Gente del ventunesimo secolo, ascoltatemi, io sono Liak, ora sono un corpo di luce dai mille colori che pochi tra voi riescono a percepire ma tantissime lune fa, nel lontano Neolitico, anch’io camminavo con un corpo di carne e ossa; ero alto, esile, con la barba e i lunghi capelli bianchi come la neve, vestivo tuniche di lino candido ricamate con i simboli sacri e vivevo tranquillamente ad Alba Dorata con la mia famiglia; li coltivavo cereali, cacciavo, pescavo e mi occupavo di spiritualità, ero sacerdote; ricordo che allora praticare la magia era semplice come cantare inni al Sole e raccogliere la conoscenza osservando le nuvole, ascoltando il sussurro del vento, il canto dei fiumi, il silenzio e i sogni era naturale come respirare. Una notte di Luna piena, dopo le danze nel grande cerchio di pietre, stanco ma colmo della presenza degli Dei, mi coricai nella mia casetta ignaro che un sogno avrebbe per sempre cambiato il corso della mia vita e quello degli abitanti del villaggio. Il mio corpo di luce prese il volo e mi ritrovai in uno strano luogo, era lo spazio dei possibili; sotto i miei piedi non c’era terra ma una superficie nera e lucida come ossidiana bagnata che rifletteva l’infinito tappeto di stelle sopra di me; alcuni istanti dopo il ricordo di un aspro litigio con la sacerdotessa Aya per la scarsità di cibo attraversò la mia mente, una scintilla di collera mi pervase; immediatamente il cielo di quel mondo onirico si tinse del nero di una tempesta, nuvole cupe e pesanti inghiottirono le stelle e da esse emersero figure d’ombra con occhi vuoti che fissavano il nulla, uno scarno cavallo nero dalle ali di tenebre volò sopra la mia testa poi un mare di fiamme mi apparve dinnanzi e da esso spuntò un serpente alto come una montagna, la sua lingua pareva un fulmine d’odio; il coraggio che mi aveva sorretto in tante prove si sciolse come neve al Sole, sudai freddo, il respiro divenne un sibilo, le mie gambe tremavano, mi sentii piccolo, assediato, perduto e più la mia paura cresceva più quelle forme si facevano minacciose. Poi da un angolo remoto del mio cuore spuntò una calma improvvisa e, come per incanto, le nubi iniziarono a dissolversi; con uno sforzo consapevole scelsi di rivolgere il mio pensiero al Sole caldo sul grano maturo, al sapore della cena condivisa con gli amici, al suono delle risate che scaldano più del fuoco; la trasformazione di ciò che mi circondava fu immediata e totale, il cielo divenne zaffiro puro, l’aria si fece tiepida e profumata di timo e salvia, sotto i miei piedi germogliò un prato soffice punteggiato di fiorellini gialli e davanti a me apparvero esseri luminosi circondati da un’aura dorata, una donna bellissima mi offrì una ciotola di more dolci, un gruppo di satiri giocosi accompagnati da ninfe dalle vesti color dell’iride mi venne incontro suonando flauti di canna, mi invitarono a danzare e io ballai con loro immerso in una gioia pura. Fu allora che la consapevolezza piombò su di me, capi di essere in un mondo onirico ed ebbi una forte sensazione che quel sogno voleva parlarmi; con il cuore in pace parlai al sogno: “Vorrei avere la conoscenza!”. Al centro del prato crebbe all’istante un albero d’oro, era l’albero della vita, i suoi rami possenti si stendevano verso il cielo e il suo tronco emanava un’aura di luce amorevole, mi avvicinai, ad ogni passo la sua energia cresceva, lo toccai col palmo della mano e subito un fiume di intuizione puro e cristallino esplose nella mia mente e percorse ogni fibra di me; fu allora che compresi, compresi tutto, l’urlo che uscì dalle mie labbra fu un canto di trionfo: “Ora ho capito!”. All’improvviso mi svegliai con un sobbalzo nella mia casupola, mia moglie dormiva ancora, il primo chiarore dell’alba, rosa e dorato, filtrava dalla porta d’ingresso; ero confuso e il cuore batteva forte nel petto, sapevo che quel sogno mi aveva donato un’illuminazione ma la mente razionale, come nebbia, ne offuscava il ricordo; passai tutto il giorno in uno stato di profonda astrazione senza toccare ne cibo ne acqua, camminai fino alla collina sacra e mi sedetti guardando l’orizzonte, ripercorsi ogni attimo del sogno, ogni transizione, ogni mutamento; ero convinto che da qualche parte ci fosse la chiave ma non riuscivo a ricordare le parole dell’albero, la domanda che mi tormentava era: Perché? Perché quel luogo cambiava forma? Perché prima le ombre e poi la luce? E poi, come il Sole che squarcia la nebbia, l’illuminazione attraversò di nuovo la mia testa, compresi che il luogo del sogno non rispondeva ai miei desideri ma allo stato vibratorio di me stesso, era lo specchio perfetto di ciò che ero, la mia interiorità si manifestava