara in mente la differenza, che oggettivamente esiste.

 

Ciao Mattia, la questione sta proprio nella non sostituibilità del medium. Si ripeschi a titolo esemplificativo il cosiddetto teatro radiofonico che tanto ebbe successo prima ancora dell'applicazione audiovisiva. E in radio di vedersi non c'è proprio modo. In tempo di pandemia ho saputo di attori che si sono inventati il teatro telefonico, niente di più geniale, e al tempo stesso una conferma più che palese del principio di McLuhan. La diretta streaming è a sua volta un medium con caratteristiche tecniche e linguistiche del tutto non sovrapponibili a quelle di altre forme in cui un attore può performare nei confronti di un pubblico. Eppure definire questa e altre medialità come teatro o surrogati del teatro è un abuso linguistico fuorviante. Ed è anche un danno enorme, tanto più nelle odierne forme del distanziamento sociale, per uno sviluppo autonomo e autopoetico dell'incredibile potenziale estetico dato dall'interazione fra un attore e i media tecnologici. Come lo è stato per il cinema da oltre un secolo a questa parte. un attore non fa necessariamente solo teatro, così come una rondine non fa primavera Ma il teatro lo fa solo l'incontro fisico fra un attore e uno spettatore, come enucleò lucidamente Grotowski. Possiamo levare tutto al teatro, diceva, pure il testo, ma non possiamo levare la presenza di quei due esseri umani distinti per ruolo e accomunati per condivisione e compartecipazione all'evento del "vedersi" corporeo. Trovo che l'equivoco di fondo abbia radici remote proprio nel concetto di testo teatrale: per slittamento sineddoico diviene parte, il testo verbale, che sta per il tutto, il teatro. Ma il teatro non si fonda sul testo verbale. Né tanto meno su una letteratura teatrale. Questo il Novecento l'ha esperito con argomenti inconfutabili. Se vogliamo che i sogni di un domani senza pandemia siano carichi di nuove prospettive per la comunità umana, tra le tante azioni progettuali che dobbiamo mettere in atto consideriamo anche la dissoluzione di tutti i pastrocchi concettuali generati da un teatro che dimentica se stesso e la radicalità del suo agire presente nel tempo e nello spazio, e da un digitale che si arroga il titolo di medium dei media, mentre è solo una sequenza di impulsi elettronici distinta dalla genialità dell'artista che li manipola per comunicare (e come le chiese coi fedeli distanziati tra i banchi, le scuole con gli alunni alternati nelle piccole aule, riapriamo subito anche i teatri e i cinema) (tra i mass media possiamo ancora per un po' rinunciare ai raduni oceanici, e alle calche strusciate, che purtroppo sempre ridondano metafore da allevamento intensivo)