«Ci siamo fatti una promessa: chiudere la porta e restare con le canzoni». “16m²” sono le dimensioni esatte del garage dove i La Maitresse si sono chiusi per ripartire da zero. Niente comfort, niente aspettative. Solo loro tre, qualche strumento e un’urgenza espressiva da liberare. Ci sono debutti che nascono da un contratto, da un talent, da una strategia editoriale. E poi ci sono quelli che nascono dal silenzio. “16m²”, il primo EP dei La Maitresse, è l’esatto opposto di un esordio costruito a tavolino: non nasce da un piano, ma da una frattura. Nel 2023, il trio napoletano si ritrova senza un progetto, azzerato da una fine inattesa e senza un piano di riserva. Dopo quattro anni di percorso condiviso, ciò che resta è un punto interrogativo. Niente label, niente pubblicazioni imminenti. Solo una stanza, poi un garage. E il bisogno bruciante di non smettere. Il risultato è un disco che somiglia a chi lo ha scritto: vulnerabile, lucido, disilluso. Ma anche pieno di immagini pop e intuizioni che non si vedono spesso in un debutto. C’è chi li definirebbe elettropop, chi canzone d’autore in formato Gen Z. Ma i La Maitresse rifuggono le etichette. E non si vergognano di avere due anime: quella cantabile, accessibile, nazionalpopolare. E quella più laterale, più spigolosa, che vuole uscire dagli schemi. «In noi vive un dilemma battistiano – affermano -. Una parte di noi vuole essere nazionalpopolare, l’altra vuole rompere gli schemi. Ma il pop non è compromesso: è colore.» Il nome stesso della band – ispirato a una maîtresse incontrata in una situazione grottesca e teatrale – è figlio di un’identità musicale fuori dalle formule. La loro è una scrittura visiva, che parte da riferimenti generazionali precisi (da Vasco a “Dancing Queen”, da Coltrane ai tiramisù da frigorifero) per raccontare con disillusa ironia quel territorio intermedio tra i venti e i trent’anni, dove tutto è in bilico: relazioni, futuro, appartenenza. Nel DNA della band c’è anche l’irriverenza e la malinconia della Napoli contemporanea: colta, disincantata, musicale per natura. Una città che non fa da cornice, ma che condiziona il suono, il linguaggio. Non è un dettaglio del contesto: è una variabile costante nel modo in cui scrivono, suonano e pensano. Ed è lì, in quella zona fatta più di dubbi che di certezze, che prende forma un nuovo inizio. Ma non arriva all’improvviso: ha la voce di una canzone. E quella canzone, è “ADRIANAAA”, la prima a rompere il silenzio. Dopo un lungo periodo di blocco, finalmente qualcosa si muove. «Eravamo a pezzi. O smettevamo, o ci chiudevamo in un garage a fare canzoni. Abbiamo scelto il garage. E abbiamo iniziato a cucire le crepe, una strofa alla volta. Ore spese a dare personalità a ogni suono. Per la prima volta, abbiamo curato tutto da soli.» È così che nasce “16m²”, un EP autoprodotto in ogni parte creativa – eccetto mix, mastering e batterie finali – che suona artigianale e preciso al contempo, come se l’imperfezione fosse diventata – finalmente - una scelta estetica consapevole, e avesse trovato il suo posto nel suono. Ogni brano ha un’identità autonoma, ma insieme costruiscono un percorso coeso, fatto di immagini, contrasti e piccole confessioni. Una stanza dopo l’altra, una canzone alla volta. A seguire, tracklist e track by track del disco. “16m²” – Tracklist: 1. Dimmi che hai preso il verme 2. Missile 3. Dieta 4. ADRIANAAA 5. Bandiera 6. 0Positivo! 7. A Porte Chiuse “16m²” – Track by Track: “Dimmi che hai preso il verme”. Un’apertura scomposta e imprevedibile. Il titolo surreale nasconde una narrazione ossessiva, intima, che scorre su un tappeto elettronico che si apre e si richiude. È il lato più obliquo e viscerale del progetto, e anche uno dei più sperimentali. “Missile”: una hit mancata e proprio per questo riuscita. Una storia di gelosia postmoderna tra trenini mentali e tacchi rossi, su un groove che mescola Abba e ansia sociale. La leggerezza, qui, è solo apparente: c’è sotto un carico emotivo che pesa, ma non schiaccia. “Dieta” è il pezzo più ironico, ma con un doppio fondo malinconico. Una relazione che passa per frigo, palestra e tentativi falliti di auto-controllo. È un dialogo in forma di sitcom, che riesce a raccontare il quotidiano senza banalizzarlo. “ADRIANAAA”. Una scena da commedia americana anni Duemila (“autostrada e John Coltrane”), un dialogo stralunato, un synth-pop che guarda agli MGMT e a Battiato. Ironica, precisa, poetica nel suo modo sbilenco. “Bandiera”: una ballad sintetica e dolente, che condensa l’identità della band. Qui i La Maitresse smettono di giocare e mettono in mostra la loro anima più fragile. Il ritornello resta impresso nella mente, anche dopo un solo ascolto. “0Positivo!” è una riflessione generazionale vestita da pezzo pop: c’è dentro tutta la stanchezza di chi si sente fuori fuoco, ma anche la forza di chi continua a provarci. Un pezzo che potrebbe finire in una playlist, ma anche in un dancefloor di un club. “A porte chiuse”, infine, è la chiusa perfetta. Intimo, claustrofobico, scritto in prima persona e spogliato di filtri. È una lo specchio della solitudine di una generazione iperconnessa ma sempre più distante. “16m²” è un disco che parla a chi è in transizione. Un disco per chi si sente in bilico, sospeso: tra adolescenza e maturità, tra coraggio e rinuncia, tra identità e maschera. Non pretende di dare risposte, né soluzioni. Ma non rinuncia a cercarle. E lo fa con un linguaggio nuovo, ibrido, credibile. I La Maitresse scelgono l’ambiguità, il dettaglio, l’incompiutezza. E proprio per questo suonano veri.