all’istante in forme e paesaggi. Lo sguardo mi cadde sul villaggio sottostante, vidi due uomini litigare con foga per un pesce scappato da una rete, la loro rabbia attirava altri due attaccabrighe pronti ad alimentare il conflitto; poco lontano vidi la piccola Kira che saltava la corda cantando una filastrocca, la sua gioia attirava altri bambini che correvano sorridendo verso di lei; fu allora che il mosaico si compose, il mondo si comporta come lo spazio dei possibili, ma non in modo meccanico o punitivo; con il nostro vibrare attiriamo a noi l’essenza di ciò che emaniamo, la paura attira più ragioni per aver paura, la gioia attira più ragioni per gioire, la collera attira conflitto, la gratitudine attira abbondanza; siamo come cetre sacre, se la nostra corda interiore vibra di angoscia tutta la musica che possiamo creare sarà dissonante mentre se vibra di felicità la sinfonia sarà celeste. Quella sera, quando la comunità si radunò attorno al fuoco, mi alzai, ero un po’ indeciso, sapevo che non tutti avrebbero avuto orecchie per intendere, il crepitio delle fiamme illuminava i volti attenti di uomini, donne e bambini. “Fratelli e sorelle”, iniziai con voce calma, “l’ultima notte, in un sogno profondo, ho avuto una visione, sono finito in un luogo dove ciò che è fuori è un riflesso di ciò che è dentro.” E raccontai, raccontai dello spazio specchio, delle ombre generate dalla mia tempesta interiore e della luce plasmata dalla mia pace ritrovata, parlai senza fretta dipingendo con le parole quel paesaggio mutevole poi, guardando negli occhi uno per uno i miei compagni, dissi: “Ho compreso che il mondo è un grande specchio, se il nostro cuore grida paura mostri da temere appariranno ai nostri occhi mentre se il nostro cuore canta gioia alleati e abbondanza ci circonderanno; questa non è una legge di ferro come quella per cui il Sole sorge ad Est perché non succede sempre ma spesso.” Ci fu un silenzio carico di stupore, di scetticismo, di curiosità, poi un anziano chiese: “La tua visione risuona in me, Liak, ma cosa dovremmo fare nella pratica per attirare felicità e prosperità per noi e per la comunità?”. Allora sorrisi. “Non dobbiamo fare per ottenere, dobbiamo essere per attrarre, dobbiamo fare della gioia e della gratitudine il nostro sentiero ma senza fingere, dobbiamo ricordare i momenti belli, cantare anche quando il cielo è grigio, essere grati per l’acqua che disseta, per il cibo che nutre, per il fuoco che riscalda e quando un pensiero oscuro bussa alla nostra porta non offriamogli un posto accanto a noi, osserviamolo con distacco e lasciamolo andare, teniamo invece vicini come gemme preziose i pensieri sereni.” Le mie parole non furono comprese da tutti in profondità, alcuni annuirono mentre altri scossero la testa dicendo che era troppo semplice ma il seme era stato gettato nella terra fertile di alcuni cuori e nella terra dura di altri dove avrebbe forse germogliato più tardi. Nei giorni e nelle lune che seguirono, io e la sacerdotessa Aya fummo i primi a cambiare, il racconto della nostra collera nel regno onirico ci aveva resi più vigili, i nostri contrasti non si accendevano più di fiamme vive ma si risolvevano in un dialogo paziente perché ora cercavamo di vedere attraverso gli occhi dell'altro; quella comprensione reciproca divenne il primo filo di una nuova trama; osservando gli abitanti del villaggio notai con meraviglia che quel filo iniziò a tessere sé stesso anche tra gli altri, il cambiamento era sottile ma evidente, il falegname Tarok, solito brontolare per ogni chiodo rotto una mattina lodò la grana del legno che stava lavorando, la piccola Kira vide sua madre, spesso abbattuta per la morte del marito, unirsi a lei in una risata mentre impastava il pane, le liti per l’uso degli attrezzi si scioglievano più in fretta, una ciotola di olive in più, un aiuto offerto senza che fosse chiesto iniziarono a diventare gesti abituali, il lavoro nei campi divenne un ritmo scandito da canti armoniosi e il raccolto da allora ci parve più generoso; un'atmosfera nuova, una leggerezza come il profumo della terra dopo la tempesta aleggiava tra le case di Alba Dorata; non diventammo perfetti ma imparammo ad affrontare la vita da un altra prospettiva sapendo di essere in parte co creatori della nostra realtà. Ed ecco il consiglio che attraverso il velo dei millenni vi trasmetto: attirate ciò che siete, siate gioia e la scoprirete nascosta in ogni incontro, siate gratitudine e l'abbondanza troverà la sua strada verso di voi, siate pace e il mondo, come uno specchio, vi risponderà con frammenti di pace. Così era per me, Liak, nella luce di Alba Dorata. Così sia ora per voi.