Nicola Giosuè non è solo un attore. È un uomo che ha vissuto intensamente, che ha attraversato tempeste e miracoli, e che oggi, a 55 anni, si racconta con la lucidità di chi ha vissuto non una, ma cento vite. «Mi sento come se avessi vissuto 255 anni», confessa. «Ho pianto, ho sbagliato, ho amato, ho rischiato. Ma non mi sono mai messo da parte. Ho imparato ad amare me stesso. Non per egoismo, ma per protezione». La sua storia non comincia sul palco, ma nel grembo materno. «Quando ero ancora nella pancia di mia madre, la mia famiglia fu colpita da una tragedia. Morì mia zia, Maria Rita Giosué, la sorella di mio padre, aveva solo vent’anni. Un problema cardiaco, le scoppiò il cuore». Nicola la nomina con rispetto e affetto profondissimo. «La sento ancora oggi accanto a me. È un’entità che mi accompagna. Quando sono nato, ha potuto prendermi in braccio. Poi è morta pochi mesi dopo». Quel dolore, racconta, lo ha assorbito fin da prima di nascere. Sua madre, Rosaria, fu travolta dal lutto e da un esaurimento nervoso. Così Nicola fu cresciuto dai nonni materni, Pino e Lina, fino all’età di undici anni. «Non è che mia madre non mi volesse, ma fu supportata dai suoi genitori. E io, da piccolo, ho conosciuto il senso dell’abbandono. Non per mancanza d’amore, ma per necessità». I nonni paterni, Nicola e Mimì, dopo la morte della figlia Maria Rita, lasciarono tutto e si trasferirono in America. «Per dimenticare, forse. Per sopravvivere a un dolore che non si può spiegare. Io ho sentito anche la loro mancanza. Mio nonno Nicola, che porto nel nome, mi dicono che mi somigliava: burbero, spigoloso, ma un uomo d’altri tempi. Un condottiero. Un uomo tutto d’un pezzo. Io mi ci rivedo». Nicola è nato in una famiglia di imprenditori benestanti degli anni ’70. «Sono cresciuto in un ambiente dove non mancava nulla. Poi, dagli anni ’90 in poi, mi è mancato tutto». Il contraccolpo è stato duro. Ma è lì che si è forgiato il suo carattere. «Tutte queste esperienze mi hanno reso ciò che sono oggi». A vent’anni, si ritrova a dover gestire l’azienda del padre, colpito da una grave malattia cardiaca. «Papà si ammalò molto giovane. Oggi vive grazie a un trapianto di cuore. Ma allora, io mi sono caricato sulle spalle la sua impresa. Non volevo farlo stare male, non volevo peggiorare il suo stato di salute. Era già precario. E io, per amore, per senso di responsabilità, ho preso in mano le redini della società» Nel raccontarlo, la voce di Nicola si incrina, l'emozione è palpabile. «Quando parlo di mio padre, mi si stringe il cuore. Perché tutto quello che ho fatto, l’ho fatto per lui. Per proteggerlo. Per non farlo soffrire. E invece, per inesperienza, ho sbagliato. La società è fallita. E quel fallimento si è trasformato in una bancarotta fraudolenta... un reato penale...ho rischiato la galera». Il processo dura 14 anni. «Mi hanno trattato come un criminale. Mi hanno tolto il passaporto, la carta d’identità. Non potevo uscire dalla mia città. A vent’anni, mi hanno negato il diritto di espatrio. Solo perché non sapevo gestire una società. È stata una ferita profonda. Una sofferenza che non ho mai metabolizzato». Da qui nasce il suo legame con il mondo carcerario. «Ho rischiato più volte di finirci, ma per fortuna non ci sono mai entrato, so che è una fortuna immensa. Perché in Italia, entri per un reato minore e ne esci criminale. Le carceri non rieducano, peggiorano. Lo so perché me lo raccontano i detenuti, io li ho nel cuore, io ho nel cuore tutti i detenuti». Nicola sogna di fondare un’associazione per loro. «Perché ci sono persone che, come me, hanno sbagliato per inesperienza, per necessità. E meritano una seconda possibilità. Dobbiamo riformare il sistema carcerario italiano. È pessimo. E io voglio fare qualcosa per cambiarlo». La sua vita è stata segnata da tre passioni forti: le donne, le automobili e il teatro. «Le donne, mettile in primo piano. Ma non parlo di bellezza esteriore. A me non interessa la carrozzeria. Mi interessa cosa ha dentro... Lo spirito, il modo di fare, la femminilità. Ci sono donne che non sono bellissime, ma hanno un’attrazione che una modella non avrà mai. La vera donna è quella che ti trasmette qualcosa, che fa per il suo uomo. Le auto sono il suo secondo amore. «Ho sempre avuto la passione per le belle macchine. Anche le gare clandestine, lo ammetto. Mi piace l’adrenalina. Ma senza mai fare male a nessuno». E poi c’è il teatro. «Io sono nato artista. Non ho mai studiato canto, né recitazione. Ma da bambino interpretavo Zorro. Mi vestivo da Zorro alle recite scolastiche. Le maestre dicevano che ero un artista. Lo dicevano a me, a mia madre Rosaria, a mio nonno Pino, a mia nonna Lina. Era nel mio DNA». Oggi, Nicola è un attore e ama profondamente il suo mestiere. «Non sputo nel piatto dove mangio. Anzi, auspico di essere scelto per ruoli di spessore. Ma ho anche un sogno nel cassetto: diventare opinionista in un format televisivo. Ho tanto da dire, da dare, da consigliare. Potrei essere una sorta di ago della bilancia. Non mi piace il termine giudice, perché nessuno può giudicare. Ma potrei valutare, orientare, raccontare». È pronto a trasferirsi, a mettersi in gioco. «Se qualche produzione fosse interessata, io ci sono. Non è un appello, è un messaggio. Magari qualcuno mi noterà. Nicola Giosuè è un personaggio nato dalla vita, non dalla scena. Un uomo che ha trasformato il dolore in forza, l’errore in consapevolezza, la fragilità in arte. E che oggi, con la sua voce, vuole dare dignità a chi non ce l’ha. «Perché la vera bellezza è quella che hai dentro. E io, da sempre, sono teatrale. Sono nato così»............ ........... “L’anima dell’artista si racconta giorno dopo giorno: restate connessi con l’Ufficio Stampa e Produzioni MP di Salvo De Vita per viverla da vicino.” Articolo: Dott.ssa Mietto Elisa Dirigente del servizio: Ufficio Stampa & Produzioni MP di Salvo De Vita Resp. e Tutela Immagine: Dott. Salvo De Vita Distribuzione Nazionale Digitale: Urban Dream di Mietto Elisa